GORLA, Giuseppe
Nacque a Vernate, nel Milanese, il 6 sett. 1895, da Emilio e Giulia Ciocca.
Nel 1915, ancora studente in ingegneria, si schierò per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale, svolgendo attività di propaganda all'Università di Pavia, dove era iscritto. In quegli anni cominciò anche a frequentare a Milano, in quanto interventista, la redazione de Il Popolo d'Italia, allo scopo di organizzare, nell'ambito universitario, iniziative volte a indirizzare l'opinione pubblica in favore della guerra.
In tali occasioni conobbe, oltre a B. Mussolini, F. Corridoni e I. Cappa, noto avvocato repubblicano e interventista, poi fascista, nonché il principale tramite fra il gruppo universitario interventista pavese e l'interventismo organizzato che a Mussolini faceva riferimento.
Volontario in guerra, ne tornò a casa invalido. Da allora prese a occuparsi della causa dei mutilati di guerra: risulta impegnato in tale attività già dal 1917, anno in cui contattò Mussolini per conto della neonata Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, presieduta da D. Dall'Ara; ne era ancora membro attivissimo quando, dopo il 1920, l'Associazione medesima si affiancò ufficialmente al movimento fascista, cui il G. era da tempo vicino.
Nel 1919, infatti, aveva mandato al Popolo d'Italia la sua adesione all'adunata di piazza S. Sepolcro del 23 marzo, anche se con alcune riserve espresse, a posteriori, nelle sue memorie (L'Italia nella seconda guerra mondiale. Diario di un milanese, ministro del re nel governo di Mussolini, Milano 1959): "Pur non condividendo le idee esposte nel programma, invio l'adesione all'adunata del marzo 1923" (p. 14). Non risulta, però, che vi abbia effettivamente partecipato, come non partecipò alla marcia su Roma.
La sua attività professionale, dopo la laurea, si orientò in un primo momento verso la carriera accademica presso il Politecnico di Milano (ibid., p. 19); ma, divenuto consigliere comunale nel 1922, passò a occuparsi, come amministratore delegato, dell'Istituto case popolari di Milano. In questa veste ebbe ripetuti contatti con Mussolini, il primo dei quali risale, probabilmente, a un'udienza del 1925, come il G. stesso ricordò più tardi (ibid., p. 17).
Se i nuovi impegni lo allontanarono dalla carriera accademica, gli dischiusero, tuttavia, la strada della politica dandogli, inoltre, una visibilità pubblica che gli consentì di fungere, da "maestro di cerimonie" in molte occasioni cittadine (ibid., pp. 20 s.).
Nel 1926, partecipò a Vienna al primo congresso europeo delle case popolari; al rientro dalla missione, si fermò a Roma per farne rapporto a Mussolini, e per studiare con lui la legislazione da stabilire e applicare in materia. Nel 1928, con la nomina di G. De Capitani d'Arzago a podestà, l'attività espletata in queste funzioni lo designò quale naturale candidato alla carica di vicepodestà.
In questo ruolo, sua prima finalità dichiarata fu l'intenzione di pareggiare il bilancio cittadino; nel 1929, insieme con il podestà De Capitani, ebbe a Roma, vari incontri con il capo del governo per sottoporgli il progetto della metropolitana di Milano.
Nel corso degli anni Trenta il G. si trovò a ricoprire numerosi incarichi di un certo peso nell'ambito di differenti istituzioni. In particolare egli fu attivo quale membro del direttorio del Sindacato nazionale fascista ingegneri (SNFI), di cui fu, fra il 1937 e il 1938, segretario generale, collaborando anche assiduamente all'organo di categoria, L'Ingegnere (cfr. Libere professioni…, p. 197).
In questo specifico ambito, già dal 1929 il G. era intervenuto presso Mussolini per perorare un piano di assistenza alla categoria - particolarmente colpita dalla crisi economica legata alla congiuntura internazionale - che non raggiunse, però, risultati positivi neppure in seguito. Nel 1933 ottenne, invece, l'approvazione governativa per una tariffa nazionale unificata, che non fu tuttavia mai riconosciuta, come richiesto, quale contratto collettivo di lavoro. Un ruolo significativo il G. ebbe pure nel periodo precedente e immediatamente successivo alla guerra di Etiopia: di fronte alle sanzioni, infatti, la categoria, - come scrisse il G. sulle pagine de L'Ingegnere il 15 nov. 1935 - si candidava per dare al paese la consulenza tecnica necessaria a rendersi indipendente sul piano economico e industriale, e sosteneva l'intervento militare nella speranza che i nuovi possedimenti coloniali rappresentassero un'occasione di impiego nel settore dei lavori pubblici, specificatamente quelli progettati dal regime nelle nuove colonie. Il G., proprio per la sua esperienza in entrambi i campi dell'edilizia popolare e della pubblica amministrazione, divenne, in questa fase, uno degli interlocutori privilegiati e il mediatore nei rapporti fra sindacato e governo.
L'attività, mai interrotta, in seno all'Istituto case popolari di Milano, lo avvicinò inevitabilmente anche alla Cassa di risparmio, che già dal 1923 aveva contribuito a stanziare cospicui mutui a favore sia direttamente dell'Istituto, sia degli eventuali acquirenti. Questi contatti, nonché la qualifica di vicepodestà, facilitarono l'inserimento del G. nella commissione centrale di beneficenza della Cassa - che rivestiva un ruolo centrale in questo campo specifico - di cui, sotto la presidenza di De Capitani d'Arzago, fu commissario dal 1931 al 1943. Nel febbraio 1939, in qualità di segretario nazionale del SNFI, entrò a far parte della Camera dei fasci e delle corporazioni, spostando così in parte il proprio centro di attività a Roma.
Il G. fu anche membro del direttorio del fascio di Milano, del consiglio dell'Associazione Casse di risparmio e dell'Italcasse, e presidente del Touring Club Italiano, poi rinominato Consociazione turistica italiana, che fino al 1936 ebbe sede a Milano.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel giugno 1940, il G., come altri 189 consiglieri nazionali, venne richiamato alle armi e, pur essendo mutilato, fu dichiarato abile, in quanto una legge allora varata imponeva la mobilitazione dei consiglieri quali che fossero le loro condizioni fisiche. Distaccato al reggimento alpini, nello stesso mese veniva mandato a Vipiteno.
Rientrato a Milano, dopo che il ministero della Guerra aveva ordinato la smobilitazione dei consiglieri nazionali, verso la fine dell'ottobre 1940 fu nominato ministro dei Lavori pubblici al posto di A. Serena. Attivo già dal 31 dello stesso mese, dopo un'udienza con i direttori generali del ministero, ricevette da Mussolini le consegne (3 nov. 1940).
Il G. trovò già definito il piano degli stanziamenti per i Lavori pubblici; come racconta egli stesso nell'autobiografia, il suo primo atto da ministro fu quello di verificare che esistessero realmente, in bilancio, i fondi per finanziare i lavori deliberati; tale prassi gli rese evidenti l'incuria e la disinvoltura con cui operava in quegli anni il governo fascista. Si ritrovò, dunque, ministro nei momenti cruciali della guerra: una dettagliatissima cronaca dei tre anni in cui ricoprì questo ruolo è riportata nelle memorie; l'esaustività nel narrare, dall'interno, i vari accadimenti verificatisi in Consiglio dei ministri fanno del suo volume autobiografico una fonte preziosa per gli storici, che vi hanno ricorso per ricostruire le vicende belliche e il loro intreccio con le dinamiche interne al governo mussoliniano.
Il 6 febbr. 1943 venne sostituito da Z. Benini; alla richiesta di Mussolini di restare comunque a Roma a disposizione, il G. rifiutò, e chiese di poter tornare a Milano per riprendere la professione di ingegnere. Ricevette, invece, la nomina a consigliere nazionale per la Corporazione di acqua gas elettricità, e fu nominato membro della commissione Bilancio della Camera; restò quindi a Roma.
Che Mussolini fosse effettivamente interessato alla sua consulenza pare dimostrato anche dal fatto che il G. fu più volte consultato in merito alle decisioni del suo successore al ministero: tra l'altro, nel marzo 1943 criticò la scelta di Benini di istituire un ente nazionale che avrebbe dovuto raggruppare tutti gli Istituti per le case popolari, progetto che, di fatto, non partì mai.
Il 30 marzo 1943 il G. fu nominato podestà di Milano, ma rifiutò la carica (di ciò, tuttavia, c'è menzione esclusivamente nell'autobiografia, p. 410). Nell'aprile 1943 diventò presidente dell'Azienda generale italiana petroli (AGIP), e di conseguenza vicepresidente dell'Azienda nazionale idrogenazione combustibili. Continuava frattanto la sua attività all'interno della Cassa di risparmio di Milano, di cui era ancora consigliere. Mantenne tutte queste funzioni anche dopo il 25 luglio, con il governo Badoglio.
Con l'8 settembre, chiese di essere rimosso dall'incarico di presidente dell'AGIP, ma non fu accontentato; quando, alla fine di settembre, si costituì la Repubblica di Salò, gli fu chiesto di mettere a disposizione i macchinari dell'AGIP e di trasferirne la sede al Nord. Il suo rifiuto provocò una denuncia al fascio da cui, probabilmente, derivò la sua rimozione nell'ottobre 1943. Non era, quindi, più in carica quando, pochi mesi dopo, il 5 giugno 1944, gli ufficiali della sezione petrolio del Governo militare alleato entrarono nella sede romana dell'AGIP e requisirono tutti i macchinari.
Probabilmente a causa della sua rimozione il G. non subì processo di epurazione da parte degli Alleati (il che è comprovato, a contrario, dal fatto che il G. non è mai citato nella relazione di E. Mattei, appena nominato dal Comitato di liberazione nazionale commissario straordinario dell'AGIP: cfr. Roma, Arch. centr. dello Stato, Archivi diversi, Fondo Istituto per la ricostruzione industriale, Serie nera, b. 83, f. Relaz. del presidente dell'AGIP); nel contempo, però, si perdono le tracce della sua persona: di fatto il suo nome non risulta in alcun processo o pratica degli anni immediatamente successivi. Da tecnico era entrato nel gabinetto Mussolini e come tale se ne ritirò, forse per esercitare nuovamente la professione. Alcuni anni dopo (nel 1959) diede alle stampe le sue memorie, più volte citate.
Il G. morì a Milano il 15 genn. 1970.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. della Cassa di risparmio delle provincie lombarde, Normali, c. 28 (sull'attività del G. per l'Istituto case popolari e sulla sua partecipazione all'attività della Cassa di risparmio); Ibid., Adunanze della Commissione centrale di beneficenza, 23 maggio 1923, 30 nov. 1931, 28 marzo 1939; Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione gen. di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, Conflagrazione europea, b. 75, cat. A5, fascicoli "relativi all'attività nelle province"; Seconda guerra mondiale, b. 416, f. 119; Presidenza del Consiglio dei ministri, 1940-43, f. 8.2/22355. Vedi anche: Sindacato nazionale fascista ingegneri, Atti del III Congresso nazionale, Trieste 1935, pp. 203-212; P. Monelli, Mussolini piccolo borghese, Firenze 1950, pp. 123, 227; L. Salvatorelli - G. Mira, Storia dell'Italia nel periodo fascista, Torino 1956, pp. 1060, 1085; F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, pp. 40, 128-130, 138, 145 s., 150 ss., 156; R. De Felice, Mussolini il duce, II, Lo Stato totalitario, 1936-1940, Torino 1981, ad indicem; Id., Mussolini l'alleato, I, L'Italia in guerra, 1940-1943, 1, Dalla guerra breve alla guerra lunga; 2, Crisi e agonia del regime, ibid. 1990, ad indices; G. Bottai, Diario, 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, p. 295; A. Cova - A.M. Galli, La Cassa di risparmio delle provincie lombarde dalla fondazione al 1940, Milano 1991, I, pp. 128, 158; IV, pp. 64-67; Libere professioni e fascismo, a cura di G. Turi, Milano 1994, pp. 197, 201, 213 s.