FROLA, Giuseppe
Primogenito di una famiglia dell'alta borghesia, con possedimenti e castello a Montanaro nel Canavese, nacque a Torino il 5 genn. 1883 da Secondo, noto avvocato civilista e uomo politico subalpino, e da Luisa Balbis, agiata possidente piemontese. Dopo gli studi classici al liceo "Cavour" di Torino, ove ebbe già modo di conoscere F. Gabotto, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza torinese, seguendo una secolare tradizione di famiglia.
Sin dagli anni universitari fu attratto dalle ricerche storiche e si legò alle iniziative della Società storica subalpina, fondata e ispirata dal Gabotto, che tra la fine del secolo XIX e l'inizio del successivo stava vivificando con indubbio attivismo - ma non senza contrasti - gli studi di storia subalpina, incontrando adesione nell'élite piemontese del tempo.
Si laureò il 10 luglio 1905 con il massimo dei voti, discutendo una tesi sugli statuti canavesani con Francesco Ruffini, ordinario di storia del diritto italiano nell'ateneo torinese, anch'egli canavesano, su un argomento che attirava l'attenzione di quel cenacolo di intellettuali piemontesi, per lo più imparentati fra loro (G. Giacosa, V. Avondo, L. Albertini), che con A. Boito, A. D'Andrade e altri erano affascinati dalla ricostruzione neogotica del medioevo subalpino a livello storico, istituzionale e architettonico. Nel frattempo il padre, senatore dal 14 giugno 1900, era divenuto sindaco di Torino (1903-09), in un periodo di particolare importanza per la città. Il giovane F. rifiutò l'attività forense, per dedicarsi a ricerche storiche e storico-giuridiche, frequentando gli ambienti culturali subalpini con un ampio ventaglio d'interessi, tra i quali si segnalavano - oltre quelli giuridici - quelli artistici, archeologici e architettonici. L'inserimento nei circoli intellettuali torinesi fu rapido, favorito da un entusiastico impegno giovanile e dalle conoscenze assicurate dalla notorietà paterna.
Nel 1905 pubblicò due articoli sugli statuti canavesani nella rivista diretta dal Gabotto: con essi il giovane autore intendeva inserirsi in quel filone di studi, sollecitato sin dalla metà dell'Ottocento ma nel complesso solo saltuariamente coltivato, che aspirava a dedurre principî generali dalla comparazione fra i diversi statuti medievali.
Le aspettative espresse nella prima metà dell'Ottocento, fra gli altri da F.C. Savigny e da L. Fortis, avevano portato a edizioni di singoli statuti comunali, ai repertori statutari prima di A. Valsecchi (1857), F. Berlan (1858) e F. Bonaini (1851), poi di L. Manzoni (1876-93), G. Gonetta (1891) e L. Fontana (postumo, 1907) e a studi settoriali di carattere comparativo dei vari V. e F.G. La Mantia, A. Lattes, L. Zdekauer, ma non avevano nel complesso raggiunto i risultati sperati di individuazione di caratteristiche generali del fenomeno statutario. Abbandonando il tradizionale esame dei grandi comuni, effettuato per lo più in un'ampia area geografica (non sempre correttamente comparabile), il giovane F. concentrava la sua attenzione su un territorio limitato, quello canavesano, costellato di tante piccole comunità, e si prefiggeva un obiettivo forse meno pomposo, ma più concreto e operativo. L'articolo riguardante prima l'Indice deglistatuti canavesani e poi la Classificazione degli statuti (in Boll. storico-bibliogr. subalpino, X [1905], pp. 129-150) mirava a un inquadramento dei diversi tipi di statuto in funzione di una successiva comparazione fra situazioni assimilabili: esso appare oggi piuttosto datato, ma era l'indubbia premessa - anche concettualmente chiarificatrice - per il lavoro successivo. Un primo passo verso l'analisi comparata degli statuti si trova poi nell'altro articolo su Il diritto pubblico negli statuti canavesani (ibid., pp. 247-287), che ricostruisce gli organi delle comunità canavesane nel Medioevo e che ancor oggi - pur con alcuni limiti - presenta un valido quadro delle diverse magistrature locali.
Forte della conoscenza dei numerosi manoscritti (oltre una quarantina) degli statuti delle varie comunità canavesane, egli venne maturando il programma di una loro pubblicazione integrale, che - secondo il modello delle grandi iniziative editoriali - illustrò in quattro significative pagine di lancio, Per un corpus statutorum Canapicii (termine quest'ultimo poi giustamente mutato in Canavisii). Egli iniziava così un'opera attenta e paziente di reperimento documentario, di trascrizione e di commento dei diversi statuti in archivi e biblioteche, che lo terrà impegnato sino alla morte. Mentre attendeva a questo lungo lavoro, il F. seguiva il prorompente attivismo editoriale del Gabotto dando alle stampe due altre pubblicazioni basate su documenti inediti (Due relazioni inedite dell'assedio e della battaglia di Torino nel 1706, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, XI [1906], pp. 1-11; Il cartario di Santa Maria di Belmonte e di San Tommaso di Buzzano, in Cartari minori, Pinerolo 1909, II, pp. 59-104), reperiti in archivi e biblioteche in Piemonte e a Roma, ove si recava spesso, attratto dalla tradizione e dalle vestigia della storia romana nonché dalla frequentazione di intellettuali e nobili nella capitale.
Il F. si impegnò anche direttamente per la valorizzazione del patrimonio artistico e archeologico, fra l'altro svolgendo nel 1906 la funzione di segretario della Società di archeologia e belle arti per la provincia di Torino (un contributo su Tombe romane scoperte in Torino è in Atti della Società piemontese di archeologia e belle arti, VIII [1910], pp. 25-27), ricoprendo pure in seguito a Torino cariche nel campo della locale salvaguardia monumentale. Coinvolto con il D'Andrade e Cesare Bertea nel Comitato piemontese per l'Esposizione universale di Roma del 1911, si segnalò tra i più attivi organizzatori ed ebbe l'occasione di seguire le vicende del recupero del patrimonio archeologico romano guidato da Giacomo Boni.
Il suo programma di edizione degli statuti canavesani proseguiva intanto con pazienza, impegno e perspicacia per oltre un decennio. Il Corpus statutorum Canavisii, pronto nella parte di edizione delle fonti ma non ancora nel commento, vide le stampe postumo a Torino nel 1918, per iniziativa della famiglia, con la supervisione del Gabotto.
Il Corpus statutorum Canavisii è l'unica raccolta organica di statuti di un'intera ampia area territoriale effettuata in Italia: con una completezza, che non è stata sinora praticamente smentita, offre l'edizione, criticamente corretta, di 117 fonti normative (franchigie, statuti, capitoli, convenzioni, ecc.) delle diverse comunità canavesane. Grazie all'accessibilità del corpus, tali statuti sono stati in seguito utilizzati da studiosi italiani e stranieri nei loro lavori monografici sulla storia di singoli istituti giuridici (A. Alberti, F. Niccolai, U. Nicolini, G. Dilcher). Il F. ne ha eccettuato volutamente Ivrea, sia perché città sia perché la prima raccolta di statuti eporediesi era già stata edita da P.L. Datta, col titolo Statuto civitatis Eporediae, in Historiae Patriae Monumenta, II, Augustae Taurinorum 1838. Nella parte iniziale della Prefazione (pp. I-XI) il F. individua il Canavese con il territorio per lo più a suo tempo soggetto ai diversi rami comitali degli Arduinici (ma anche al vescovo d'Ivrea e all'abate di Fruttuaria), allineandosi quindi alle ricostruzioni genealogiche usuali nella storiografia a lui coeva. L'edizione documentaria non è però suddivisa in base alla soggezione politica, bensì in ordine alfabetico per località, con disposizione cronologica delle fonti che si riferiscono alla stessa comunità. La frenesia editoriale del gruppo gabottiano non contagiò il F., che procedette con cautela e scrupolo nella trascrizione dei manoscritti pazientemente ritrovati e avviò un esame e una comparazione coordinati e approfonditi degli statuti canavesani con contributi settoriali, che purtroppo lasciò privi di quella sintesi generale a cui mirava. Riuscì invece già a compilare utili indici di luoghi e persone e soprattutto degli argomenti, nonché un prezioso glossario, editi nella parte finale del terzo volume. Gli studi già completati, editi nella prefazione del Corpus (pp. XII-LXXXVI), portano già un contributo di un certo interesse al fenomeno dell'imitazione, in parecchi casi documentando concretamente le derivazioni e i legami di numerosi statuti di località del Canavese settentrionale, fornendo così una diretta esemplificazione per quella che sarà una prima sintesi generale del diritto statutario edita dal Besta nel 1925. L'organicità e la bontà della raccolta del F. hanno reso esemplare il suo corpus statutario, al punto di farlo prendere a modello per successive opere via via progettate per altre zone piemontesi dal Barelli (Corpus statutorum marchionatus Cevae) o dal Viora (Corpus statutorum Montisferrati), ma mai realizzate, anche per l'indubbia difficoltà di tali raccolte. Il lavoro del F. giunse invece a compimento, almeno per quanto riguarda l'edizione delle fonti, nonostante la prematura scomparsa dell'autore, e costituisce "un primo tentativo di una raccolta possibilmente completa di statuti regionali", secondo l'obiettivo prefissato (Per un corpus…). Esso, affiancato dall'edizione degli statuti eporediesi, offre quindi tutta la normativa comunale del periodo intermedio per un'ampia area territoriale, quale quella canavesana, favorendone uno studio comparato, che per altre regioni italiane non può essere neppure concepito. Il Corpus statutorum Canavisii manifesta quindi un'organicità e una completezza editoriale, che lo fanno apprezzare anche oltre la pubblicazione delle singole fonti, a differenza del Corpus statutorum italicorum lanciato in quegli stessi anni (1912) da Pietro Sella, che nei suoi circa venti volumi (1912-42) presenta in modo occasionale l'edizione degli statuti più disparati per tipologia e area geografica.
Lo studio degli istituti giuridici medievali attraverso la comparazione statutaria, avviato negli ultimi decenni dell'Ottocento e proseguito nei primi del nostro anche grazie a edizioni documentarie favorite dal positivismo dell'epoca, ha subito in seguito una battuta d'arresto con l'affermazione dell'idealismo e con le critiche che - dall'ottica del diritto comune - sono state mosse sul piano metodologico da Francesco Calasso a una comparazione sprovveduta fra ogni tipo di statuti. Da circa un decennio, invece, il recupero del diritto locale non solo da parte di un gruppo di storici del diritto ma anche - e soprattutto - da parte di numerosi altri storici (dell'economia, del territorio, del costume, dell'arte, della società, ecc.) ha fatto riemergere un vivo interesse per gli statuti comunali e per una loro ragionevole comparazione. Per questo rinnovato filone d'interessi il corpus del F. è tra le fonti più accessibili, complete e affidabili e offre prezioso materiale di studio per la conoscenza della disciplina giuridica locale e per le testimonianze più disparate della vita e della civiltà contadina di un'area territoriale omogenea quale quella canavesana tra il basso medioevo e la prima età moderna.
Di gracile costituzione fisica il F. morì a Torino il 28 luglio 1917.
Fonti e Bibl.: F. Gabotto, Relazione sull'operato della Società storica subalpina dopo il congresso di Novara, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, XX (1916), pp. V, X; Id., G. F., in Corpus statutorum Canavisii, Torino 1918, I, pp. 5-11 (alle pp. 15-55 altre commemorazioni e ricordi di P. Boselli, C. Bertea, L. Bistolfi, G. Boni, G. Faldella, F. Patetta, F. Ruffini); E. Besta, Fonti: legislazione e scienza giuridica dalla caduta dell'Impero romano al secolo decimosesto, in Storia del diritto italiano, diretta da P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, pp. 558-560; G. Chiarodo, G. F., in Prisma canavesano, Ivrea 1947, pp. 42 s.; G. Ponchia, Il conte G. F. giurista e storico, Montanaro 1969; Id., Sulle "allée" tra le "bealére", Montanaro 1970, p. 12; G.S. Pene Vidari, Aspetti deldiritto successorio in Canavese nel tardo Medioevo, in Studi piemontesi, IV (1975), 1, pp. 88-94; M. Viora, Per una bibliografia statutaria piemontese, in Riv. di storia del dir. italiano, LI (1978), p. 93; M. Bertotti, Documenti di storia canavesana, Ivrea 1979, pp. 150 s., 201; G.S. Pene Vidari, Le comunità canavesane del basso Medioevo fra signori e libertà, in Cultura subalpina 1980, a cura di P. Ramella, Ivrea 1981, pp. 222-235; M. Bergandi, G. F., un montanarese da ricordare, in Il Canavesano 85, Ivrea s.d. (1984?), pp. 63-66; P. Venesia, Il Medioevo in Canavese. Aspetti di vita popolare, I-II, Ivrea 1985-1987, passim (in specie I, p. 200; II, p. 184); A.M. Nada Patrone, Il Medioevo in Piemonte, Torino 1986, p. 340; G.S. Pene Vidari, Censimento ed edizione degli statuti, con particolare riferimento al Piemonte, in Arch. stor. ticinese, XXXII (1995), 118, pp. 272, 284; Id., Un ritorno di fiamma: l'edizione degli statuti comunali, in Studi piemontesi, XXV (1996), 2, pp. 334 s., 340.