Giusti, Giuseppe
Nella formazione del poeta di Monsummano (1809-1850) il culto di D. entrò come componente essenziale, fatta d'intenso studio e di personali accostamenti nutriti di slanci generosi: " le prime cose che mi insegnò mio padre furono le note della musica ed il canto di Ugolino " (lettera ad Atto Vannucci). Di questa quotidiana frequentazione, alimentata via via dalla corrispondenza con i maggiori letterati del tempo, dal Giordani al Manzoni, restano tracce evidentissime nelle poesie, e più ancora in quelle serie che in quelle satiriche: immagini, stilemi, modi proverbiali, emistichi o interi versi, che giungono fino al centone in talune poesie occasionali come Nell'occasione che fu scoperto a Firenze il vero ritratto di D. fatto da Giotto (1841).
Copiosa anche l'attività esegetica, che se non giunse a una vera e propria lettura del poema dantesco organizzata unitariamente, si concretò in molteplici abbozzi, esercizi o riflessioni critiche dal G. stesso raccolte col nome di Studi e commenti intorno alla D.C. preceduti da una Chiacchierata ai lettori di D., pubblicati postumi da A. Gotti (Firenze 1863) ed editi ancora da G. Crocioni (ibid. 1898), da G. Pedrotti (Girgenti 1904) e da F. Martini (Firenze 1924). Le premesse rientrano nella genericità bonaria, quasi anteriore ai problemi, cui fu affidata l'immagine di D. nell'età romantica, soprattutto in regioni come la Toscana, dove il nuovo populismo poteva accordarsi con una tradizione di commenti orali mai interrotta: " Nelle indagini critiche, il meglio io credo che sia procedere colla logica la più semplice, ossia, per dirla in volgare, col senso comune "; oppure: " Il critico prende per norma le regole generali del gusto... ". E con criteri di gusto vengono risolte le lezioni dubbie. Nell'esercizio semplificatore del G. i quattro sensi delle Scritture si riducono a due, il letterale e l'allegorico, e il commento estetico è per lo più di tipo esclamativo; nell'esegesi dei luoghi prediletti dalla sensibilità romantica (per es. If V 138 e XXXIII 75) si attiene, romanticamente, alle suggestioni dell'indefinito (" Dante non ha voluto se non lasciarci perplessi, quasi sgomentati di raggiungere un unico significato ") o decide in modo inaccettabile come per If XIII 143 dove il Batista è identificato cofiorino d'oro, analogamente a Pd XVIII 133-135.
La parte più fertile e durevole della riflessione dantesca del G. è nella rinuncia a vincolanti premesse politiche (D. non fu " né Guelfo né Ghibellino ", di assoluta grandezza morale), nelle limpide pagine sull'esistenza storica e la trasfigurazione allegorica di Beatrice, e soprattutto nel felice senso storico nel raffrontare la parola di D. con quella dei cronisti fiorentini, nel contesto dei più antichi commentatori: equilibrio che gli meritò autorevoli consensi come quello del Tommaseo e, più tardi, del Del Lungo.
Bibl. - R. Guastalla, Rassegna bibliogr. giustiana, in " Giorn. Stor. " LVI (1910) 101-207; G. Stiavelli e G. Crocioni, G.G. dantista, in " Fanfulla della Domenica " XX (1898) 43-45; G. Surra, Imitazioni e reminiscenze nelle poesie di G.G., in " Giorn. stor. " LXIV (1914) 89-144; F. Martini, prefaz. a Tutti gli scritti edili e inediti di G.G., Firenze 1924, 333-391; O. Bacci, in " Bull. " VI (1898) 23; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, 141.