FERRARI, Giuseppe Francesco
Nacque a Lerici (in provincia di La Spezia), il 28 marzo 1865 da Giovanni Battista e Maria Faridone, e a sedici anni, nel 1881, fu allievo della Scuola militare. Nel 1883 divenne sottotenente (47º, poi 85º reggimento di fanteria), nel 1886 tenente, e quindi aiutante maggiore in 2a. Il 22 ott. 1888 sposava Ida Santamaria. Nel 1894 passò all'88º reggimento, e nel 1896 seguì il corso alla Scuola di guerra conseguendo il grado di capitano (77º reggimento di fanteria). Subito dopo venne comandato presso il corpo di stato maggiore e successivamente destinato al comando della divisione di Verona e poi di Ravenna. Dopo un rientro temporaneo al 77º reggimento prestò di nuovo servizio nel corpo di stato maggiore: fu destinato al comando della divisione militare di Cuneo e successivamente del presidio di La Spezia. Nel 1906 fu promosso maggiore a scelta e fu destinato al 39º reggimento; due anni dopo tornò allo stato maggiore e venne nominato capo di stato maggiore al comando della divisione militare di Roma. Nel 1911 fu promosso tenente colonnello e nel novembre 1914 destinato al comando del IX corpo d'armata; alla vigilia dell'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale venne nominato colonnello e capo di stato maggiore dello stesso corpo d'armata (17a e 18a divisione).
Dal novembre 1915 al giugno 1916 il F. venne destinato al comando della brigata "Umbria", che si era impegnata in operazioni contro il monte Piana (o, secondo la nomenclatura austriaca, Piano) e che dal settembre, trovandosi in alta montagna, non aveva svolto alcuna attività. Nel periodo dei suo comando le uniche azioni di qualche rilievo furono, nel mese di marzo (quando il F. divenne maggiore generale), operazioni di pattuglia e, all'inizio di aprile, un attacco nemico parzialmente riuscito. Dal luglio al dicembre del 1916 comandò il raggruppamento battaglioni alpini presso la 4a armata, denominato "nucleo Ferrari", che il 15 dicembre divenne 56a divisione (della quale mantenne il comando fino al luglio 1917).
Il "nucleo Ferrari" era stato appositamente costituito per operare nella zona delle Alpi di Fassa e, più volte trasformato nella sua composizione, era formato da reggimenti di fanteria e bersaglieri, da alpini e da numerose unità di artiglieria. In un contesto privo di significativi successi, conseguì la conquista del Colbricon, di Passo Rolle e del Cavallazza e il F. ottenne la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
In questo periodo (maggio 1917) gli venne inoltre conferito dal comando supremo l'incarico del grado superiore (tenente generale) per meriti di guerra, con conferma nel grado di poco successiva (agosto 1917).
I risultati conseguiti lo portarono, dal luglio al settembre 1917, al comando del XXII corpo d'armata, che, reduce dalla battaglia dell'Ortigara e schierato sull'altopiano di Asiago, non prese parte in quei mesi a operazioni di rilievo. Dalla metà di settembre 1917 fino ad oltre il termine del conflitto (e precisamente al 5 genn. 1919) fu comandante del XX corpo d'armata.
All'inizio del novembre 1917 il XX corpo dovette abbandonare le posizioni di fronte all'Ortigara a causa dello sfondamento dell'Isonzo, e passò così dall'estrema parte settentrionale dell'altopiano di Asiago a quella meridionale, tra i monti Longara, le Melette (29ª divisione) e la sottostante val Brenta (52ª divisione). A partire dall'11 novembre il corpo venne investito dall'offensiva dell'11ª armata austroungarica di F. C. von Hótzendorf, in appoggio all'attacco da Caporetto. Nei combattimenti che si protrassero sino al gennaio la 29ª divisione venne quasi interamente distrutta, mentre la 52ª riuscì a difendere le posizioni del fondo val Brenta. Alla fine del gennaio 1918 il XX corpo svolse un ruolo marginale nell'operazione detta dei "tre monti", che si concluse con la conquista dei tre monti dell'altopiano di Asiago (Valbella, col dei Rosso e col d'Echele). Il corpo venne dunque rinforzato e a giugno fu in grado di contenere l'offensiva nemica, superando i problemi legati alla contiguità con un corpo di un'altra armata. Nell'autunno del 1918, di nuovo composto da due sole divisioni, continuò a difendere le posizioni sulla destra dell'altipiano di Asiago fino alla valle del Brenta, per poi prendere parte, nella fase conclusiva del conflitto, alla battaglia di Vittorio Veneto.
Il F., che nel settembre 1918 era stato nominato comandante di corpo d'armata mobilitato, fu dal gennaio al settembre 1919 comandante del XIV corpo d'armata. Dall'ottobre 1919 al febbraio 1923 fu ispettore generale della guardia di finanza e venne quindi collocato a disposizione per ispezioni. Alla fine del 1920 fu nominato membro supplente del consiglio dell'Ordine militare di Savoia.
Negli anni Venti il F. raggiunse i livelli di massima responsabilità nello stato maggiore dell'esercito. Il 10 maggio 1923 venne nominato capo di stato maggiore centrale, mantenendo la carica fino alle sue dimissioni del 4 maggio 1925, in un periodo a conclusione del quale si definirono una prima volta i rapporti tra esercito e fascismo.
Nello scontro che si aprì sul ruolo della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (nell'agosto 1924 riconosciuta forza armata dello Stato), e che vide il generale A. Di Giorgio schierato per una subordinazione della milizia all'esercito e per il divieto agli ufficiali di svolgere attività politica, il F. prese una precisa posizione. Egli, infatti, elaborò nel gennaio 1924 un progetto di "ingranamento" della Milizia nell'esercito duramente avversato dall'ala estremista del fascismo e dallo stesso Mussolini, che nel corso dell'assemblea del partito fascista del 28 gennaio dello stesso anno lo giudicò una "gigantesca truffa" (Ilari-Sema, Marte inorbace, p. 293).
Nel novembre 1924 il F. fu poi l'unico membro del Consiglio dell'esercito ad esprimersi in favore del nuovo ordinamento dell'esercito proposto da Di Giorgio, il che finì per condizionare la sua permanenza al vertice dello stato maggiore, dal momento che la grande maggioranza dei "generali della vittoria", e comunque tutti i più prestigiosi comandanti, si opposero al tentativo di Di Giorgio di imporre il proprio ordinamento, e quindi la propria supremazia all'interno dell'esercito.Le dimissioni del F. sono comunque da correlare, oltre che alla bocciatura delle proposte di Di Giorgio, al riordino degli alti comandi che conferì a P. Badoglio, a pochi giorni dalla nomina a capo di stato maggiore dell'esercito, i nuovi poteri attribuiti al capo di stato maggiore generale (carica abbinata a quella di capo di stato maggiore dell'esercito). Nel 1926 venne quindi varato il cosiddetto ordinamento Mussolini (essendo in realtà opera di U. Cavallero e Badoglio), sul quale sarebbe in seguito intervenuto il F., che sempre nel 1926 divenne generale d'armata e comandante designato d'armata di Milano. Nel febbraio del 1927 e fino al febbraio dell'anno successivo tornò al vertice dello stato maggiore dell'esercito, dopo che la carica era stata disgiunta da quella di capo di stato maggiore generale.
Nel febbraio 1927 Cavallero, sottosegretario alla Guerra, era riuscito ad escludere Badoglio (confermato capo di stato maggiore generale) dai più alti incarichi di comando, ma aveva dovuto accettare il F., che le poche informazioni disponibili suggeriscono in quel momento gradito a Badoglio. Alla fine del suo mandato, infatti, in un promemoria inviato alle massime autorità dello Stato, il F. propose un assetto degli alti comandi che sottraeva il controllo sulla preparazione delle forze armate al ministro e, quindi, al sottosegretario alla Guerra. Circostanza che suggerirebbe il successivo abbandono della carica come voluto da Cavallero (Pieri-Rochat, P. Badoglio, p. 580). Tra le sue iniziative nel secondo periodo al vertice dello stato maggiore ricordiamo il promemoria da lui sottoposto alla commissione suprema di difesa che convinse nel 1927 l'alto consesso della necessità di un sistema di difesa antiaerea del territorio (DAT), la cui realizzazione avrebbe dovuto concludersi in un triennio (Ilari-Sema, Marte inorbace, p. 340).
Nel 1928 (con r. d. 23 febbraio) il F. venne nominato senatore e nel 1930 membro del consiglio dell'Ordine militare di Savoia (riconfermato nel 1934) e comandante designato d'armata (Torino). Nella Camera alta ricoprì cariche formalmente di rilievo quanto, nella sostanza, prive di potere decisionale: membro prima supplente (nel 1929) e poi permanente (nel 1930) della commissione d'accusa; ministro di Stato nel 1933 e vicepresidente del Senato l'anno successivo; presidente della commissione d'istruzione dell'Alta Corte di giustizia nel 1937; membro della commissione speciale per il regolamento giudiziario; presidente della commissione forze armate dal 1937 al 1940, quando per motivi di salute abbandonò i lavori parlamentari. Al vertice della commissione forze armate ebbe quindi il compito di coordinare i lavori di approvazione - non potendosi parlare di vera e propria discussione - dei disegni di legge riguardanti le questioni militari nei loro più diversi aspetti. Tra gli interventi parlamentari si può ricordare quello del 29 maggio 1934, relativo al disegno di legge sull'avanzamento degli ufficiali dell'esercito.
Morì a Lerici il 23 ott. 1943.
Fonti e Bibl.: Lo Stato di servizio del F. è conservato a Roma, nell'Archivio storico dello Stato maggiore dell'esercito, dove si può esaminare anche la relazione del 31 genn. 1928 (H5, b. 2/13), pubblicata, con minime variazioni, da E. Canevari, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, I, Roma 1948, pp. 236-244. Per la ricostruzione delle vicende delle unità dell'esercito durante il primo conflitto mondiale, cfr.: Ufficio storico dello Stato maggiore dell'esercito, L'esercito ital. nella grande guerra 1915-1918, Roma 1927-1988, vol. II , t. 1, pp. 340-343, 353-356, 361-366; vol. III, t. 3, pp. 287-294; vol. IV, t. 3, pp. 147, 538, 552, 591; vol. V, t. 1, pp. 57, 330, 447-449; t. 2, pp. 137, 392. Per l'esercito nel primo dopoguerra risultano fondamentali: G. Rochat, L'esercito ital. da Vittorio Veneto a Mussolini, Bari 1967, pp. 480, 527, 569, 596; P. Pieri - G. Rochat, Pietro Badoglio, Torino 1974, pp. 529, 556-559, 574, 580. Notizie su altri aspetti dell'attività del F. sono ricavabili da E. Faldella, L'Italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bologna 1959, p. 119; F. Stefani, La storia delle dottrine e degli ordinamenti dell'esercito ital., II, 1, Da Vittorio Veneto alla seconda guerra mondiale, Roma 1985, pp. 83, 106; V. Ilari-A. Sema, Marte in orbace. Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona 1988, pp. 293, 340 s. Sull'alto comando dell'esercito cfr. L. Ceva, Appunti per una storia dello stato maggiore generale fino alla vigilia della "non belligeranza" (giugno 1925-luglio 1939), in Storia contemp., X (1979), 2, pp. 207-252.