MOTTA, Giuseppe Giacinto Clemente
(Giacinto). – Nacque a Mortara (provincia di Pavia), il 5 aprile 1870, secondogenito di un agiato commerciante, Alessandro, e di Savina Rognoni. La famiglia, originaria del versante piemontese del Lago Maggiore, era giunta in Lomellina all’inizio dell’Ottocento.
Frequentò le scuole elementari e la scuola tecnica, terminata nel 1883, a Mortara, per proseguire gli studi all’Istituto tecnico Bordoni di Pavia. Studente brillante, sostenuto nel 1888 l’esame per agrimensore, si iscrisse alla sezione fisico-matematica dello stesso istituto e nel 1889 conseguì anche la licenza in tali discipline. Iniziò gli studi universitari a Genova, presso l’Istituto navale; alla fine del primo anno si trasferì al Politecnico di Milano. Qui, si immatricolò nella sezione di elettrotecnica, alla quale si accedeva dietro selezione, e si laureò in ingegneria industriale il 7 settembre 1894. Conclusi gli studi universitari, assolse gli obblighi militari, arruolandosi come volontario nel corpo degli aerostieri.
Il 1° novembre 1895 divenne assistente incaricato di misure elettriche – il primo assistente in assoluto dell’istituto – presso la cattedra di Luigi Zunini al Politecnico. L’anno dopo sposò Rosa Antonione; dal matrimonio nacquero Ettore (1904), Galileo (1906) e Mario (1908).
Agli impegni accademici – nel 1900 fu nominato assistente di elettrotecnica e misure elettriche – affiancò la libera professione, svolgendo consulenze, progetti e arbitrati tra imprese elettriche e utenti. L’attività professionale crebbe costantemente, con centinaia di clienti (ditte, amministrazioni locali, società elettriche ecc.) sparsi dal Nord al Sud, sino in qualche caso alla Svizzera. Fra le sue realizzazioni di questi anni, si possono ricordare l’elettrificazione delle tipografie del Corriere della Sera, l’adeguamento degli impianti elettrici del Teatro alla Scala e l’illuminazione della Biblioteca Braidense di Milano. Ma l’incarico più rilevante fu la progettazione di una centrale idroelettrica per il Comune di Milano (che disponeva già di una centrale termoelettrica in città), un lavoro che lo tenne impegnato dal 1904 al 1910.
L’impianto di Grossotto, in Valtellina, rappresentò un grande successo sul piano tecnico: per le caratteristiche della centrale (dotata di condotte forzate, con un salto utile di 318 m e una portata di 3700 l al secondo); per la tensione – la più elevata per l’epoca – della linea di trasmissione Grossotto-Milano (65.000 volt); per il tracciato della linea, studiato da Motta perché fosse il più breve possibile (arrivando tra l’altro a raggiungere i 1910 metri del Mortirolo, altezza mai toccata in Europa); per l’estensione della linea (150 km), la più lunga nel continente; per il servizio di commutazione telefonica tra Grossotto e Milano, grazie a un cavo studiato da Motta assieme alla Pirelli.
Dal 1897 Motta, esperto anche di questioni telefoniche (nel 1904 condensò le principali conoscenze tecniche in campo telefonico in un volume edito da Hoepli, Il telefono, rimasto a lungo insuperato per precisione e sintesi), aveva avviato una collaborazione con la Società telefonica per l’Alta Italia, impresa che gestiva il servizio a Milano. Aveva lavorato, altresì, per la Cooperativa telefonica milanese, un’azienda creata da due suoi docenti universitari, Giuseppe Ponzio e Cesare Saldini, della quale fu nominato segretario del consiglio d’amministrazione. Divergenze d’opinioni sul ruolo del servizio telefonico a Milano lo spinsero a chiudere il rapporto con la Telefonica Alta Italia nel 1902. Nel 1903, nominato direttore dell’Unione telefonica lombarda, diede un contributo decisivo all’affermazione dell’azienda in tutte le città in cui operava (Brescia, Busto Arsizio, Gallarate, Varese, Luino, Intra, Pallanza), oltre che nel servizio interurbano fra tali centri e Milano. Grazie a tale attività entrò in contatto con Angelo Pogliani, all’epoca numero uno del Credito provinciale, la banca che nel 1913 fondò la Società telefonica italiana. Allorché nel 1916 la Lombarda, della quale Motta era diventato segretario consigliere delegato, e la Telefonica italiana si fusero, formando l’Unione telefonica italiana, egli ne divenne amministratore delegato.
Nel frattempo, tra il 1908 e il 1910, le sue competenze tecniche e professionali lo avevano portato alla guida della sezione milanese dell’Associazione elettrotecnica italiana (AEI), dopo esserne stato segretario dal 1900 al 1902.
Nello stesso torno di anni, e più precisamente tra il 1902 e il 1904, insieme a Saldini, aveva creato per conto della Società umanitaria di Milano una scuola elettrotecnica per operai, di cui aveva predisposto i programmi e l’organizzazione didattica, curato l’allestimento dei locali, individuato i docenti, arrivando a occuparsi degli orari; quando nel 1904 la scuola aprì, vi insegnò per tre anni.
L’ambiente frequentato da Motta, a partire dai docenti al Politecnico, era formato soprattutto da personalità appartenenti alla composita famiglia liberale, aperta al dialogo con l’area riformista del socialismo italiano. I contatti con tali ambienti si intensificarono nei primi anni Dieci e, all’inizio del 1913, Motta aderì all’Unione liberale democratica (ULD) che partecipò alle elezioni politiche di quell’anno, presentando candidati in alcuni collegi, sottraendo voti alle liste clerico-moderate e favorendo così gli esponenti democratici e socialisti. Nel febbraio 1915 l’ULD si schierò per l’intervento in guerra. Il crescente impegno dei suoi esponenti in politica ebbe una sanzione formale il 22 marzo, quando il Comitato centrale elesse Saldini presidente onorario e Motta presidente effettivo del partito. In giugno, sotto gli auspici del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano e della locale sezione dell’AEI, sorse il Comitato lombardo di preparazione per le munizioni che ebbe Motta tra i suoi promotori e collaboratori fino all’inizio del 1916.
In quello stesso 1916 maturarono le condizioni per un cambiamento decisivo nella sua vita professionale. La Edison, la maggiore società elettrica italiana, dovette infatti affrontare la successione del direttore generale, Angelo Bertini, morto il 7 dicembre 1915. «Ignaro di problemi finanziari, digiuno di questioni fiscali, non pratico di organismi industriali» – così si autodefinì anni dopo – Motta fu chiamato a sostituirlo su proposta dell’amministratore delegato, Carlo Esterle. Ottenuta la possibilità di rimanere docente al Politecnico e di mantenere la carica di consigliere delegato della Telefonica lombarda e della Telefonica italiana, ormai vicine alla fusione, assunse la direzione dell’azienda sulla base di un programma industriale fondato sulla ripresa della costruzione di impianti idroelettrici atti a fronteggiare l’aumento dei consumi. Tuttavia, poche settimane dopo, in linea con le posizioni dominanti negli ambienti elettrici fin dall’agosto 1914, scrisse sulla rivista ufficiale del settore che le condizioni sconsigliavano al momento di dar corso a tale prospettiva. Solo nel 1917 si delineò il programma di costruzione dei nuovi impianti, reso necessario dalla volontà di rendere la Edison indipendente dai principali fornitori: in febbraio la società operò un aumento di capitale da 18 a 24 milioni, appoggiandosi al gruppo bancario che l’aveva sempre seguita, composto da Banca commerciale italiana, Banca Feltrinelli e Banca Zaccaria Pisa.
Nella primavera del 1918 Motta ed Esterle iniziarono a lavorare all’ipotesi di una fusione tra la Edison e la Società per imprese elettriche Conti e C., un’idea della quale discussero con Ettore Conti (creatore dell’omonima società). Il progetto non andò però in porto per divergenze circa il nome della nuova società (Esterle non voleva aggiungere il nome della Conti a quello della Edison, mentre Conti spingeva per vederli abbinati). Il 7 settembre 1918 Esterle morì e Motta fu eletto al suo posto amministratore delegato della Edison.
In quei mesi le azioni della Edison furono oggetto di un rastrellamento – che ne aveva fatto salire il prezzo da 652 lire in giugno a 800 lire a fine luglio, per toccare quota 1000 in agosto e 1043 in settembre – spinto da Max Bondi e dai suoi più stretti collaboratori, gli ‘scalatori’ che, arrivati da alcuni mesi alla guida dell’Ilva, dopo avere estromesso dal gruppo di comando del trust siderurgico Terni-Ilva gli industriali Attilio Odero e Giuseppe Orlando, vicini alla Commerciale, si stavano ora muovendo – forse con il beneplacito della stessa banca – per mettere le mani sulla Edison. Fu l’amministratore delegato della Commerciale, Giuseppe Toeplitz, a informare Motta che un gruppo di azionisti, cioè l’Ilva di Bondi, assieme a due finanzieri, Lodovico Mazzotti Biancinelli e Riccardo Gualino, aveva avanzato «un programma di indirizzo» tutto nuovo per la Edison. In tale incontro Toeplitz non menzionò Conti, vera mente del piano, per il quale era prevista, dopo la fusione, la nomina a presidente della società, alla testa di un comitato direttivo del quale avrebbero fatto parte, tra gli altri, Giovanni Agnelli, Gualino e Toeplitz.
Lo scontro per gli assetti e le strategie della Edison toccò il culmine in un’assemblea straordinaria a fine settembre, quando si stabilì un aumento di capitale da 48 a 72 milioni di lire, garantito dal nuovo consorzio bancario che appoggiava l’operazione e dall’Ilva stessa. La novità principale, però, più che l’accordo con quest’ultima, era data dalla presenza nel pool bancario della Banca italiana di sconto (BIS) di Pogliani, accanto alla Zaccaria Pisa e alla Banca Feltrinelli. Nel corso della stessa assemblea Rinaldo Negri, genero di Giovan Battista Pirelli, presidente della stessa Edison, propose un ulteriore aumento di capitale da 72 a 96 milioni. Sospesa l’assemblea, un consiglio straordinario deliberò di sottoporre a votazione in assemblea la proposta, che fu accettata, ma provocò la reazione del gruppo degli ‘scalatori’ i quali cercarono senza successo di farla annullare dal Tribunale di Milano.
Commendatore della Corona d’Italia nell’ottobre 1918, Motta affiancò sempre più spesso impegni professionali e politici. Fu molto attivo nella definizione della lista del Blocco cittadino d’azione e difesa sociale, il composito raggruppamento di partiti e associazioni che tentò, invano, di scalzare i socialisti dal governo di Milano. Se il ruolo di guida della Edison escludeva quasi automaticamente Motta dalla competizione, gli conferiva però quell’autorevolezza di cui non aveva goduto all’epoca del suo ingresso in politica. Ricomposto il leggero dissidio emerso con gli amici dell’ULD durante il conflitto, vide trionfare le sue idee proprio nella coerenza con la quale le forze di opposizione scendevano in campo unite contro la maggioranza socialista. Del resto, lo spostamento dell’asse politico verso l’area conservatrice e moderata si confaceva agli orientamenti politico-ideali entro cui Motta si muoveva da qualche anno. Anche quando si trattò di formare le liste del Blocco per le elezioni amministrative del 1921 (anno nel quale assunse la guida dell’ALD, Associazione liberale democratica, formazione che intendeva unificare l’insieme dei partiti dell’area liberale) il suo ruolo fu determinante. Nel 1921-22 riprese i contatti per giungere alla costituzione di un unico soggetto politico che riunisse l’insieme delle forze moderate. Rimasto sempre vicino alle posizioni di Luigi Albertini, lo appoggiò nelle settimane della marcia su Roma. Sino alla fine del 1923 si impegnò per tenere in vita il raggruppamento dei partiti liberali del blocco, ma si rese anche conto della necessità di lavorare su un programma a lunga scadenza, improponibile per la situazione politica italiana del momento. Nel corso del 1923 sondò la possibilità di fare del giornale La Sera, che era stato al fianco dei democratici lombardi, un quotidiano vicino al suo progetto. Difficoltà di ordine economico e l’avversione di alcuni soci (soprattutto Pirelli), che avrebbero dovuto contribuire al rilancio della testata, fecero però naufragare l’ipotesi. Sul finire dell’anno Motta lasciò la presidenza dell’ALD, preludio dell’allontanamento definitivo dal Partito liberale, maturato nel settembre del 1924, quando era già deputato, eletto nel Listone fascista.
Come parecchi altri imprenditori, Motta si era preparato da tempo a tutte le evenienze, iniziando a finanziare il partito fascista fin dal 1922. La nomina a deputato non intaccò il suo spirito critico e l’autonomia di pensiero. Durante il rapimento e l’assassinio di Giacomo Matteotti approvò la linea seguita dal Partito liberale, ma poi apparve ben più critico: «avrei desiderato una maggiore attività da parte dei deputati liberali e soprattutto una maggiore iniziativa da parte dei miei colleghi anziani», scriveva il 2 luglio (Segreto, 2004, pp. 143 s.). E ancora: «non credo aver bisogno di proclamare la mia assoluta indipendenza di spirito e di giudizio. Sono ancora pieno di orrore e di sdegno per l’orribile fine di Matteotti; ma non avevo aspettato il truce episodio per diffidare della violenza eretta a sistema di vita. Qui a Milano tutti sanno che ho fatto del mio meglio per contrastare a tutte le violenze e a tutte le prepotenze: a cominciare da quelle bolsceviche e socialista per finire a quelle fasciste» (ibid., p. 146). Segnalato al Ministero dell’Interno per atteggiamenti e operato antigovernativi, risultò assente il 15 novembre 1924, quando la Camera votò la fiducia al governo.
Negli anni Venti problema principale delle società elettriche fu quello di reperire nuove risorse finanziarie. La piazza finanziaria americana divenne una scelta obbligata davanti alle difficoltà del mercato italiano dei capitali. La Edison fu tra le prime a muoversi. Dopo un iniziale infruttuoso contatto con la National City Bank, nel 1923 fu costituita l’Italian Power Company, su iniziativa di un gruppo di banche guidato dalla Aldred Bank e nel quale figuravano anche l’International General Electric e il Credito italiano. Tali piani si intrecciarono con la necessità di stabilizzare gli assetti proprietari della Edison. Sempre nel 1923 fu siglato un patto sindacale tra i maggiori azionisti, Credito italiano, Pirelli, Feltrinelli, Banca nazionale di credito (BNC) e i nuovi soci americani. Nel 1926 l’operazione di fusione tra Edison e Conti comportò una frattura insanabile tra Motta e Conti a causa delle irregolarità gestionali del secondo, palesatesi al momento della combinazione.
Nel gennaio 1927, dopo esserne stato per anni vicepresidente, Motta fu eletto presidente della BNC in sostituzione dello scomparso Domenico Gidoni, che aveva guidato l’istituo bancario fin dal 1922, quando era nato a seguito del fallimento della BIS. L’arrivo di Motta alla presidenza comportò un profondo riassetto organizzativo, che tuttavia, nonostante riscontasse risultati migliori di altre banche, non fu in grado di proteggerla quando la crisi si fece più acuta. Così, nel 1930, dietro suggerimento di Motta, si giunse alla fusione tra la BNC e il Credito italiano, un’operazione che finì per emarginarlo dalle scelte compiute in Italia tra il 1930 e il 1933 nel mondo bancario. Gli intrecci societari tra le banche e le maggiori imprese che portarono alla creazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) nel 1933 furono all’origine dell’operazione finanziaria predisposta da Motta, tra il 1933 e il 1935, d’intesa con Alberto Beneduce (presidente dell’IRI) e con i maggiori azionisti privati della Edison (Feltrinelli e Pirelli), per riportare nelle mani del nucleo storico un grosso pacchetto azionario finito nel bilancio IRI.
Capo incontrastato nella Edison, Motta fu anche la figura di spicco dell’UNFIEL (Unione nazionale fascista industrie elettriche), contribuendo alla definizione del testo unico sulle acque e gli impianti elettrici, approvato nel 1933 dal Parlamento. La sua posizione di preminenza tra gli industriali gli attirò tuttavia critiche e campagne ostili da parte dei giornali. Grande scalpore suscitò il vivace scontro dialettico e quasi fisico nei corridoi della Camera con il segretario del Partito nazionale fascista Achille Starace, al quale ribadì la propria indipendenza da ordini di partito.
Commendatore dell’ordine di S. Gregorio Magno dal 1930, nel 1934 divenne cavaliere di Gran Croce e anche cavaliere del lavoro. Nel 1937 ricevette il titolo di Grand’ufficiale dell’ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro e quello di Grand’ufficiale dell’Ordine della corona del Belgio. Infine, nel 1940, su domanda del cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster, in virtù soprattutto delle generose elargizioni effettuate negli anni Trenta a favore dell’Arcidiocesi milanese e dei tanti interventi caritatevoli a favore di istituzioni religiose e di cittadini indigenti, ottenne da Pio XII il titolo di conte, onorificenza convalidata dal Regno d’Italia.
Membro della Lega navale, del Club alpino italiano, del Touring Club e della Società nazionale Dante Alighieri, abbonato a riviste e quotidiani stranieri di ispirazione liberale moderata come le Temps e a periodici come Life e il National Geographic, «a cultivated man with literary tastes and a wide interest in international affairs» come lo definì un documento dell’ambasciata inglese a Roma (Segreto, 2004, p. 324), Motta aveva anche un’elevata conoscenza della lingua francese così che ebbe sempre modo di leggere testi non tradotti o censurati in Italia.
Profondamente segnato dalla prematura morte del primogenito, Ettore, nel 1922 lasciò l’insegnamento universitario e in memoria del giovane istituì le Colonie Ettore Motta per i figli dei dipendenti della Edison (per le quali mise a disposizione tre milioni di lire) e la Fondazione Ettore Motta per aiutare studenti meritevoli.
Già prima di abbandonare ufficialmente, nel febbraio 1942, ogni carica nel gruppo Edison (mantenne solo la presidenza della capogruppo), prese l’abitudine di trascorrere buona parte del proprio tempo nella villa di Orta che aveva comprato e ristrutturato negli anni Venti.
A Orta morì il 12 dicembre 1943.
Fonti e Bibl.: l’Arch. Motta è conservato presso la famiglia a Orta; Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direz. gen. di Pubblica Sicurezza, Polizia politica materia, b. 174, b. 877 f. Motta On.le Giacinto; Polizia politica, fascicoli personali, b. 917, f. Motta On.le Giacinto; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consulta araldica, f. Motta Giacinto fu Alessandro, n. 13237; Mortara, Arch. Bagnaschi; Pavia, Arch. dell’istituto tecnico Bordoni, f. Giacinto Motta; Milano, Arch. del Politecnico, Registro d’iscrizione degli allievi dal 1890-91 al 1893-94 e Registro delle lauree, vol. 1; ibid., Arch. generale, f. 594, Motta ing. comm. Giacinto Giuseppe, professore straordinario, f. Fondazione Politecnica Italiana; Arch. Edison, Società Edison, Verbali del consiglio d’amministrazione, 1916-1942; Arch. storico Intesa-San Paolo, Arch. Banca Commerciale Italiana, Segreteria generale, cart. 34, f. 15; Arch. di Stato, Gabinetto di Prefettura, primo versamento, bb. 511, 711 e 1012; Arch. storico diocesano, Carte Schuster, f. 20705 e 67019; Fondazione Feltrinelli, Arch. della famiglia Feltrinelli, ad nomen; Arch. privato Alberto Pirelli, Miscellanea Italia, B/X; Arch. Storico Unicredito, Concordato, Dossier1, Documenti riguardanti la costituzione di BNC; ibid., Verbali del consiglio d’amministrazione della BNC 1922-1930; Roma, Arch. storico Camera dei Deputati, Fascicoli personali, On. Giacinto Motta; ibid., Verbali degli uffici di Presidenza del Regno, 1929-33; Arch. storico del Senato, Segretariato generale, fascicoli personali, b. 2478, f. 28, Giacinto Motta; Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Brev. Apost. 626. Si vedano inoltre: Un grande ingegnere, in Il Corriere della Sera, 21 dicembre 1943; Il Conte Motta, in La nuova scintilla, 31 dicembre 1943; Commemorazione del dott. Ing. G. M. tenuta all’Associazione Elettrotecnica Italiana, Sezione di Milano, il 9 marzo 1944 dal dott. Ing. Tito Gonzales, Milano 1944; G. M. 5 aprile 1870-12 dicembre 1943.Parole del Prof. Angelo Barbagelata, Emerito del Politecnico di Milano, in Politecnico di Milano, Inaugurazione di un busto al prof. Ing. G. M., Milano, 28 aprile 1959, Milano 1959; B. Caloro, Pionieri dell’industria italiana, Varese 1966, pp. 180-193; A. Ferrari, Profili, Milano 1967, pp. 155-161; Conversazione dell’ing. Dott. Sergio Pampuro, Segretario Generale dell’Assolombarda e Federlombarda su «G. M.: un grande protagonista», Milano, 13 giugno 1985, dattiloscritto conservato nell’Arch. Motta; L. Segreto, G. M. Un ingegnere alla testa del capitalismo industriale italiano, Roma-Bari 2004, con bibliografia degli scritti di Motta, apparsi su varie riviste specializzate, e della cospicua serie di studi sul mondo industriale e in particolare elettrico, come pure finanziario, che direttamente o indirettamente offrono spunti e notizie su Motta.