GIACOSA, Giuseppe
Scrittore e commediografo, nato il 21 ottobre 1847 a Colleretto Parella (Ivrea), dove morì il 1° settembre 1906. Fece l'avvocato nello studio di suo padre; ma fu indotto a darsi interamente alle lettere dal grande successo del suo dramma in un atto, in versi martelliani, La partita a scacchi (1873), nel quale egli aveva volto, graziosamente se non molto logicamente, a toni sentimentali e melodrammatici un racconto di tutt'altro genere dell'Huon de Bordeaux. Autore geniale piuttosto che vero e sostanzioso creatore, egli ebbe in grado assai notevole la facoltà di secondare, con formale versatilità, i variabili gusti del tempo. E perciò dai motivi del Medioevo da salotto, cari ai gusti patetici dell'epoca, e in cui insisté col Trionfo d'amore (1875) e col Fratello d'armi (1877) - passò al lezioso e piacevole settecentismo del Marito amante della moglie (1879), e a una più maschia seppure ancora melodrammatica evocazione delle vecchie cronache piemontesi nel Conte Rosso (1880), dove abbandonò il martelliano per l'endecasillabo; poi, in prosa, al naturalismo importato di Francia, sulle orme del Becque e del nascente Théâtre Libre, con Tristi amori (1887); a un labile romanticismo borghese, non scevro d'echi dell'Ohnet, con Resa a discrezione (1888); a un ritorno alla manierata leggenda medievale, in versi, con la Contessa di Challant (1891); a uno psicologismo quasi ibseniano, con i Diritti dell'anima (1894); a una commedia d'un naturalismo intimista, con Come le foglie (1900); infine a un tipo di commedia borghese d'intenti ancor più raffinati, con Il più forte (1904). Alle quali opere sceniche - e ad altre minori, spesso di tono ironico, scherzoso, salottiero - si alternarono anche volumi di piani racconti o sennate impressioni di viaggi, quali Novelle e paesi valdostani (1886) e Ricordi d'America.
Come si vede il G. non seguì una progressiva evoluzione spirituale ed estetica. La sua parve, piuttosto che evoluzione, instabilità; non di rado, secondo attesta la stessa cronologia delle sue opere, egli tornò indietro sui passi già compiuti. Donde l'accusa di dilettantismo, che gli fu mossa dalla critica più severa, specie al declino di quella sua fortunatissima carriera teatrale, per cui tra la fine del sec. XIX e i primissimi anni del nostro egli era stato ritenuto, dal comune consenso, il maggior commediografo italiano dell'età. Ma anche quest'accusa, determinata almeno in parte da una reazione, forse eccedette in severità. Storicamente il G. fu appunto in cotesta instabilità, un interprete sincero dell'anima borghese del tempo, combattuta fra il naturalismo trionfante, le vecchie nostalgie romantiche, le nuove e incerte aspirazioni idealistiche. E a quel modo che Tristi amori, pur nel suo grigio e fotografico realismo, ha potuto restare, nel teatro italiano, come il modesto ma a suo modo perfetto modello d'un genere di commedia, poi lungamente imitato; così Come le foglie, nonostarite qualche lieve eccesso didascalico nella "morale" un po' troppo "predicata" dal suo protagonista, rimane tuttavia, nella cauta sobrietà del disegno, negli accorti suggerimenti del delicato stile, nella fine evidenza delle figure, la tipica commedia borghese italiana della fine del secolo scorso.
Bibl.: B. Croce, La letter. della nuova Italia, II, Bari 1914; L. Tonelli, L'evoluz. del Teatro Contemp., Palermo 1911; S. d'Amico, Il teatro ital. dell'Ottocento, in L'Italia e gl'Italiani del Secolo XIX, Firenze 1930.