GIOVA (Jova), Giuseppe
Nacque a Lucca il 28 ott. 1506 da Nicolao e Apollonia di Nicolao Martini.
La sua famiglia apparteneva sin dal XIV secolo al patriziato lucchese e possedeva un palazzetto nella parrocchia di S. Maria Forisportam, ma non si trovava in condizioni economiche particolarmente agiate. Nonostante ciò il padre del G., che figura in numerosi atti notarili della prima metà del Cinquecento, fu frequentemente chiamato a rivestire cariche pubbliche, tra cui quella, particolarmente prestigiosa, di anziano.
Non si hanno notizie certe sulla giovinezza e sugli studi del G., ma pare che abbia lasciato Lucca ancora molto giovane, a causa di contrasti con il padre. Del resto, anche il fratello del G., Baldassarre, ruppe assai presto i legami con la famiglia, contraendo matrimonio con una donna di bassa condizione. Nel 1525 il G. entrò al servizio di Vittoria Colonna, forse dopo un breve periodo passato al seguito del cardinale Giovan Matteo Giberti. Anche sul servizio presso la Colonna non si sa molto, ma da una lettera di Giovanni Guidiccioni sembra che il G., oltre a fungere da segretario addetto alla corrispondenza, collaborasse pure all'attività poetica di Vittoria.
Nel 1527 la seguì a Ischia, dove trovò un manoscritto dei Commentariorumde rebus in Hetruria a Senensibus gestis… libri di Francesco Contarini, che molti anni dopo avrebbe comunicato a Gian Michele Bruto (cfr. ed. a cura di questo, Lugduni 1562, p. 3). A Ischia, inoltre, il G. e Gianfrancesco Muscettola collaborarono con Paolo Giovio, che stava allora componendo i suoi Dialoghi. è possibile che in questo periodo il G. abbia avuto contatti con i gruppi valdesiani di Napoli, di cui la Colonna era assidua frequentatrice, ma manca documentazione certa in proposito. Intorno al 1532 il G. era a Roma, dove partecipò all'Accademia dei Vignaioli, che si stringeva intorno al gentiluomo mantovano Uberto Strozzi e accoglieva importanti letterati, come F. Berni, G.F. Bini, L. Capilupi, G. Della Casa, A. Firenzuola, G. Mauro e F.M. Molza.
L'attività dell'Accademia, che mancava di una struttura istituzionalizzata ed era piuttosto una libera aggregazione, resta poco conosciuta, anche se comunemente si ritiene che a essa vada ricondotta una parte consistente della poesia bernesca apparsa in Italia tra il 1530 e il 1550. È perciò difficile definire la collocazione del G. all'interno di questo eterogeneo sodalizio, tanto più che il poco che resta della sua produzione poetica lo fa supporre alquanto lontano dai modi berneschi e semmai più vicino a quelli petrarcheschi.
In ogni caso, tramite l'Accademia, il G. poté stringere legami con diversi letterati, come B. Varchi, che gli dedicò un sonetto, o G. Vida; conobbe il cardinale Ippolito de' Medici e forse venne in contatto con fermenti eterodossi. In questo periodo il G. non si dedicò solo all'attività poetica, ma anche alla raccolta di antiche cronache, a studi classici e alla collezione di reperti antichi. In virtù di questi interessi entrò in contatto con D. Lambin, che utilizzò alcuni suoi codici per l'edizione critica delle opere di Orazio, con A. Caro, a cui donò diverse medaglie, e con F. Robortello.
Intorno al 1538 il G. passò qualche tempo a Napoli e si legò all'entourage del principe Ferrante Sanseverino, fortemente venato di eterodossia, e in particolare ai segretari del principe, Bernardo Tasso e Vincenzo Martelli. In tal modo, dopo il suo ritorno a Lucca, all'inizio degli anni Quaranta, il G. finì per costituire un tramite tra i gruppi eterodossi lucchesi e gli inquieti circoli napoletani. Per tutto quel decennio il G. dovette rimanere prevalentemente a Lucca, visto che il suo nome figura in diversi atti notarili, se si esclude un viaggio compiuto nel 1547 e testimoniato da una lettera di Aonio Paleario a Silvestro Gigli. A Lucca egli partecipò ai circoli filoriformati che si erano sviluppati all'interno del patriziato sin dagli anni Trenta e che avevano trovato un sicuro punto di riferimento nel Paleario.
Nel 1546 questi, dopo avere già subito un processo per eresia, venne nominato primo lettore delle scuole di Lucca e iniziò una profonda riorganizzazione dei metodi didattici. La sua azione era sostenuta da membri di importanti casate, come i Gigli, i Cenami e i Buonvisi, ormai su posizioni eterodosse, i quali occupavano importanti cariche nelle magistrature e in particolare nell'"offizio sopra le scuole".
Tra i riformatori era anche il G., che nel 1545 ebbe la carica di anziano e che era legato da profonda amicizia con il Paleario, al quale aveva fatto conoscere il principe Sanseverino. In questo periodo, dunque, l'adesione del G. alle dottrine riformate doveva essere ormai definitivamente maturata, come è provato anche dai suoi contatti con Ortensio Lando. Nel corso degli anni Cinquanta del Cinquecento il G. rimase per lo più a Lucca, ma compì anche un viaggio a Lione, probabilmente al seguito del Sanseverino. Nella città francese dovette avere i primi contatti con il calvinismo, come risulta da una denuncia del 1552. Tuttavia, i suoi movimenti in questo periodo non sono facilmente ricostruibili; anche il Caro, scrivendo a Benedetto Samminiati nel 1557, si domandava dove il G. si trovasse. Nel 1559 era sicuramente a Lucca, ma probabilmente già progettava di lasciare l'Italia. Perciò, nel 1560 rinunciò a ricoprire la carica di anziano e cominciò a regalare ad amici, come Michele Bruto o il Caro, manoscritti e opere d'arte. Nel maggio 1561 annunciava a un perplesso Caro la sua decisione di trasferirsi per qualche tempo a Lione. A partire dal 1561 la sua presenza è segnalata saltuariamente in questa città, dove divenne amico di Fausto Sozzini, più giovane di lui, che probabilmente lo spinse a occuparsi della storia senese. A Lione gli scrisse, nel 1563, il Caro informandosi delle sue idee religiose. Nel frattempo, però, la Repubblica di Lucca, ormai soggetta a sempre più forti pressioni da parte del Papato, aveva cominciato a prendere provvedimenti nei suoi confronti. Dopo alcuni inviti a comparire e alcune condanne pecuniarie, il G. fu riconosciuto eretico nel dicembre 1567. Nel corso del 1568 la Repubblica procedette alla confisca dei suoi beni, che peraltro la madre riuscì a salvare, e nel 1570 gli venne lanciato un ultimo e definitivo bando. Della vita del G. in questo periodo non si sa molto, ma è probabile che sia rimasto a Lione fino al 1569, quando si trasferì a Ginevra.
Dal 1569 le tracce del G. si perdono e resta ignota anche la data della morte.
Opere: Delle composizioni poetiche del G. resta solo il sonetto Alma real (pubblicato in Delle rime di diversi illustri signori napoletani e d'altri nobilissimi ingegni, Vinegia 1555, p. 464), che celebra il ritorno dell'anima a Dio dopo la morte. La sua produzione poetica dovette però essere assai più consistente e ancora nel Settecento era nota a diversi eruditi lucchesi. Non trova invece conferme la notizia secondo la quale sarebbe da attribuire al G. una parte delle rime di Vittoria Colonna. Le cosiddette Memorie del G., che si ritenevano perdute, sono probabilmente da identificarsi con le Memorie della città di Lucca, conservate, in una copia di inizio Seicento, nell'Archivio di Stato di Lucca, Fondo G.B. Orsucci, 43. Si tratta di una raccolta di cronache medievali lucchesi, forse preparatoria a un più impegnativo lavoro storico, a cui attinsero numerosi eruditi sei-settecenteschi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 766, c. 193r; Cause delegate, 12, p. 593; Offizio sui beni degli eretici, 1, cc. 50, 77-82; Offizio sulla religione, 1, c. 168v; Archivio dei notai, 2705, Notaio Pietro Pieraccini, c. 57; Lucca, Bibl. statale, Mss., 33, cc. 176r-177r; 1116, cc. 15v-16r, 18r, 19v, 34v-35r; M. Equicola, Institutioni al comporre in ogni sorte di rima, Milano 1541; D. Atanagi, De le lettere facete, Venetia 1561, p. 323; A. Paleario, Epistolarum libri IV, Basileae s.d., pp. 170, 210-212; B. Varchi, Opere, II, Trieste 1859, p. 862; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957-61, ad indicem; G. Guidiccioni, Le lettere, a cura di M.T. Graziosi, Roma 1979, ad indicem; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I, Bologna 1739, pp. 96 s.; C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, Lucca 1825, pp. 173 s.; A. Virgili, Francesco Berni, Firenze 1881, p. 443; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 466 s.; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, in Riv. stor. italiana, LI (1934), pp. 470 s.; S. Therault, Un cénacle humaniste de la Renaissance autour de Vittoria Colonna, Firenze-Paris 1968, pp. 366 s.; V. Marchetti, Notizie sulla giovinezza di Fausto Sozzini da un copialettere di Girolamo Bargagli, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXXI (1969), pp. 72 s.; S. Caponnetto, Aonio Paleario (1503-1570) e la Riforma protestante in Toscana, Torino 1979, ad indicem; I palazzi dei mercanti nella libera Lucca del '500, a cura di I. Belli Barsali, Lucca 1980, p. 463; D. Romei, Berni e i berneschi del Cinquecento, Firenze 1984, ad indicem; E. Gallina, Aonio Paleario, I, Sora 1989, pp. 503-505; S. Adorni Braccesi, Una città infetta. La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, ad indicem.