GABETTI, Giuseppe
Nato a Dogliani, nelle Langhe, il 5 apr. 1886, da Lorenzo e da Maria Cappa, dopo aver seguito gli studi medi e liceali a Mondovì (1898-1901) e a Savona (1901-04), si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Torino, dove si laureò nel 1908 con una tesi su Giovanni Prati (poi pubblicata in una versione ampiamente arricchita, Giovanni Prati, Milano 1912), di cui fu relatore Arturo Graf.
Sull'ultima formazione universitaria influì però soprattutto Arturo Farinelli, titolare della cattedra di letteratura tedesca dal 1907. Questi lo avviò agli studi di germanistica e lo accompagnò a Monaco di Baviera, introducendolo nell'ambiente universitario e avviandolo alle ricerche nella grande Staatsbibliothek. Per quattro semestri il G. studiò germanistica medievale con Hermann Paul e letteratura tedesca moderna con F. Munken e J. Petersen.
Frutto di questi studi fu la pubblicazione di lavori di grande mole e impegno: Le Affinità elettive del Goethe come espressione di una crisi pessimistica (ibid. 1914); Der Einfluß der ersten Reise nach Deutschland auf Frau von Staëls literarische und philosophische Anschauungen (Torino 1914); Conflitto di nazionalità e idea del Fato nella "Medea" del Grillparzer (ibid. 1914); Augusto Platen e la bellezza come ideale morale (Genova 1915); Il dramma di Zacharias Werner (Torino 1916).
Dal "dialettico rapporto fra cultura filologico-positiva e sensibilità estetica scaturisce […] il timbro particolare della pagina di Gabetti, e la sua collocazione entro una prospettiva critica in cui l'erudizione della scuola storica s'incontra (diversamente, per altro, da quanto avviene in Farinelli) con le nuove teorie del Croce. Serbò il gusto attento alle premesse culturali e alle circostanze psicologiche del lavoro poetico, che anzi volle costantemente indagare attraverso ricostruzioni pazienti, ma vide poi in esso - sempre - il frutto di una soggettività assoluta che ogni esperienza riplasma a sua immagine, e in cui si manifesta la legge stessa dell'attività creativa, ossia la liricità dell'arte" (Chiarini, pp. 2984 s.).
Nel 1915 il G. vinse per concorso la cattedra di lingua e letteratura tedesca all'Università di Genova, ma, richiamato alle armi con il grado di tenente di artiglieria, venne inviato al fronte. Nel 1917 venne chiamato a ricoprire la cattedra per la stessa disciplina all'Università di Roma, ma poté iniziarvi le lezioni solo nel 1919, a guerra finita.
A Roma trascorse il resto della sua vita impegnato in molteplici attività oltre all'insegnamento universitario che attrasse molti allievi.
Alla Sapienza pochi studenti di germanistica riuscirono a sottrarsi al "fascino fumigante di Gabetti" (Baldini), alle eccezionali qualità che egli "riversava nelle lezioni, difficili da seguire (e ancor più da portare agli esami) non per mancanza di chiarezza, ma proprio per la rete di riferimenti, illuminazioni, accostamenti, digressioni di cui erano dense. Lezioni difficili, dunque, ma straordinariamente feconde e suggestive, che davano il senso profondo di che cosa è la letteratura, di che cos'è la cultura" (Lombardo, p. 33).
Dal 1925 al 1936 diresse, insieme con il Farinelli, la sezione di letterature germaniche dell'Enciclopedia Italiana, per la quale condivise con S. Battaglia anche la responsabilità redazionale delle letterature straniere fino al 1932. Redasse oltre 300 voci, alcune delle quali sono compiute monografie, dedicando ampio spazio alle letterature scandinave.
Negli anni Trenta fu l'ideatore, insieme con Konrad Adenauer in quegli anni borgomastro di Colonia, del Petrarca Haus aperta nella città renana.
Nel 1932 venne inaugurato nella settecentesca villa Sciarra sul Gianicolo, donata allo Stato italiano da Henriette Wurts Tower in memoria del marito, l'Istituto italiano di studi germanici con l'obiettivo di promuovere gli studi italiani di germanistica ed estenderli alle letterature scandinave. La realizzazione di questo progetto fu la principale impresa del G., cui dedicò le migliori energie e non pochi anni della sua vita.
Per raggiungere gli scopi che si era prefisso egli iniziò a porre le basi di una biblioteca specialistica, partendo - per la sezione di storia letteraria - dall'acquisizione del grande "fondo" del comparatista di Breslavia Max Koch; costituì poi le sezioni di storia, filosofia, musica, arte e, infine, letteratura olandese, norvegese, danese, svedese e islandese. Organizzò lettorati e seminari di specializzazione in storia letteraria, filologia, storia, storia dell'arte, della musica e delle religioni; promosse convegni e conferenze cui invitò personalità della cultura europea.
Nel 1935 fondò la rivista Studi germanici, organo dell'Istituto, e le collane "Studi di critica e di estetica", "Il romanticismo tedesco", "Biblioteca germanica", "Collana nordica".
Il filosofo Carlo Antoni così ricordava (1963) la sua esperienza di assistente dell'Istituto: "Egli volle accanto a sé dei giovani che avevano anche interessi culturali diversi dai suoi, non dunque discepoli da formare, ma dei collaboratori nello studio della vita e della storia dei popoli germanici. Ci lasciò piena libertà di lavoro, stimolandoci e incoraggiandoci e gioiendo dei nostri successi come fossero suoi. Chi conosce la natura dei letterati e dei dotti, dovrà ammettere che questa sua generosità è la più rara che si possa trovare".
A partire dal 1920 pubblicò: Hebbel e Wagner nella evoluzione del dramma tedesco del secolo XIX (in Nuova Antologia, 16 ag. 1920, pp. 326-343); Il problema tragico della "Pentesilea" di Enrico Kleist (in Arte e vita, II [1921], pp. 59-67, 124-130); Nietzsche e Leopardi (in Il Convegno, IV [1923], pp. 441-461, 513-531; V [1924], pp. 5-30); La poesia romantica dell'anima borghese: Teodoro Storm (ibid., VI [1925], pp. 458-480, 591-601; La poesia di Hölderlin (ibid., VIII [1927], pp. 627-648; IX [1928], pp. 1-13). Con il volume La poesia di Mörike e di Lenau (Roma 1926), che per il Chiarini fu il lavoro del G. "più limpido e fermo", si appalesò in pieno un nuovo e più consapevole stadio del metodo gabettiano: "qui, riprendendo il filo di un discorso che l'autore aveva già avviato dodici anni prima con il saggio sul Platen, egli può realizzare fino in fondo, nella pagina, il suo temperamento di lettore squisito e sensibile, risolvendo per intero nell'analisi formale il dato filologico e la rete vastissima di rapporti eruditi che lo sottendono" (Chiarini, p. 2990).
L'interesse per le letterature nordiche, già manifestato da un primo articolo, L'arte di Jacobsen (in Il Convegno, VII [1926], 4-5), trasse conferma dai saggi apparsi in L'Europa nel secolo XIX (Padova 1927) su J.P. Jacobsen (L'epilogo dell'evoluzione romantica, pp. 263-289), su H. Ibsen e A. Strindberg (L'interpretazione eroica dei problemi della coscienza moderna, pp. 290-318), su W. von Heidenstam e Selma Lagerlöf (La poesia in stile di leggenda, pp. 319-346), poi ripubblicati in Letterature scandinave (Padova 1927), e dalle traduzioni dallo Jacobsen: Niels Lyhne (Milano 1929), Maria Grubbe (ibid. 1930), Mogens e altri racconti (ibid. 1934).
In Studi germanici iniziò nel 1935 la serie di Poeti nordici con un articolo su Gustaf Fröding (vol. 1, pp. 244-265) e nel 1938 avviò quella di Poeti contemporanei: presentazioni, con Joseph Weinheber (ibid., vol. 3, pp. 29-37, 163-184), cui seguì Friedrich Bischoff (ibid., pp. 345-362); da ricordare ancora Problemi in discussione: l'Italia e la poesia di Rilke (ibid., 1944, vol. 6, pp. 17-34; 1971, vol. 9, pp. 83-95).
Dal 1940 al 1948 diresse la sezione di letteratura tedesca del Dizionario letterario Bompiani delle 0pere e dei personaggi: una collaborazione che si concretò nella redazione delle voci più importanti e nella revisione di centinaia di articoli. L'ultimo suo lavoro fu un Commento al Faust di W. Goethe, rimasto inedito (conservato presso la famiglia; altri inediti presso il Museo storico archeologico G. Gabetti di Dogliani).
Il G. morì a Roma il 3 apr. 1948.
"Nutrito dei succhi delle culture più diverse, aperto all'orizzonte europeo con uno spirito lucido che sapeva ordinare dall'alto le più varie esperienze, egli è stato uno di quegli studiosi che per la ricchezza del temperamento e i risultati d'indagine e d'informazione raggiunti nei più svariati campi del pensiero, meritano il nome di maestro. Quest'uomo, che nell'aspetto non portava alcun segno dell'intellettuale, era invece un testimone dello spirito. Difficile e chiuso nei primi incontri, si apriva facilmente coi giovani in un dialogo vivo che costituiva il modo di formazione essenziale del suo pensiero. L'intuizione artistica faceva in lui tutt'uno con l'intuizione morale e questa facoltà di comprendere e di donarsi portò Gabetti a rinunciare ad un'opera creativa per dedicarsi a una missione educatrice con una fede che lo tenne sempre lontano dalle sorde competizioni e dalle gelosie personali" (Bompiani, pp. 15 s.).
Fonti e Bibl.: V. Santoli, G. G., in Riv. di letterature moderne e comparate, III (1948), pp. 150-152; B. Tecchi, Umanità di un maestro, in La Fiera letteraria, 9 maggio 1948 (poi in Officina segreta, Caltanissetta 1957, pp. 87-92, e quindi nel volumetto miscellaneo citato appresso); D. Cantimori, Un amico della Svizzera italiana, in Svizzera italiana, VIII (1948), pp. 92 s. (quindi nel volumetto miscellaneo citato oltre); In memoria di G. G. (testimonianze di C. Antoni, V. Bompiani, G.A. Alfero, G.V. Amoretti, L. Bianchi, R. Bottacchiari, C. Grünanger, I. Maione, V. Santoli, L. Vincenti, B. Tecchi, D. Cantimori, B. Taricco), Dogliani 1960; C. Antoni, Ricordo di G. G., in Studi germanici, n.s., I (1963), pp. 5-18 (testo della commemorazione tenuta il 16 dic. 1948 nella sede dell'Istituto italiano di studi germanici in Roma). Cfr. inoltre B. Tecchi, Scrittori tedeschi del Novecento, Milano 1944, pp. 365-371; G. Baldini, Le rondini dell'Orfeo, Torino 1963, pp. 224-240; P. Chiarini, G. G., in Letteratura italiana. I critici, Milano 1970, pp. 2983-2992, 2999-3001; A. Lombardo, Le scuole di letterature e filologie straniere, in Le grandi scuole della Facoltà di lettere e filosofia, Roma 1994, pp. 330 s.