GIANI, Giuseppe
Nacque a Cerano d'Intelvi, ora in provincia di Como, il 17 sett. 1829, da Tommaso e da una certa Giovanna, originaria di Dizzasco.
A dodici anni si trasferì a Milano dove lavorò come apprendista muratore e frequentò i corsi serali delle Scuole degli artefici di Brera. Sin dalle prime prove pittoriche affrontò il genere del ritratto, scelta che gli consentì di ricavare dall'attività artistica un utile sussidio economico. Decisivo fu l'incontro con P. Giani, un ricco impresario, che lo condusse a Torino offrendogli la possibilità di seguire corsi di studio regolari presso l'Accademia Albertina. Qui si distinse vincendo premi di pittura e ottenendo importanti pensioni. Dai cataloghi delle mostre della Società promotrice di belle arti emerge che il G. fece il suo ingresso sulla scena artistica torinese presentando soggetti religiosi ispirati a un accentuato patetismo degli affetti.
È il caso di Nostro Signore alla colonna e di Maria Vergine addolorata, esposti nel 1847, o di Episodio della strage degli innocenti (come gli altri due di ubicazione ignota) presentato l'anno seguente. In questa prima fase il G. condivise l'orientamento della iniziale attività di A. Gastaldi che, tra il 1847 e il 1850, era anch'egli dedito alla illustrazione del "tema religioso o ad una vena tematica melanconica e crepuscolare" (Maggio Serra, 1988, p. 20). Gastaldi esordì nel 1847 alla Promotrice, "all'ombra protettrice di G.B. Biscarra" (ibid.), essendo destinato, in breve volgere di anni, a siglare un percorso artistico formativo e professionale di più alto prestigio rispetto al Giani.
Dal 1852 il G. fu a Roma dove si trattenne sino al 1854 stringendo in particolare amicizia con E. Gamba e B. Ardy; risale a questo soggiorno il dipinto La ciociara (Milano, collezione privata), ritratto di donna con copricapo laziale, vista in controluce e con una rosa in mano. Nel 1855 si trasferì a Firenze dove si fermò per un anno; quindi fece ritorno a Como.
Nel 1860 venne nominato professore di pittura all'Accademia Albertina di Torino, dove si stabilì. All'Albertina fu maestro aggiunto al corso del professor G. Ferri, incarico che mantenne sino ai primi anni Settanta; in assenza di Ferri resse il corso di pittura per un anno, venendo insignito della croce di cavaliere per le benemerenze reali acquisite durante l'espletamento dell'incarico: sino al 1885, anno della morte, fu maestro aggiunto al corso di disegno di figura retto da E. Gamba. Nello stesso 1860 sposò a Torino la figlia del suo benefattore, Giuseppina Giani: dall'unione nacque, sei anno dopo, Giovanni, che divenne anch'egli pittore. Sempre nel 1860 il G. conobbe T. Signorini che, giunto a Torino in quell'anno, registrò l'incontro in un appunto autografo (Somarè; Bernardi).
Ha scritto Maggio Serra (1991, pp. 69 s.) che in quegli anni la "generazione degli assistenti alle cattedre di pittura dell'Accademia si destreggia tra temi storici e letterari e scene di genere con sobrietà di linguaggio, che rifugge da esiti virtuosistici di brillante superficialità. Così Giuseppe Giani […] può passare dai temi classici del romanticismo storico a immagini che lasciano avvertire sotto il travestimento storico il contenuto psicologico-sentimentale che è il suo vero interesse, dimostrato anche in una vasta attività di ritrattista". Lo "scarso mercato della pittura di figura" veniva conteso a Torino da molti artisti della generazione del G.; tra gli altri, F. Barucco e L. Eydoux, che A. Stella annovera tra i suoi compagni di studi, insieme con F. Brambilla, C. Teja, E. Gamba, F. Augero, E. Appendini, C. Zuccoli. Rispetto alle tematiche più ricorrenti del romanticismo storico il G. mostrò di prediligere narrazioni in cui l'introspezione psicologica dei protagonisti potesse costituire il fulcro sentimentale della rappresentazione.
Il soggetto del dipinto Beatrice di Tenda ed Orombello (Milano, Pinacoteca di Brera) è tratto dal primo atto della omonima tragedia lirica di V. Bellini su libretto di F. Romani. La tela venne segnalata da G. Rovani nella Gazzetta di Milano del 26 sett. 1863 per "tutta l'efficacia di cui l'arte è capace" con la quale è rappresentato "il dolore senza speranza" della protagonista. L'opera testimonia di come l'orientamento del G. all'inizio degli anni Sessanta trovi ispirazione, nota Previtera, nella pittura di D. Morelli e di E. Pagliano, con particolare riferimento ai ritratti eseguiti da quest'ultimo durante gli anni Cinquanta, e a composizioni quali La morte della figlia del Tintoretto del 1861 (Milano, Galleria d'arte moderna).
Dai repertori iconografici del catalogo della mostra fiorentina sul "Romanticismo storico" (1974) si ricava che il G. partecipò effettivamente a quell'universo complesso che fu l'immaginario collettivo - interpretato unitariamente da letteratura, arti figurative e mondo del melodramma - cui afferirono le tematiche del romanticismo storico. Tra i personaggi danteschi, che dalle diverse componenti della cultura romantica ricevettero innumerevoli celebrazioni, egli scelse di animare la figura di Pia de' Tolomei, esposta alla Promotrice di Torino nel 1855 in una versione a mezza figura tratta dal vero, quindi reinterpretata in altre versioni (come episodio tratto dal dramma di B. Sestini) che vennero presentate a Torino nel 1865 e nel 1866, e a Milano nel 1868. Altri soggetti danteschi furono i quadri Nello della Pietra e Piccarda Donati, esposti a Torino rispettivamente nel 1860 e 1884. Lucia, tratta dai Promessi sposi di A. Manzoni, venne esposta a Milano nel 1865 e a Genova nel 1870. Per la serie degli uomini illustri il G. dipinse, ed espose sempre alle Promotrici, Tasso alla tomba di Eleonora (Torino, 1856); Petrarca fa ritrarre Laura da Simone Martini (ibid., 1857; Genova, 1862); Galileo e Galileo imprigionato e minacciato di tortura nei locali del Sant'Uffizio (Torino, 1861 e 1863). Delle storie lombarde il G. interpretò la Margherita Pusterla, dal romanzo storico di C. Cantù, soggetto affrontato due volte: Margherita Pusterla in prigione (Milano, 1866) e Margherita Pusterla assistita da Buonvicino negli ultimi suoi momenti (Torino, 1869). Infine, dal repertorio delle storie fiorentine, il G. illustrò un episodio del Niccolò de' LapiovveroI palleschi e i piagnoni di M. d'Azeglio, quel Lamberto e Laudomia esposto a Torino nel 1867.
Il filone della pittura di genere intesa come "cronaca del contemporaneo", nell'accezione affermatasi a Milano tra il quarto e il quinto decennio del secolo per opera soprattutto di G. Molteni, e che si rivelava "ricca di possibili implicazioni sociali e moralistiche" (A. Scotti, Esiti e organizzazione della produzione pittorica a Milano nel secondo Ottocento, in La Lombardia moderna.Civiltà di Lombardia, a cura di V. Castronovo, Milano 1989, p. 191), venne sfiorato dal G. quando propose alla XXI Mostra della Promotrice di Torino, nel 1862, il dipinto La decaduta (ubicazione ignota). Ma il timbro delle sue scene di genere, che andarono a poco a poco assorbendo quasi esclusivamente i temi della sua pittura di figura, fu affatto esente da incisive caratterizzazioni moralistiche. Ne sono esempio le allusioni narrative solo evocate dalla composta animazione sentimentale dei soggetti raffigurati in due quadri conservati alla Galleria civica d'arte moderna e contemporanea di Torino: l'Appuntamento del 1865 e Io t'avrò sempre in cor povera morta! del 1879.
Il G. fu un ritrattista di successo. Stella ricorda il Ritratto diCavour di ubicazione ignota, molto ammirato e venduto a Londra, oltre a quello di Edmondo De Amicis, "espressivo e rassomigliantissimo" (p. 211), presentato all'Esposizione di Torino del 1880 insieme con un Ritratto di vecchia, anch'esso di ubicazione ignota. Fanno parte, invece, delle collezioni della Galleria civica d'arte moderna e contemporanea di Torino due ovali con le effigi di Vittorio Amedeo II (1873) e di Maria Cristina di Francia, duchessa di Savoia. Presso il Municipio di Torino si trovano, inoltre, i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Umberto I. Nel Museo diocesano di Scaria (Como) è conservato un Autoritratto giovanile dell'autore.
Il G. morì a Torino il 17 dic. 1885.
Vincenzo, fratello del G., nacque a Cerano d'Intelvi il 4 ott. 1831 e studiò all'Accademia Albertina di Torino formandosi alla scuola dello scultore V. Vela. Nel 1856 (Panzetta) prese per la prima volta parte all'esposizione della Promotrice di Torino. Nel 1862 eseguì il Monumento a G.B. Perasso (il Balilla) che venne collocato in piazza Portoria a Genova. Risale invece al 1869 (Thieme - Becker) la statua della Giustizia eseguita per la facciata di palazzo Carignano a Torino. Da De Gubernatis si ricava che nel 1877 egli presentò a Napoli due opere, La prima lettera e un busto di Massimo d'Azeglio (ubicazione ignota). Con Un buon libro e con tre busti-ritratto in marmo partecipò nel 1880 alla Promotrice di Torino esponendovi Camillo Cavour, Massimo d'Azeglio e Galileo Galilei: l'effigie dello scienziato (di ubicazione ignota, come molta produzione di Vincenzo) è probabilmente la medesima opera che nel 1881 - insieme con un altro busto, oltre a una statua e a due "statuette" (Paterno ricordo, Lettura d'un buon libro, Caio Mario Coriolano: catal., pp. 62, 64, 69, 74 s.) - venne proposta all'annuale esposizione di Brera di Milano, alla quale Vincenzo prese parte anche nel 1882 con il solo busto marmoreo di Garibaldi (catal., p. 40). A Cerano d'Intelvi, presso la casa appartenuta agli ingegneri Giovanni Battista e Flaminio Pagani, sono conservati alcuni gessi di Vincenzo, tra cui il busto di Vittorio Emanuele II. Un busto del Conte Francesco Verasis di Castiglione (1868: Panzetta) si trova invece alla Galleria d'arte moderna di Firenze.
Nel 1888 egli fece riedificare a sue spese il campanile della chiesa medievale di S. Zeno, centro di devozione delle valli intelvesi e ticinesi. Negli ultimi anni si dedicò alla costruzione, nel cimitero di Cerano d'Intelvi, della cappella di famiglia, realizzata in stile eclettico di notevole eleganza: all'interno vi si trovano lapidi sepolcrali con effigi in bronzo dei suoi congiunti. I medaglioni-ritratto in marmo affissi all'esterno sono invece opera del cugino Luigi Giani (nato a Cerano Intelvi nel 1858 e morto nel 1938). Sempre nel settore della plastica cimiteriale Vincenzo realizzò le statue della Fede per il sepolcro Barberini e della Pietà filiale per la tomba Comanedi, che si trovano nel cimitero di Como (Vicario). Vincenzo morì a Cerano d'Intelvi il 16 apr. 1906.
Fonti e Bibl.: A. Stella, Pittura e scultura in Piemonte 1842-1891, Torino 1893, pp. 206-211; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1906, p. 226; E. Somarè, Signorini, Milano 1926, p. 275; M. Bernardi, Arte piemontese, Torino 1937, p. 48; L. Mallè, I dipinti della Galleria d'arte moderna di Torino, Torino 1968, p. 193; Romanticismo storico (catal.), a cura di S. Pinto, Firenze 1974, pp. 46, 60, 66 s., 82, 100, 102, 115 s.; L. Mallè, La pittura dell'Ottocento piemontese, Torino 1976, p. 35; M. Monteverdi, Storia della pittura italiana dell'Ottocento, III, Busto Arsizio 1984, p. 235; R. Maggio Serra, Andrea Gastaldi 1826-1889, Torino 1988, pp. 20, 30, 68; V. Vicario, Gli scultori italiani dal neoclassicismo al liberty, Lodi 1990, pp. 333 s.; R. Maggio Serra, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 69 s.; C. Thellung, ibid., II, pp. 848 s.; M.A. Previtera, in Musei e gallerie di Milano. Pinacoteca di Brera. Dipinti dell'Ottocento e del Novecento. Collezioni dell'Accademia e della Pinacoteca, I, Milano 1993, p. 290; G. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dall'Ottocento al primo Novecento, Torino 1994, p. 144 (per Vincenzo, con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 584.
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