MAZZOLA, Giuseppe Gaudenzio. –
Nacque il 5 dic. 1748 a Ivonzio di Valduggia (presso Vercelli) da Giovanni Battista e da Angiola Boccioloni (Astrua, 1993). Dopo gli studi umanistici presso lo zio Carlo Giuseppe, parroco di Zuccaro, il M. venne avviato all’arte della fusione di campane e alla gestione delle cartiere, come da tradizione familiare (Orsini, 2006).
Nel 1767 decise però di dedicarsi alla pittura, dopo aver incontrato Giambattista Cantalupi, che all’epoca stava affrescando la facciata della parrocchiale locale. Il M., vinte le resistenze paterne, seguì il maestro a Miasino; si spostò poi a Varallo, per approfondire lo studio del disegno, anche se non si conosce presso chi, e successivamente a Milano, presso Martin Knoller. Forse grazie a Cantalupi, che era stato professore all’Accademia di Parma, il M. riuscì, a partire dal 1770, a studiare nella città ducale sotto Antonio Bresciani prima, e Pietro Melchiorre Ferrari poi (ibid.).
A quell’epoca risale l’esecuzione di una copia dal Correggio (Antonio Allegri), molto lodata, ora perduta, e di un Sacro Cuore di Maria, conservato nella casa parrocchiale di Valduggia (Astrua, 1993).
Il 31 maggio 1773 il M. si aggiudicò il primo posto nel disegno di composizione e in quello di nudo all’annuale concorso dell’Accademia; forte del successo, decise di tentare la fortuna a Torino, presso la corte sabauda; ma risale solo al 1775 la prima commissione importante, una Sacra Famiglia per Marianna di Savoia, opera (perduta) certamente apprezzata, se a essa fecero seguito diversi ritratti, genere in cui il M. si specializzò.
Nel 1777 partì per Roma, dove il legato sabaudo Pietro Giuseppe Graneri lo raccomandò al cardinale Giovan Francesco Albani (Orsini, 2006): il M. ebbe così modo di studiare con Anton Raphael Mengs, la cui influenza è visibile nel Ritratto di Pio V (Alessandria, Pinacoteca), commissionato al pittore dall’allora sindaco marchese Carlo Guasco di Castelletto (Astrua, 1993). Allo stesso tempo, grazie all’interessamento di Clemente Damiano di Priocca, il M. riuscì a ottenere una prima sovvenzione da Vittorio Amedeo III. Alla morte di Mengs, di cui ereditò gli scritti teorici, il M. passò nel 1779 sotto Anton von Maron; ma nello stesso anno morì anche il cardinale Albani, e la fortuna romana del pittore sembrò subire una battuta d’arresto, almeno fino al 1781, anno in cui la corte sabauda gli affidò l’esecuzione della pala d’altare per la cattedrale St-Pierre di Annecy in Savoia raffigurante S. Pietro liberato dal carcere, quadro esposto e apprezzato anche a Roma, prima di essere inviato a Torino. Il sussidio successivo venne recapitato al M. a Bologna, dove nel 1782 si era recato in convalescenza. Seguì un periodo di riposo passato dal pittore nella natia Valduggia. Proprio in questa occasione venne stipulato il contratto per la monumentale pala per la parrocchiale di Grignasco con l’Assunta e gli apostoli, terminata nel 1785 e tuttora in loco (Orsini, 2006).
Tra il 1783 e il 1789, il M. fu nuovamente attivo a Roma.
Risalgono a questi anni il quadro raffigurante Armida e Rinaldo per Luisa Stolberg contessa d’Albany, un Giudizio di Paride per un committente di Pietroburgo e una Leda per uno di Madrid, menzionati dalle fonti a testimonianza del successo internazionale, rafforzato forse dalla frequentazione dello studio del pittore svizzero Louis Ducros, per le cui vedute il M. eseguiva abitualmente le figure, e confermato anche dall’invito, da parte dell’Accademia di S. Luca, a presentare al concorso annuale un articolato dipinto su Nino e Semiramide. Infine, il principe Marcantonio Borghese gli commissionò il grande quadro con Marte disarmato da Venere per il proprio casino. La penultima opera citata non venne però eseguita; mentre l’ultima non fu completata, a causa di nuovi problemi di salute.
Nel 1788 il M. tentò inutilmente di far acquistare a Marcantonio Borghese il Marte disarmato da Venere nel frattempo completato (ora a Vercelli, Museo Borgogna: Astrua, 1993), anche se l’opzione da parte del principe era ormai caduta. Nel 1789 il M. ultimò le Nozze di Peleo e Teti (Torino, Galleria Sabauda), dipinto per commemorare le nozze tra Vittorio Emanuele duca d’Aosta e Maria Teresa d’Asburgo, arciduchessa d’Austria.
Il quadro rivela un aggiornamento nel senso di un neoclassicismo delicato, legato a tematiche amorose e memore della pittura pompeiana appena riscoperta.
Nello stesso anno il M. venne convocato da Vittorio Amedeo III e il 7 luglio fu nominato pittore di corte. All’apice del successo e della sicurezza economica, creò numerosi dipinti legati alle commissioni della famiglia regnante e della sua corte, tra cui un ritratto del re da esporsi nella sala delle adunanze dell’Accademia delle scienze, legato ai precetti di Mengs; nel 1792 mise a punto l’accordo per la pala d’altare dell’ospedale Maggiore di Novara, imponendo notevoli modifiche al soggetto, una Pietà ispirata alla pittura di Gaudenzio Ferrari, e rifiutando il collaudo da parte di terzi, segno del prestigio di cui ormai l’artista godeva (ibid.; Orsini, 2006).
Nel 1793, a luglio, il M. si recò a Milano per incontrare Giocondo Albertolli, suo compagno di studi a Parma; in quell’occasione eseguì il ritratto di Giuseppe Parini (Como, Musei civici). Rientrato a Torino, dipinse per la religiosissima Maria Clotilde di Francia, moglie dell’erede al trono Carlo Emanuele, un’Addolorata e una Sacra Conversazione (Gozzano, collezione privata) per il gabinetto e l’oratorio privati di Stupinigi.
Forse la principessa aiutò con i suoi suggerimenti il M., impegnato nell’esecuzione della grande pala d’altare della chiesa dei Filippini di Biella, raffigurante l’Estasi di s. Filippo Neri, collocata in sede nel 1797.
Le commissioni di questo periodo si successero senza tregua, ma con il mutamento politico il M. preferì ritirarsi in Valduggia, occupandosi degli interessi di famiglia e della tutela dei nipoti. Non lasciò comunque l’attività pittorica: dipinse per il marchese di Gattinara Ludovico di Breme una Sacra Famiglia e ben tre quadri per un certo avvocato Gola di Ghemme (tra cui una Immacolata, ora nella parrocchiale di Bruzzano, Milano: Astrua, 1993), oltre a diverse pale d’altare per chiese della zona (tra cui Astrua ricorda il S. Pasquale che adora il Ss. Sacramento presentatogli da un angelo reggiostensorio, ora nel convento di S. Maria delle Grazie a Varallo) e alcuni ritratti per i notabili del luogo, nonché, infine, l’Autoritratto della Pinacoteca di Varallo Sesia.
A farlo uscire dall’isolamento, chiamandolo a Milano, fu Sigismondo Ruga di Gozzano, suo amico e triumviro della Repubblica Cisalpina, che gli commissionò il ritratto, in cui si fece immortalare con in mano una lettera commemorante il prestigioso incarico (Milano, Museo del Risorgimento).
Nella città lombarda il M. venne ammesso nel corpo accademico di Brera e lavorò soprattutto come ritrattista: tra le numerose opere del periodo si citano il ritratto di Giuseppe Antonio Petrolini (1802-04: Torino, Galleria d’arte moderna), i Principini (i figli di Eugenio di Beauharnais e di Amalia di Baviera, nelle collezioni di Amalienburg a Monaco), il Ritratto del marchese Federico Fagnani (Milano, Pinacoteca Ambrosiana), quello di Francesco Melzi d’Eril (Ibid., Museo del Risorgimento) e quello del Dottor Antonini (Varallo, Pinacoteca), accostato da Rosci già ai modi di Francesco Hayez.
Ma nel 1804 intervenne un grave problema di salute: un ganglio all’articolazione della mano destra degenerò fino a comportarne l’amputazione. Le fonti sono concordi nel ricordare la forza d’animo dell’artista che dopo appena quaranta giorni si dedicò nuovamente all’arte del dipingere utilizzando la mano sinistra. L’Autoritratto su rame, donato all’Accademia di Brera, dove è tuttora conservato, è una delle prime opere di questa nuova fase, insieme con il Genio della pittura che piange per la perdita della mano destra, donato anch’esso all’Accademia.
Nel 1805 partecipò all’Esposizione di Brera organizzata per celebrare la proclamazione di Napoleone a re d’Italia: espose, oltre ai due succitati dipinti e ad altre opere precedenti l’amputazione, una Sacra Famiglia (ora in deposito presso la Galleria d’arte moderna di Milano), eseguita anch’essa con la mano sinistra. Nell’occasione l’artista venne presentato a Napoleone. Nell’estate dello stesso anno espose a Varallo la suddetta Sacra Famiglia, a tal punto ammirata dai conterranei da farlo acclamare quale «Gaudentio redivivo» (Orsini, 2006).
Il 4 dic. 1805 il M. fu nominato professore di colorito all’Accademia di Brera e vicedirettore della Regia Galleria di Brera. Prese perciò alloggio definitivamente a Milano, al numero 1441 del Naviglio di Porta Nuova; lì eseguì numerosi ritratti, diventando talmente abile da essere secondo solo ad Andrea Appiani per fama (ibid.): dipinse, in questo e nel decennio successivo, i ritratti dei colleghi di Brera, tra cui G. Albertolli (1812 circa: Torricella, Lugano, collezione Trefogli), di nobili e politici in vista. Francesca Arena nel 1807 gli commissionò il ritratto del primo marito, Giuseppe Antonio Petrolini, morto l’anno precedente e già ritratto dal M., per la celebre Quadreria dell’ospedale Maggiore.
Nell’ottobre del 1809 il M. fu nuovamente a Valduggia, dove ebbe modo di firmare il contratto per la pala d’altare della chiesa di S. Croce ad Aranco, raffigurante S. Elena e il miracolo della vera Croce, dipinta poi a Milano. L’anno successivo fu nominato ispettore all’interno di una commissione incaricata di stabilire il regolamento di apertura delle Reali Gallerie (ibid.). In quel torno d’anni gli impegni accademici e quelli legati al museo furono pressanti e, di conseguenza, la sua produzione pittorica fu meno intensa.
Nel 1814, nel generale clima di restaurazione, il M. vide ripristinata la pensione assegnatagli in precedenza dai Savoia; mentre a Milano venne organizzata un’esposizione in onore di Francesco I d’Austria, a cui il M. partecipò con sei opere. Dell’imperatore, peraltro, si possiede un ritratto eseguito dal M. (Accademia di Brera: Astrua, 1994). Ma la temperie era ormai quella romantica; e il M., anziano, ricevette ancora qualche commissione da luoghi esterni alla cerchia delle mura: si veda la Resurrezione di Cristo per la cappella cimiteriale dei padri somaschi a Vercurago presso Lecco, voluta dal committente di vecchia data, Ludovico di Breme, e giudicata un capolavoro dai contemporanei (Id., 1993).
L’estate del 1820 vide il M. malato soggiornare in Valduggia, da cui presumibilmente si mosse alla volta di Torino per presentare alcune opere alla regina Maria Teresa.
Le ultime opere furono caratterizzate da eccessiva smania di perfezione che si concretizzò in un assiduo lavoro di ritocco, giudicato negativamente dagli studiosi: è il caso del ritratto di Francesca Arena per la Quadreria dell’ospedale Maggiore, del 1826.
Eppure la sua fama a Torino era ancora alta, se nel 1828 il re Carlo Felice giunse a nominarlo membro estero dell’Accademia di belle arti: il M. ringraziò inviando l’Anfitrite sul carro, ora ad Agliè, che aveva dipinto nei tardi anni Novanta del Settecento (ibid.).
Nel 1829 partecipò per l’ultima volta alla commissione permanente di pittura, ed eseguì il suo ultimo dipinto, una Madonna. Il suo nome figura nel 1831 tra i fondatori della Società d’incoraggiamento allo studio del disegno in Valsesia. Nel 1834 cessò di lavorare presso l’Accademia e le Gallerie di Brera.
Il M. morì a Milano il 24 nov. 1838 (Orsini, 2006).
Fonti e Bibl.: P. Mazzola, Biografia del pittore G. M. (1839), in Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 666-668; M. Rosci, G. M., in Pinacoteca di Varallo Sesia, Varallo Sesia 1960, ad ind.; V. Guazzoni, in Ospedale Maggiore/Ca’ Granda. Ritratti antichi, Milano 1986, pp. 64, 72; P. Astrua, G. M. (biografia), disegni e tempere, in Arte moderna a Torino, II, Opere d’arte e documenti acquisiti per la Civica Galleria d’arte moderna e contemporanea di Torino, a cura di R. Maggio Serra, Torino 1993, pp. 134-155; Id., in Pinacoteca di Brera. Dipinti dell’800 e del 900: collezioni dell’Accademia e della Pinacoteca, Milano 1994, pp. 466-470; G. Zanchetti, I gessi della fondazione Cacciatori, in Raccolte storiche dell’Accademia di Brera, a cura di G. Agosti - M. Ceriana, Firenze 1997, p. 204; M. Dell’Omo, Una segnalazione per G. M. alla basilica del Sacro Monte di Varallo, in Studi piemontesi, XXVIII (1999), pp. 473 s.; La Milano del Giovin Signore. Le arti nel Settecento di Parini (catal.), a cura di F. Mazzocca - A. Morandotti, Milano 1999, pp. 59, 62 s., 221 s.; P. Manchinu, G. M., in Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1800-1830, a cura di P. Dragone, Genova 2002, pp. 343-345; V. Natale, Un quadro per Maria Clotilde di Savoia, ibid., pp. 110-115; Il laboratorio della modernità. Milano tra Austriaci e Francesi (catal.), a cura di C. Capra, Milano 2003, pp. 83, 107; M.C. Ferro, Dalla cartiera alla cattedra di Brera: G. M., regio pittore (1748-1838), in Le Rive, XIII (2003), 4, pp. 18-28; M. Cassetti - B. Signorelli, Profili biografici e cenni genealogici, in Il palazzo Dal Pozzo della Cisterna nell’isola dell’Assunta in Torino, Torino 2004, pp. 183 s.; E. Orsini, in Il trionfo dell’ornato. Giocondo Albertolli (1742-1839)(catal.), a cura di F. Mazzocca - E. Colle, Rancate 2005, pp. 70, 74, 135-138; Id., Il pittore G. M. a Grignasco, in L’Assunta. Una chiesa barocca tra Grignasco, Roma e Torino, a cura di G. Sitzia - P. Sitzia, Grignasco 2006, pp. 16-180; Id., in Arti figurative in Valsesia. I disegni, a cura di C. Falcone, Biella 2008; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 312.