Giusti, Giuseppe
Poeta (Monsummano, Pistoia, 1809 - Firenze 1850). Proveniente da una agiata famiglia di possidenti di campagna, nel 1826 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Pisa, presso la quale si laureò solo nel 1834. Aveva infatti interrotto gli studi per tre anni, dal 1829 al 1831, a causa dei contrasti sorti con il padre; nel 1833, inoltre, in seguito alla sua partecipazione a una manifestazione politica promossa dai repubblicani, era stato sospeso dall’esame di laurea per un anno. Fin dall’adolescenza soffrì di disturbi psichici, e sviluppò una depressione degenerata in vera e propria nevrosi; il suo precario stato di salute fu ulteriormente aggravato da una grave infezione polmonare tubercolare. Dopo la laurea si trasferì a Firenze per far pratica presso uno studio d’avvocato. Nel 1836 conobbe Gino Capponi, con il quale strinse dal 1843 una profonda amicizia, e per suo tramite si avvicinò al movimento cattolico-liberale. Capponi offrì al poeta un trampolino di lancio sociale e letterario, tanto più che proprio in quegli anni (1844-45) apparivano le prime stampe delle sue poesie («scherzi» come da lui venivano chiamate), satira pungente dei costumi del tempo (Il ballo, Costumi del giorno, Lo stivale, Il re travicello). Nel 1844, anche nel tentativo di superare lo stato di depressione nel quale era piombato a causa della morte di uno zio, Giusti compì con la madre viaggi a Roma e Napoli. Passò poi l’estate del 1845 a Pisa dove frequentò il salotto della marchesa Luisa Blondel d’Azeglio. Sempre nel 1845, si recò a Milano dove conobbe Alessandro Manzoni, con il quale era da tempo in rapporti epistolari, e gli scrittori che a lui facevano capo, in particolare Giovanni Torti e Tommaso Grossi. L’influenza manzoniana si fece sentire non solo sul piano stilistico (ammorbidimento dei precedenti toni polemici e ironici e concessione ai preziosismi linguistici del toscano) ma anche su quello politico e spinse Giusti a una più convinta adesione alle posizioni moderate. A questo periodo risalgono i suoi componimenti di più spiccata ispirazione politica come Il Gingillino, Il papato di prete Pero, La Rassegnazione, Sant’Ambrogio. Nel settembre 1847 entrò a far parte della Guardia civica col grado di maggiore e nel giugno 1848 venne eletto deputato per il collegio della Val di Nievole. Partecipò così alla prima e poi alla seconda legislatura appoggiando i governi moderati di Cosimo Ridolfi e di Capponi di cui condivise le speranze e le attese di riforma. Nell’estate del 1848, quando il governo di Capponi fu costretto alle dimissioni dall’opposizione democratica, guidata da Giuseppe Montanelli e Francesco Domenico Guerrazzi, Giusti venne isolato e duramente attaccato. Con il rientro del granduca Leopoldo II, si ritirò a vita privata, anche a causa delle sue sempre più precarie condizioni di salute. Oltre che di poesie, Giusti fu autore di prose e di una raccolta di Proverbi toscani, pubblicata postuma e curata da Capponi. Il poeta ha lasciato anche un Epistolario che nell’Ottocento ebbe fortuna come testo di lingua esemplarmente in linea con le teorie manzoniane.