FRANCICA NAVA, Giuseppe
Nacque a Catania il 23 luglio 1846 da Giovanni, barone di Bondifè, e da Caterina Guttadauro dei principi di Reburdone. Entrambi i genitori appartenevano a famiglie di lontane origini spagnole; la madre, inoltre, era sorella di mons. Giovanni Guttadauro che, rettore del seminario di Catania, si prese cura dell'istruzione del F., facendogli compiere i primi studi in seminario e poi portandolo con sé a Caltanissetta, della cui diocesi era stato posto a capo nel 1859.
Ordinato sacerdote il 22 maggio 1869, nel novembre, dopo essere stato nominato cameriere segreto del papa, il F. era aggregato alla romana Accademia dei nobili ecclesiastici, un istituto dal quale era tradizione uscisse il ceto della diplomazia pontificia: vi rimase fino al 1877; frattanto seguiva i corsi dell'università Gregoriana, ove si laureò in teologia, e poi in utroque iure.
Esercitato già nel 1869 l'incarico di ablegato per consegnare il cappello cardinalizio all'arcivescovo di Lione, il F. non risentì negativamente per la posizione dello zio che, nel concilio Vaticano, il 13 luglio 1870 era stato tra i pochi a votare contro il dogma dell'infallibilità. In ogni caso, con Leone XIII, succeduto a Pio IX nel 1878, era iniziata un'altra era, soprattutto sotto il profilo dottrinale.
Il F. infatti era stato tra i primi a cogliere la novità dell'enciclica Aeterni patris (1879) ai fini di un rilancio del tomismo e, di ritorno a Caltanissetta nel 1879 con l'incarico di provicario generale e di rettore del locale seminario, vi aveva inaugurato i corsi dell'Accademia teologica di S. Tommaso, da poco istituita dallo zio, con un discorso De concordia rationis et fidei iuxta mentem divi Thomae (poi pubblicato a Palermo nel 1882). Più che di una vera e propria riflessione filosofica si trattava di una messa a punto pedagogico-pratica sul ruolo del tomismo nella moderna cultura cattolica e sulla sua utilizzabilità ai fini di un superamento dell'annoso contrasto scienza-fede. Nel complesso non era un contributo di pensiero di grande originalità; l'adesione al tomismo si caratterizzava più come premessa a una riscossa della Chiesa e a una riaffermazione della sua regalità che come spinta al rinnovamento della cultura cattolica.
E tuttavia il F. riceveva dal suo scritto un'ulteriore qualificazione che Roma premiava promuovendolo, il 9 ag. 1883, vescovo titolare di Alavanda: mantenne il posto di ausiliare dello zio fino al 24 maggio 1889, quando ebbe il titolo di arcivescovo di Eraclea e pochi giorni dopo (6 giugno) fu nominato nunzio apostolico in Belgio.
Le istruzioni con cui il F. arrivava a Bruxelles il 9 luglio gli illustravano la situazione interna del Belgio ricordandone l'economia florida, l'industria in espansione, un movimento operaio sviluppato ma poco conflittuale; la segreteria di Stato romana individuava il solo vero motivo di preoccupazione nelle divisioni delle forze politiche organizzate, di quelle liberali all'opposizione ma anche di quelle cattoliche al governo, spaccate quest'ultime tra il sostegno al primo ministro A. Bernaert, moderato ma sorretto da forti consensi nella borghesia medio-piccola, e il suo avversario C. Woeste, ex ministro della Giustizia più vicino al movimento cattolico di base e quindi più incline a inasprire lo scontro con le opposizioni: "conservare l'equilibrio e la giusta misura tra le diverse aspirazioni d'ambedue", suggerivano in proposito le istruzioni del Vaticano (Simon, p. 180) cui il F. si attenne prudentemente; ma mentre le altre avvertenze fornitegli alla partenza da Roma lo impegnavano relativamente poco (così il consiglio di ostacolare la riforma del servizio militare o quello di evitare di sollevare la questione dei cimiteri che i cattolici avrebbero voluto separati da quelli di altre confessioni), il problema delle divisioni della maggioranza cattolica di governo, esploso in tutta la sua gravità nel biennio 1892-94 con la contrapposizione tra fautori e oppositori della riforma del sistema elettorale, lo costrinse a una faticosa opera di mediazione tra il Bernaert, schierato a favore della proporzionale, e il Woeste che, dopo essersi inutilmente opposto all'allargamento dell'elettorato, guardava al sistema maggioritario come a quello più adatto per la difesa degli interessi dei cattolici.
Più volte il F. intervenne discretamente per scongiurare possibili crisi ministeriali e a Roma si apprezzò molto il fatto che egli riuscisse a frenare il Bernaert senza inimicarsi il Woeste. In merito al rapporto con i fedeli va detto inoltre che il F. privilegiò significativamente non tanto le organizzazioni cattoliche quanto il clero, a proposito del quale auspicò e favorì il miglioramento della preparazione. In tal senso va sottolineato il suo appoggio alla fondazione dell'Istituto superiore di filosofia tomistica presso l'università di Lovanio (1889) che, affidato alle cure di D. Mercier, nel corso degli anni si sarebbe ampliato affiancando agli originari corsi di filosofia e scienze una scuola di scienze sociali e politiche. Non sempre questo fervore parve produttivo al F. che ad esempio il 18 maggio 1891, reduce dalla prima visita a Lovanio, espresse qualche dubbio sull'effettiva percezione dell'importanza del tomismo da parte degli studenti belgi, così come in un dispaccio non datato del 1894 (contrassegnato col n. 205) criticava il mancato collegamento tra istituto di filosofia e scuola di scienze sociali perché riteneva che queste ultime andassero studiate solo come integrazione del tomismo; ma nell'insieme questa parte della sua esperienza belga lo persuase dell'efficacia dell'iniziativa lovaniese ai fini della formazione dei futuri ecclesiastici.
Richiamato in Italia all'inizio del 1895, il 18 marzo il F. era traslato alla diocesi di Catania. Era intenzione di Leone XIII rilanciare la presenza politica della Chiesa nella città etnea, ma le esigenze della diplomazia vaticana fecero sì che il F. fosse riconfermato anche nella carica di nunzio. Il 25 luglio 1896 gli fu assegnata la sede di Madrid: il F. vi giunse il 23 dic. 1896 e vi rimase fino al 5 dic. 1899, e, sebbene le origini della famiglia lo facessero sentire assai legato alla Spagna, la sua missione si rivelò molto meno stimolante di quella belga in quanto cadde in un periodo di grave travaglio interno del Regno iberico, allora sotto la reggenza di Maria Cristina nell'attesa che diventasse maggiorenne il futuro Alfonso XIII.
Provata dalla perdita dell'impero coloniale seguita alla sconfitta con gli Stati Uniti (1898), la Spagna doveva fronteggiare una profonda crisi economica e morale aggravata dalla disastrosa instabilità del ceto politico. I continui avvicendamenti ai vertici del governo ebbero nel F. un testimone preoccupato per le spinte centrifughe e per il risveglio del carlismo che quelle vicende avevano favorito: ciò gli impose un atteggiamento di estrema prudenza che lo indusse, nel rispetto delle raccomandazioni ricevute alla partenza da Roma, a mantenersi "neutrale nelle lotte di parte, a non suscitare diffidenze, né inclinare per uno piuttosto che per un altro partito" (Instrucciones, p. 310), ma finì anche per relegare in secondo piano gli scopi essenziali della sua missione, consistenti nel completamento del concordato del 1851.
Nel concistoro del 19 giugno 1899 Leone XIII annunziò la concessione della porpora al Francica. Per esigenze di servizio questi restò ancora alcuni mesi a Madrid in qualità di pronunzio, sicché il suo ritorno a Catania coincise con l'inizio del nuovo secolo.
Degli affari della diocesi catanese, ove vigeva il sistema della parrocchialità universa che concentrava tutto il potere spirituale nelle mani dell'arcivescovo, il F. aveva preso a occuparsi già nell'estate del 1897 quando, ottenuto un congedo trimestrale dalla nunziatura di Madrid, vi aveva compiuto la prima visita pastorale. Innovando completamente rispetto a colui che lo aveva preceduto (il cardinale G.B. Dusmet, morto nel 1894) e consapevole dell'insufficienza di un'azione puramente caritativa per combattere il disagio appena evidenziato dai Fasci siciliani, il F. non esitò a proiettare la fede sul terreno dei problemi sociali: a ciò lo avevano predisposto la sua cultura tomistica e gli anni trascorsi in Belgio durante i quali aveva assistito al forte sviluppo della legislazione sociale con il contributo decisivo del partito cattolico; a ciò lo indirizzava ora la persuasione che anche in Sicilia come nel resto del paese l'impegno diretto dei cattolici dovesse assecondare l'opera di diffusione e difesa della dottrina cristiana svolta dal clero. Favorì pertanto l'ingresso a Catania dell'Opera dei congressi, da lui considerata il momento associativo più idoneo a rilanciare la presenza attiva della Chiesa nella vita di un paese che gli pareva corrotto dal liberalismo e disgregato moralmente dagli stessi principî che ne avevano favorito l'unificazione.
Nel dare applicazione concreta a questi propositi di rinnovamento il F. curò che si approntasse una trama di strutture che comprendevano, "oltre il Circolo della gioventù democratica cristiana, quello degli Studenti Leone XIII, il Circolo universitario e l'Unione professionale che raduna gli operai sotto il vessillo della Democrazia cristiana" (Giarrizzo, p. 179). Nella sua attività non si avvertivano tanto le intenzioni di riscossa contro lo Stato liberale quanto l'idea che bene avesse fatto Leone XIII a superare l'intransigenza di Pio IX accettando la sfida delle nuove istituzioni là dove esse si erano rivelate insufficienti, e cioè nella soluzione di quei problemi delle masse per i quali il Vangelo sembrava potesse rivelarsi molto più efficace dello statuto. Più ancora stava a cuore al F., che certo non era un fautore della democrazia, il miglioramento della preparazione del clero cittadino soprattutto in campo liturgico, settore nel quale la tradizione ereditata dal passato aveva conservato elementi di esteriorità e perfino di superstizione che egli riteneva necessario combattere: in questo la traduzione di alcune opere del Mercier e poi l'invio a Lovanio dei migliori seminaristi siciliani gli parvero il rimedio più efficace contro il perdurare di un modello di sacerdote magari ben visto dai fedeli ma rozzo e incolto.
Tra il 1897 e il 1923 il F. effettuò sei visite pastorali, convocò un congresso eucaristico diocesano (1905), un congresso cattolico regionale e un'accademia musicale e letteraria (1908, anno del giubileo dell'episcopato); ma il momento più alto del suo apostolato fu costituito dal sinodo diocesano, riunito a Catania tra il 14 e il 16 apr. 1918: era il primo che si tenesse da 250 anni e, con i suoi 38 decreti, rappresentò il vero punto d'arrivo della linea pastorale seguita dal Francica. Poi venne la decadenza della vecchiaia. In questi anni sono da segnalare soltanto i preparativi per la celebrazione del ritorno delle reliquie di s. Agata (per l'occasione il 31 maggio 1926 il maestro L. Perosi inaugurò il nuovo organo del duomo); intanto era stata accolta la sua istanza per la nomina di mons. E. Ferraris, suo ausiliare dal 1911, a coadiutore con diritto di successione.
Il F. morì a Catania il 7 dic. 1928.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Bruxelles, bb. 52-58; Nunziatura di Madrid, bb. 616-637 (le istruzioni sono state pubblicate da A. Simon, Instructions aux nonces de Bruxelles (1835-1889), Bruxelles-Rome 1961, ad Indicem; F. Diaz de Cerio - M.F. Nuñes y Muñoz, Instrucciones secretas a los nuncios de España en el siglo XIX (1847-1907), Roma 1989, ad Indicem); Arch. della Curia arcivescovile di Catania, Fondo Nava (utilizzato da G. Di Fazio, La prima visita pastorale di G. F.N. nella diocesi di Catania (1897-1899), in Ricerche di storia sociale e religiosa, n.s., VII [1978], 13, pp. 126-148, poi ripreso come introduzione al volume dello stesso La diocesi di Catania alla fine dell'Ottocento nella visita pastorale di G. F.N., Roma 1982); sempre al Di Fazio si deve la voce in Diz. stor. del movim. catt. in Italia 1860-1980, Casale Monferrato 1984, III, 1, s.v., e il profilo (in collaborazione con E. Piscione) Un neotomista siciliano: il card. G. F.N., in Sapienza, XXIV (1981), pp. 203-212. Più completo ma di difficile reperibilità è il lavoro di A. Toscano Deodati, Il card. G. F.N., arcivescovo di Catania, Milano 1962; qualche ulteriore indicazione si ricava dai necrologi della stampa catanese, in particolare del Giornale dell'Isola e del Corriere di Catania, nonché da F. Procaccini di Montescaglioso, La Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici, Roma 1889, p. 64; dalla Raccolta di scritti sulla cattedrale di Catania, a cura di A. Longo, Catania 1975, pp. 87 s., e da G. Giarrizzo, Catania, Bari 1986, ad Indicem. Per il ruolo avuto dal F. nello sviluppo del cattolicesimo sociale in Sicilia, A. Sindoni, Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale…, II, Roma 1984, ad Indicem. Per il sinodo del 1918 si veda la relazione Synodus diocesana Catanensis… celebrata anno MCMXVIII, Cataniae 1918.