CERONI, Giuseppe Giulio
Figlio di Giuseppe e di Eugenia Todeschini, di agiata famiglia, nacque a San Giovanni Lupatoto (Verona) il 12 ottobre del 1774; percorse gli studi classici a Verona e frequentò quindi l'università di Padova, dove fu discepolo del Cesarotti, senza conseguirvi alcun titolo. Alla venuta delle truppe francesi (1796) abbracciò le idee rivoluzionarie e, dopo aver composto pochi versi di carattere occasionale, diede alla sua poesia un carattere decisamente giacobino. Abbattuto il dominio veneto e instaurata la Municipalità di Verona, fu prima segretario del Comitato di polizia, poi membro attivissimo della Sala di pubblica istruzione e presidente del Comitato di censura. Si arruolò poi nel battaglione veronese di fanteria nazionale, in cui ebbe il grado di tenente, e prese parte alle riunioni della Sala in città e in provincia, esprimendo il suo punto di vista, leggendo i suoi componimenti poetici, tenendo discorsi politici. Vi lesse il 23 sett. 1797 il poemetto Contro gli aristocratici per ambizione, tutto impregnato d'ironia e sdegno contro la aborrita classe privilegiata, mentre a San Giovanni celebrò il 14 ottobre l'innalzamento dell'albero della libertà. Pochi giorni dopo, con la firma del trattato di Campoformio, che assegnava Verona all'Austria, il gen. Brune ordinò la chiusura della Sala patriottica; il suo aiutante vi giunse, la sera del 26 ottobre, proprio quando il C. vi teneva una veemente orazione contro i tiranni e in particolare contro Francesco II.
Passato col fratello Nicola nella fanteria di linea dell'esercito cisalpino, il C. fu a Milano frequentatore del Circolo costituzionale, dove si esibì con appassionate dizioni accanto al Fantoni e al Foscolo.
Cantò l'occupazione francese di Roma ed improvvisò due sonetti sulla caduta del potere temporale (10 e 16 febbr. 1798); ed una settimana dopo vi recitò il poemetto Verona, in cui compiangeva la sorte della sua città dove gli aristocratici e i nemici della democrazia avevano risollevato la testa, ma per poco, poiché la gioventù italica stava per scuotersi ed abbatterne definitivamente il giogo. Animato da tale spirito il C. non mancò di far sentire la sua voce nei giorni burrascosi della riforma Trouvé, che egli considerava reazionaria; di quel periodo è un suo sonetto intitolato I Decemviri, nel quale si scaglia contro il tentativo di mutare la costituzione della Cisalpina.In seguito all'offensiva austro-russa, il poeta-soldato C. si ritira in Genova assediata col corpo d'armata del gen. Massena. Qui, ancora gareggiando col Foscolo, compone un applaudito apologo in ottava rima, Il Pappagalletto (Genova 1800), in cui venivano celebrate le più belle e gentili donne genovesi, e tra queste Luigia Pallavicini. Inaspritosi l'assedio, troviamo il C. valoroso combattente nell'attacco contro le località di Boschetto, Rivarolo e Coronata, presso la quale rimane ferito (2 maggio 1800); viene poi la resa degli assediati con gli onori militari. Durante la successiva campagna di Napoleone in Italia, il C. compone le odi La Guerra e La Pace (diLunéville), indirizzate al gen. Brune, perché volga l'offensiva verso l'Adige e compia quindi l'unificazione italiana.
Fa parte dello Stato Maggiore del gen. Lahoz, poi col grado di capitano di quello del gen. D. Pino, segretario della commissione militare per giudicare i disertori, relatore al consiglio di divisione. È comandante della piazza di Pistoia, partecipa col Pino alle azioni in Toscana, funge da capitano relatore del primo consiglio della divisione italica. Rientrato nella Cisalpina, capitano di guarnigione ad Oleggio (Novara), il C. compone, dirigendoli all'amico Leopoldo Cicognara, consigliere legislativo,gli Sciolti di Timone Cimbro (novembre 1802), che costituiscono un poemetto d'ispirazione ossianica. In esso, aderendo ad una visione libertaria, il C. lamenta il misero spettacolo dell'Italia passata da una dominazione ad un'altra, rimprovera anche i Francesi che han dimenticato le ragioni della Rivoluzione ed auspica un rivolgimento delle sorti ad opera d'un vendicatore.
I versi, non per i loro pregi stilistici, poiché erano sciatti e improvvisati, ma per il contenuto politico, ebbero larga diffusione manoscritti, ed ottennero i consensi non solo del Cicognara, ma anche del gen. Teulié e dei prefetto Magenta. Il Melzi invece ne temette la pericolosità ed ordinò alla polizia di distruggerli e diede ordini perché l'autore fosse richiamato dai suoi superiori ai suoi doveri d'ufficiale. Il Murat poi, sospettando che si ordisse nell'esercito una vera e propria congiura antifrancese, fece perquisire la casa del C. e sequestrare la sua corrispondenza, che fu spedita, a Napoleone nel marzo del 1803. Questi ordinò l'arresto dei quattro colpevoli, rimproverando alla polizia e al Melzi l'eccessiva indulgenza. Quindi l'11 aprile la Consulta di Stato condannò il poemetto come "scritto sedizioso e ingiurioso alla Nazione Francese e ad altri governi amici della Repubblica Italiana".
Il C. venne radiato dai ruoli dell'armata e relegato per tre anni; il Cicognara e il Teulié vennero destituiti e confinati. In carcere il C. compose altri versi politici che prudentemente non divulgò (vi definiva tra l'altro Francesi ed Inglesi "birbanti del pari"), mentre pubblicò le Lettere di sei donne infelici ai loro sposi ed amanti, in versi sciolti a imitazione del Pope, un Inno ricco di riferimenti mitologici ed il poemetto La morte di Torquato Tasso (Mantova 1811), in cui è celebrata la nascita del re di Roma. Rientrato nelle grazie di Napoleone, il C. nel 1804 venne riammesso nell'esercito.
Egli partecipò nel 1809 alle campagne di guerra in Carinzia, in Ungheria e in Austria, nel 1810 alla spedizione di Lissa, nel 1811 alla guerra in Catalogna, distinguendosi negli assalti a Raab, a Tarragona e a Sagunto. Venne perciò decorato della Legion d'onore e della Corona ferrea. Ritornato in Italia, diede alle stampe a Mantova odi e poemetti classicheggianti, per lo più ispirati alle battaglie combattute: La spedizione di Lissa, La presa di Tarragona (già pubbl. a Saragozza nel 1811) e La battaglia di Caldiero. Il C. morì ancora giovane a Governolo il 25 maggio 1813, dopo aver raggiunto il grado di capobattaglione.
Suo figlio Riccardo, nato il 14 marzo 1806 a Milano ed ivi morto il 24 dic. 1875, fu militare e librettista teatrale. Prese parte ai moti del 1831, emigrò poi in Svizzera e di là in Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra; nel '48 fu a Milano combattente nelle Cinque giornate, poi emigrato politico, volontario garibaldino, ufficiale dell'esercito regolare fino al '68.
Fonti e Bibl.: B. Della Croce, Docum. sulla congiura del C., in Ad A. Luzio... Miscellanea…, Firenze 1933, I, pp. 309-20; G. Carducci, Bozzetti e scherme, Bologna 1889, p. 176; G. Mazzoni. Un commilitone di U. Foscolo, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, IV (1892-93), pp. 321-401; Id., Abati, soldati, attori autori del Settecento, Bologna 1924, pp. 325 s.; G. Casati, Dizion. degli scrittori d'Italia, II, Milano 1929, pp. 127 s. (anche per Riccardo); C. Spellanzon, Storia del Ris. e dell'Unità d'Italia, I, Milano 1933, pp. 256, 296, 298; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, ad Ind. (anche per Riccardo); F. Ercole, Il Risorg. ital., Gli uomini politici, I, Milano 1941, p. 343 (anche per Riccardo); R. Fasanari, Gli albori del Risorg. a Verona (1785-1801), Verona 1950, pp. 80 ss., 142 s., 154, 219, 240, 243 s., 764 ss.; Id., Il Risorg. a Verona, Verona 1959, pp. 35 s., 65-71; F. Lechi, Il miraggio della libertà, in Storia di Brescia, IV, Brescia 1964, pp. 70 s.; DIiz. d. Ris. naz., II, sub voce (anche per Riccardo); Enc. It., IX, sub voce.