FOGAZZARO, Giuseppe
Nacque a Bergamo il 6 nov. 1813 da Antonio e da Maria Teresa Innocenti Mazzi; nel 1817 si trasferì con la famiglia a Vicenza, città di origine del padre, e lì frequentò il collegio di don Girolamo Iseppi; poi, dal 1831 al 1835, il seminario dove si distinse nello studio delle lettere e della dottrina sacra. Il 28 maggio 1836 venne ordinato sacerdote e il 28 ag. 1837 si laureò a Padova. Nel 1843 ottenne la cattedra di dogmatica sempre a Padova, divenne canonico onorario della cattedrale., poi nel 1848 canonico effettivo.
In questi anni giovanili si formò la sua personalità di religioso e di intellettuale, attraverso un "incontro singolare" e spiritualmente decisivo con A. Rosmini Serbati di cui lesse le opere e col quale instaurò un intenso colloquio intellettuale, accogliendo tesi e atteggiamenti del suo cattolicesimo riformatore; ma anche attraverso un impegno sociale, che lo portò a studiare le iniziative di F. Aporti, a visitare i suoi asili e ad accogliere le sollecitazioni in merito all'educazione dell'infanzia popolare. "Andò più volte a Cremona dall'Aporti per vedere le scuole da lui fondate ed averne consiglio; cercò amici e coadiutori nella santa impresa; domandò e ottenne dal comune un locale disacconcio ma che prestavasi ad una opportuna riduzione; ottenne pure che un centinaio di buone persone si obbligassero a un annuo contributo di danaro, in diversa misura, che pietose signore andavano bussando di porta in porta per tentare con efficaci parole l'anima di quelli a cui il progetto della scuola era rimasto fino allora ignorato" (Rumor, p. 26).
Così nel luglio 1839 aprì un asilo a Vicenza, per quaranta bambini e bambine, affidati a due istitutrici, una delle quali fu inviata dallo stesso Aporti. Prendeva corpo in tal modo una delle tante esperienze sviluppatesi in Italia, nell'età della Restaurazione, volte a creare luoghi di accoglienza e di educazione per i figli del popolo, soprattutto nelle città, denominati appunto "sale di custodia" o "asili". Quello del F. si ispirò ai principi del Vangelo per la cura dell'infanzia diseredata che costituivano l'ideale dell'Aporti.
Proprio nei quattro rapporti che il F. presentò a consuntivo annuale del lavoro svolto dal suo asilo (Primo rapporto letto alla Società per gli asili infantili in Vicenza dall'adunanza del 3 maggio 1840, Vicenza 1840; Secondo rapporto…, ibid. 1841; Terzo rapporto..., ibid. 1842; Quarto rapporto..., ibid. 1843) emerge con chiarezza la sua visione pedagogica, legata a una forte consapevolezza del degrado fisico e morale che insidia i figli delle classi popolari (che sono "vieti, infermici, deboli, sparuti, tardi", scarsi di "forme naturali" fisiche per la povertà del cibo e delle cure; l'asilo deve quindi sopperire all'alimentazione e all'igiene mancanti e migliorare le condizioni dell'infanzia, anche nello "sviluppo dato alle menti") e dei compiti di una educazione che "dee essere umile, piccola, snella, svariata dall'effetto solo sublime, materno, difficile, o, detto in una parola, semplice della semplicità del Vangelo". Sempre ispirandosi all'Aporti e alla sua Guida pei fondatori e direttori per le scuole di carità derivata da quanto si pratica nelle scuole infantili di Cremona, pubblicata a Milano nel 1836, anche il F. valorizza l'osservazione, da parte dei maestri, della personalità dei bambini, guardando soprattutto alla loro "indole" e ai "mezzi efficaci" per correggerli, attraverso annotazioni mensili, come pure conferma l'attenzione all'educazione intellettuale che Aporti sviluppa attraverso "lo studio dell'alfabeto, del leggere e dello scrivere e del conteggiare e quello altresì della religione".
Via via, però, che l'esperienza procedeva emersero per il F., dopo i primi ottimi traguardi raggiunti (nel 1843 l'istituto assisteva 600 bambini), ulteriori esigenze come quella di estendere l'assistenza dei bambini fino all'ingresso nel mondo del lavoro (uno dei suoi "voti più ardenti") attraverso una "scuola per la puerizia povera" orientata all'apprendimento di un mestiere.
Il F. si occupò anche di molti altri aspetti della beneficenza, dando vita, nel marzo 1841, a una Fondazione della corporazione di mutua carità di sacerdoti (rivolta a soccorrere "congregati" poveri e infermi della diocesi) e divenendo dal 1843 al 1848 e poi dal 1867 fino al 1898 commissario di beneficenza pubblica a Vicenza, dirigendo diverse istituzioni (la Casa di ricovero e d'industria, l'orfanotrofio femminile, gli ospizi "Soccorso" e "Soccorsetto", ma anche la scuola elementare maggiore femminile e la scuola magistrale), facendo parte dal 1868 al 1878 del Consiglio scolastico provinciale: per questo suo impegno caritativo e sociale ricevette il 10 giugno 1898 la commenda dell'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro.
In questa vita "nascosta e tranquilla", contrassegnata da fede, umiltà e carità, se pur priva di "grandi avvenimenti", si inserì - come elemento di rottura, apparentemente atipico (ma presente anche in una parte del clero, nel clima fervido di entusiasmo civile e patriottico del Risorgimento) - l'impegno politico assunto nel 1848. In quell'"anno delle rivoluzioni" nel marzo il F. entrò a far parte della guardia straordinaria del Municipio e del Comitato provvisorio dipartimentale. Venne inviato a Venezia per prendere contatti con l'arsenale, in cerca di aiuti, compiendo un viaggio spericolato; dopo la caduta di Vicenza, lasciò la città: fu a Ferrara e a Bologna, arrivando poi fino a Roma, dove fu ricevuto da Pio IX. Risalì poi a Firenze, dove si trattenne per tutto il 1848; rientrò poi a Vicenza addolorato per la piega assunta dagli avvenimenti politici e deciso ad occuparsi solo degli "studi".
Ritiratosi nella cerchia familiare, si fece carico dal 1851 dell'istruzione del nipote Antonio (il futuro scrittore che dipingerà la figura dello zio nel suo romanzo Picoolo mondo moderno, nel personaggio di don Giuseppe Flores). Fino al 1857 seguì il nipote per due o tre ore al giorno, alternando lezioni e passeggiate, applicando nell'insegnamento metodi aperti e innovatori.
Nel febbraio 1859 - alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza - la polizia perquisì la sua casa alla ricerca di documenti compromettenti; fino a maggio, venne confinato sull'isola lagunare di San Michele, ma subì la persecuzione politica con serenità. Quindi, riprese a seguire la maturazione del nipote, per cui era stato a lungo "in pensiero", perché "non ancora ben fermo in salute e incerto degli studi a cui volgersi" (con lui, dopo il 1866 mantenne un nutrito epistolario); e continuò ad impegnarsi in opere di carità e celebrazioni civili.
Ritiratosi nella sua villa di Montegalda, presso Vicenza, il F. morì il 6 apr. 1901.
Se dal punto di vista pedagogico-educativo il F. segue soprattutto l'Aporti - pur combinandovi alcuni elementi tratti da F.W.A. Fróbel, pur guardando a "metodi d'insegnamento" innovatori (apprezzerà e applicherà il metodo naturale globale nell'insegnamento delle lettere e della scrittura), e pur accogliendo suggerimenti dallo stesso R. Lambruschini - il suo modello di asilo d'infanzia (per bambini dai tre ai sette anni, con maestre, assistenti e un maestro di ginnastica, rivolto a educare il fisico, l'intelletto e il "morale") occupa un ruolo non marginale nel complesso quadro di iniziative in sostegno dell'infanzia povera, che vede attivi molti educatori e pedagogisti dell'età del Risorgimento, da Aporti a Mayer, passando per Lambruschini e molti altri.
La personalità del F. fu ricordata dal nipote Antonio anche in una testimonianza pubblicata come introduzione alla biografia di Rumor (Il mio primo maestro). In quelle pagine viene rievocato il suo insegnamento senza programmi, variato, attento al nuovo e all'insolito, nutrito di forte passione morale e sostenuto da una precisa coscienza filosofica (ispirata al Rosmini e al suo spiritualismo ontologico), aperta anche all'innesto di evoluzione e religione (posizione ripresa dallo stesso Antonio Fogazzaro nelle sue Ascensioni umane), innesto che - secondo il F. - non escludeva affatto l'esistenza di Dio. E il romanziere sottolinea ancora la forte "fede razionale" dello zio, senza "dubbi di coscienza" ma nutrita di una cultura moderna, attraverso la lettura di "riviste straniere, poesie, romanzi", anche di G. Sand e di É. Zola (da lui ammirato sopra tutti), che veniva a contraddistinguere un "uomo tollerantissimo" e "animato di modernità".
Con il F. ci troviamo, dunque, in presenza di una personalità di sacerdote, di patriota, di filantropo e di studioso che ben si colloca (e bene ne rappresenta le tensioni e le evoluzioni) in quell'Ottocento italiano che, tra la Restaurazione e l'Unità, delinea il volto di una società in trasformazione, secondo itinerari di modemizzazione che presentano alla nazione problemi nuovi e urgenti: l'educazione del popolo, l'emancipazione delle classi inferiori, la partecipazione civile e l'impegno pedagogico sociale e politico, il rapporto con la nuova cultura in cui la scienza si afferma come l'alfiere e il centro motore. Il F. fece parte di quei cattolici che, pur ortodossi e liberalconservatori, accettarono con fiducia e passione la sfida del nuovo, inscrivendola nel loro impegno caritativo e sociale.
Fonti e Bibl.: S. Rumor, Don G. F. La sua vita e il suo tempo, Vicenza 1902; G. Mori, Questa nostra scuola materna, Vicenza 1943, ad Indicem; G. Mantese, Memorie della Chiesa vicentina, V-VI, Vicenza 1954, ad Indices; E. Leoni Cappelletti, Medaglioni dell'Ottocento vicentino, Vicenza 1958, ad Indicem.