GALLETTI, Giuseppe
, Giuseppe. Nacque a Bologna l'11 ag. 1798 da Pietro e Anna Benassi. Conseguita nel 1819 la laurea in legge nella città natale, cominciò a esercitarvi la professione di avvocato, conquistandosi una vasta clientela. Nel 1825 sposò Carlotta Mandini, dalla quale ebbe cinque figli.
Di sentimenti democratici, seppure esponente tra i più moderati, fin dai primissimi anni Venti fu partecipe del fervore patriottico e indipendentista che caratterizzava Bologna in quel periodo. Se inizialmente il suo impegno si tradusse soprattutto in un'opera di propaganda e nell'organizzazione di alcune riunioni di carbonari nella propria abitazione usando a pretesto la comune passione per la musica, il battesimo del fuoco lo ebbe con i moti del 1831, quando partecipò alla presa di Cento, conquistandosi i gradi di capitano della guardia nazionale, e fu nominato rappresentante all'Assemblea delle Provincie Unite. Poco dopo combatté a Rimini sotto la guida di C. Zucchi; conclusasi la rivoluzione, collaborò con il prolegato C. Grassi, finché, visto impossibile ogni accordo con Roma, guidò una compagnia della guardia civica a Cesena (20 genn. 1832) per contrastarvi l'ingresso delle truppe pontificie.
A partire dal ripristino dell'autorità ecclesiastica il G. venne sottoposto a sorveglianza di polizia e il suo nome inserito nel cosiddetto Libro dei sospetti, compilato fin dai primi mesi del 1832 per ordine del card. G. Albani, commissario straordinario delle Legazioni di Romagna. Data a questo periodo l'appartenenza del G. alla setta degli Apofasimeni, fondata da F. Buonarroti e appena diffusasi a Bologna. Alla sua sorte furono accomunati anche il fratello Giovanni, il quale - per aver preso parte ai moti di Rimini e Cesena - fu licenziato dal suo impiego amministrativo nella Legazione e fu costretto a stabilirsi all'Avana a partire dal 1835, e le sorelle Adelaide, Teresa e Carlotta, sottoposte a un'indagine dopo breve tempo archiviata. Il 28 apr. 1833 la partecipazione del G. ai funerali, non autorizzati dalla locale polizia, dell'avvocato R. Tognetti, uno dei professionisti bolognesi legati al movimento liberale, gli procurò un confino di circa un mese a Ferrara. Il 29 marzo 1838 incappò in un'altra disavventura giudiziaria: rinviato a giudizio perché accusato di aver nascosto nella sua abitazione due fucili militari, riuscì a discolparsi e a ottenere, ben tre anni dopo, l'assoluzione.
Durante quegli anni il G. mantenne tuttavia i contatti con il movimento degli esuli attraverso una fitta corrispondenza e alcuni viaggi apparentemente dettati da motivi professionali. Nel 1840, insieme con A. Aglebert, G.C. Mattioli e altri, fu tra i dirigenti del comitato che doveva coordinare i collegamenti con altri comitati, specie delle Romagne, della Toscana e del Piemonte, nell'attesa del momento propizio per una sollevazione, della cui organizzazione si sarebbe dovuto occupare un secondo comitato, tra i cui capi figurava il conte L. Zambeccari. Nonostante le repressioni della polizia, che appariva sempre ben informata dei disegni patriottici, e alcune perplessità sul fatto che i tempi fossero maturi per un'insurrezione, il G. e i suoi compagni proseguirono tuttavia i propri convegni, nel corso dei quali prendeva sempre più corpo l'idea che la rivoluzione dovesse nascere a Roma per poi espandersi in tutta la penisola. In questa posizione il G. si trovò in netto contrasto con L.C. Farini, che dall'esilio premeva perché fosse invece Bologna ad assumere questo ruolo.
Dalla decisione di fare della Dominante il luogo d'origine della grande sollevazione nazionale scaturirono i rapporti con uno dei maggiori esponenti rivoluzionari romani: l'avvocato M. Montecchi, con il quale corse una fitta corrispondenza in codice, tenuta spesso per il tramite di A. Maccolini, rappresentante del comitato toscano. L'intercettazione di queste lettere da parte della polizia, e soprattutto della cambiale con la quale il 22 aprile il G., sotto il falso nome di Pietro Gervasi, inviava al Montecchi la modestissima somma di 700 scudi raccolta tra i membri del suo comitato, fu fatale all'avvocato bolognese. Arrestato il 1° maggio 1844 e tradotto dopo pochi giorni a Roma, vi veniva processato per cospirazione insieme con il cugino e collega A. Rizzoli, anch'egli di Bologna, e ai complici nella capitale, dove ormai il movimento insurrezionale era stato pressoché decapitato.
La sua difesa si rivelò nell'occasione assai ingenua, né il debole patrocinio del difensore G. Morandi lo aiutò a contrastare l'accusa del tribunale, sostenuta da G. Mordioni. D'altronde, anche a causa delle confessioni di alcuni arrestati, la rete cospiratoria era ormai venuta pressoché completamente allo scoperto e ben poco potevano fare gli imputati per attenuare le proprie responsabilità. Il processo si concluse il 21 ag. 1845, con la condanna al carcere a vita - oltre che del G. - di Montecchi, Mattioli e degli altri capi, mentre Rizzoli fu condannato a venti anni.
L'elezione al trono di Pio IX (1846), con la conseguente amnistia per i condannati politici, giunse in soccorso del G., che poté fare ritorno a Bologna dove partecipò, tra il 1846 e il '47, alla pubblicazione del giornale di ispirazione democratica e mazziniana Il Povero, ed entrò nelle file della guardia civica. Nello stesso periodo aderì anche alla "Conferenza economico-morale" organizzata da M. Minghetti, uno fra i massimi esponenti di quel moderatismo riformista che ormai aveva assunto l'iniziativa patriottica in città. A partire dall'amnistia il G., da fautore della necessità di abbattere il governo papale, si era intanto trasformato in strenuo sostenitore del pontefice "riformatore".
Fu probabilmente grazie alla notorietà ormai acquisita e all'amicizia con un personaggio potente come l'ex segretario di Stato card. G. Ferretti e con un intimo del pontefice quale il noto chirurgo e concittadino P. Baroni che il 10 marzo 1848 il G. venne nominato da Pio IX ministro di Polizia nel primo ministero laico Antonelli - Recchi. Non è inoltre da escludere che la nomina puntasse in qualche modo a tenere a bada l'estrema sinistra liberale, portando al potere un elemento proveniente dalle sue file. G. Spada, dal canto suo - nella Storia della rivoluzione di Roma - attribuisce il conferimento dell'incarico al G. alle pressioni esercitate dal Recchi sul papa.
Nonostante la disillusione che gli dovette procurare l'allocuzione del 29 aprile, che sanciva la fine delle speranze "giobertiane" di un'indipendenza nazionale da raggiungersi sotto le bandiere pontificie, il G. acconsentì egualmente a entrare, con lo stesso incarico, nel gabinetto Mamiani, insediatosi il 4 maggio, e in quello Fabbri del 6 agosto. Anche dopo il rifiuto papale di opporsi all'occupazione austriaca di Ferrara il G. - che il 15 giugno era stato eletto deputato per il collegio di Castelmaggiore - ritenne di poter operare per spingere il pontefice all'azione. Visto il diniego di quest'ultimo e mentre Bologna era di fatto ancora in preda ai disordini scoppiati l'8 agosto, il 5 settembre egli lasciò finalmente il ministero per tornare nella sua città, pur mantenendo formalmente il proprio mandato fino alla nomina del successore del dimissionario Fabbri, Pellegrino Rossi (2 novembre). Questi acconsentì a che il G. fosse nominato presidente del tribunale d'appello di Macerata, probabilmente per eliminare un personaggio ora ritenuto troppo poco moderato dall'elenco dei pretendenti a un dicastero. In realtà il G. non esercitò mai l'ufficio attribuitogli e anzi, dopo l'assassinio del Rossi, avvenuto il 15 novembre, egli ritornò a Roma e lo stesso giorno fu incaricato dal pontefice di dar vita al ministero nominalmente guidato da C.E. Muzzarelli, nel quale occupò la carica di ministro dell'Interno e di Polizia, oltre a quella di generale comandante dei carabinieri.
Ormai ben poco era possibile per salvare quest'ultimo governo e il G., con il suo temporeggiare, per poi non darvi esito, sulla richiesta di istituire una commissione d'inchiesta sull'assassinio dello statista, si era definitivamente inimicato l'ala moderata capeggiata dal Minghetti. Il ritorno nella capitale il giorno stesso dell'omicidio e le sue frequentazioni con membri del Circolo popolare romano, primo fra tutti P. Sterbini, che sembravano non essere estranei alla congiura, fecero tra l'altro comparire, con tutta probabilità senza motivo reale, il suo nome tra quelli dei possibili complici nell'attentato. Il 24 nov. 1848, comunque, Pio IX fuggì da Roma, lasciando al G. l'incombenza di provvedere all'ordine pubblico, ciò che egli fece in un ultimo vano tentativo di salvare quanto fin lì ottenuto.
Il 20 dicembre sostituì il conte G. Zucchini, senatore di Bologna, nella Giunta provvisoria di Stato, composta anche dal senatore di Roma, principe T. Corsini, e dal gonfaloniere di Ancona, conte F. Camerata. L'atto più importante del nuovo organismo fu la convocazione dell'Assemblea costituente, della quale il G., che ne era stato uno dei fautori, fu eletto presidente nella seduta del 7 febbr. 1849. Pur non essendo annoverabile tra i sostenitori della Repubblica, ne approvò comunque la proclamazione, contribuendo anzi alla stesura della costituzione. Si distinse anche nella resistenza all'assedio francese, durante il quale mantenne la carica di comandante dei carabinieri e fu anche per pochi giorni, dal 28 aprile al 5 maggio, capo di stato maggiore. Partecipò inoltre agli scontri di Velletri e di ponte Milvio, finché, caduta ormai la città, fu costretto a partire per Civitavecchia il 21 luglio.
Cominciò da quel momento la fase forse più triste della sua vita, inizialmente esule tra Torino, Genova e La Spezia e sottoposto alle critiche di ex compagni o avversari politici. Svanita la speranza di ottenere una cattedra universitaria o di impiantare una colonia agricola, per sopravvivere fu costretto ad accettare, sul finire del 1850, l'incarico di direttore delle miniere di piombo sarde di Monteponi, da dove si spostò due anni più tardi in quelle di Montevecchio. Qui rimase fino al novembre 1862, quando tornò a stabilirsi a Bologna. Erano nel frattempo falliti i suoi ultimi sforzi di riagganciarsi al carro della politica sia rivolgendosi a Cavour, che pur lusingandolo lo tenne lontano da ogni incarico ministeriale, sia giungendo a proporsi a Garibaldi quale suo ufficiale in occasione dell'impresa siciliana.
Un breve conforto a questo lungo declino gli fu offerto dalla candidatura a deputato nel collegio di Poggio Mirteto. Nella risposta di ringraziamento inviata il 2 ott. 1865 a C.M. Buscalioni, che gli aveva comunicato la notizia, il G., in parziale contrasto con gli atteggiamenti e i proclami precedenti, si dichiarava repubblicano fin dal 1859, quantunque avesse aderito al governo monarchico costituzionale in virtù della necessità di porre "al di sopra d'ogni altra cosa la unione e l'indipendenza nostra", e aggiungeva brevi righe su un programma di massima: lotta contro lo "sfacelo del Fisco", leggi speciali per l'incentivazione dell'agricoltura, unione di Venezia e Roma all'Italia. In realtà la sua attività in Parlamento, dove sedette a sinistra, durò lo spazio di una sola legislatura, quella dal 1865 al '67, e fu assolutamente marginale, né valsero a trarlo dall'oblio gli altri incarichi svolti nella città natale, dove fu consigliere comunale e provinciale, direttore della Banca popolare e presidente della Società operaia.
Il 26 luglio 1873 il G. morì a Bologna per un colpo apoplettico, mentre accarezzava, ormai vedovo, l'ultima speranza di trasferirsi nella nuova capitale d'Italia.
Personaggio tutto sommato di seconda linea, nonostante la tendenza ad attribuirsi meriti eccessivi e a sopravvalutare i risultati raggiunti nello svolgimento dei propri incarichi, il G. fu patriota leale, pur se, lungi dall'essere in grado di dirigere gli eventi, se ne lasciò piuttosto trascinare. Fu spesso utilizzato strumentalmente dagli elementi più radicali della Roma quarantottesca e questo suo atteggiamento lo inimicò definitivamente a rappresentanti riformisti come il Minghetti e il Farini. Quest'ultimo in particolare, nell'esprimere dapprima meraviglia per il fatto che un uomo, pur onesto ma "non sicuro per opinioni temperate" e senza esperienza pubblica, fosse stato chiamato a un ministero così delicato quale quello di Polizia, passava poi ad apprezzamenti decisamente più taglienti dipingendolo poco meno che come un ambizioso arrivista, "studioso di gradire a tutti" e "conciliatore di tutti gli estremi oppositi"; questo giudizio, spesso ingeneroso, sarebbe stato ripreso da altri storici e memorialisti (Spada, Minghetti) e contestato dal solo G. Gabussi che nelle Memorie per servire alla storia della rivoluzione degli Stati romani, avrebbe rivalutato l'opera e il patriottismo del G. e affermato che se di sua inesperienza si doveva parlare, questa pecca coinvolgeva lo stesso Farini e, in generale, la grande maggioranza dei ministri laici.
Opere a stampa del G. sono il poemetto Una zuffa a Bologna tra i borghigiani del Borgo Sampiero ed i Napoletani (Firenze 1846); la proposta di legge avanzata nel Consiglio dei deputati Discorso concernente alla riduzione delle ipoteche di evizione nel limite del bisogno e proposta di una nuova legge relativa (Roma 1848); il forte appello Ai popoli pontifici, redatto tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1848 - di pressoché certa attribuzione al G. - nel quale si critica aspramente il ministero Rossi e si inneggia alla necessità della guerra, a testimonianza di un ritorno del probabile autore a posizioni radicaleggianti; l'opuscolo di difesa dalle accuse rivoltegli per il suo operato dopo la fuga del pontefice Intorno alla pretesa sconoscenza verso Pio IX (Genova 1850), poi ripubblicato con alcune aggiunte e con il titolo Memorie del generale Giuseppe Galletti intorno ai fatti accaduti in Roma nel 1848 e 1849 ed osservazioni sulla condotta degli amnistiati verso Pio IX (Bologna 1863) e, infine, il racconto del periodo trascorso nelle carceri romane, La mia prigionia (ibid. 1870).
Fonti e Bibl.: Nell'Arch. di Stato di Roma sono consultabili gli interrogatori e gli atti del processo per cospirazione in Processi politici della S. Consulta, bb. 134, 156, ove si conserva anche un'opera inedita del G., Panegirico sesto, libello scritto forse nel 1832 narrante il ritorno delle truppe pontificie a Bologna nello stesso anno. Copia della sentenza, nonché un'informativa sul G. e su altri patrioti redatta dalla polizia nel 1834 e carte varie sono reperibili in: Misc. di carte politiche e riservate, bb. 94, 106, 111, 115; Misc. del periodo costituzionale, bb. 8, 36; Misc. della Repubblica Romana, bb. 88, 97. Un centinaio tra epistole e comunicazioni di diverso tipo, per la maggior parte risalenti al periodo 1848-49, è custodito a Roma presso l'Arch. del Museo centr. del Risorgimento. Tra esse, le più interessanti sono le lettere al card. L. Amat, legato di Bologna, b. 13; le comunicazioni intercorse con il Triumvirato di Mazzini, bb. 349, 542; le due lettere al Gabussi dalla Sardegna, b. 57. Il Museo civico del Risorgimento di Bologna, Pos. Galletti, bb. 1-3, conserva vari biglietti di carattere professionale anteriori al 1844, alcune poesie scritte tra il 1845 e il '46, le lettere alla moglie dello stesso periodo nonché quelle ad A. Rizzoli (1846-63), successivamente pubblicate da G. Maioli. L'elenco degli individui sospetti del card. Albani è stato pubblicato da A. Sorbelli nel Libro dei compromessi politici nella rivoluzione del 1831-32, Roma 1935.
Per il ruolo del G. nella Costituente si vedano Le Assemblee del Risorgimento, Roma 1911, VIII, pp. 11, 26; per gli interventi parlamentari tra il 1865 e il '67 Atti parlam.,Camera, Discussioni, legisl. IX, sess. 1865-66, I, p. 711; III, p. 3233; sess. 1866-67, I, pp. 105, 445. Tra i molti contemporanei che valutarono l'opera del G. si segnalano: G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluz. degli Stati romani, Genova 1851-52, I, pp. 159 s.; II, pp. 134, 160, 163, 166, 169; III, pp. 351 s.; L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, Firenze 1853, pp. 199, 442, 466, 484; G. Spada, Storia della rivoluz. di Roma e della restauraz. del governo pontificio…, Firenze 1869, II, pp. 100-103, 513, 533; M. Minghetti, Miei ricordi, Torino 1888-90, II, pp. 117, 124-128, 132, 332, 380 s., 397, 404, 430 s., 469. A.M. Ghisalberti, il maggior studioso del G., ha dato alle stampe i Ricordi autobiografici inediti di G. G., con nuovi documenti, Padova 1923, ed è autore di molti saggi, tra cui: Il ritorno delle truppe pontificie a Bologna nel 1832 in una narrazione contemporanea, in Rass. stor. del Risorgimento, XI (1924), pp. 984-998; Il capo di stato maggiore della Repubblica del 1849, ibid., XII (1925), pp. 681-686; I primi passi di un ministro, in L'Archiginnasio, XXIII (1928), pp. 322-331; G. G. ministro di Pio IX (marzo-sett. 1848), in Rass. stor. del Risorgimento, XVI (1929), pp. 321-354; Il ritorno di G. G. al ministero (16 nov. 1848), ibid., XVII (1930), pp. 367-384; Il tramonto di un ministro di Pio IX, in Roma, IX (1931), pp. 11-36; Il presidente dell'Assemblea Costituente, ibid., pp. 209-228; G. G. e le cospirazioni del 1843-1844, in Rass. stor. del Risorgimento, XX (1933), pp. 451-545; Un diario d'esilio di G. G., ibid., XXIV (1937), pp. 977-1006; Cospirazioni del Risorgimento, Palermo 1938; Ultime delusioni di G. G., in Rass. stor. del Risorgimento, LX (1973), pp. 3-19. V. inoltre: G. Natali, Dodici lettere di G. G. a S. Gherardi (luglio-agosto 1848), in Saggi e documenti di storia del Risorg. italiano, Bologna 1932, I, pp. 71-93; G. Maioli, La lotta fra liberali e reazionari in Romagna dopo la rivoluzione del 1831, in Camicia rossa, IX (1933), pp. 39-41; C. Zaghi, Lettere di G., Riboli e Finali al patriota Carlo Mayr, ibid., X (1934), pp. 4-6; G. Maioli, Di uno sconosciuto opusc. attribuito a G. G., in Rass. stor. del Risorgimento, XXII (1935), pp. 246-253; Id., G. G. nella sua corrisp. con Angelo Rizzoli, ibid., XXIV (1937), pp. 1909-1952; G.L. Masetti Zannini, L'appello "Ai popoli pontifici". Nuovi doc. per una attribuzione a G. G., in Strenna stor. bolognese, X (1960), pp. 143-154; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad indicem. Biografie del G. in: L. Carpi, Il Risorgimento italiano. Biografie, Milano 1883; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890; Diz. del Risorgimento nazionale, III, ad vocem; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, ad vocem.