GORNI, Giuseppe
Figlio di Arcinio, agricoltore, e di Iole Longhini, nacque a Santa Lucia, frazione di Quistello nel Mantovano, il 27 marzo 1894.
Frequentò le scuole elementari a Quistello e le scuole tecniche a Padova. Proseguì quindi gli studi a Bologna, dove frequentò l'istituto tecnico Pier Crescenzi fino al 1913 e si iscrisse poi alla facoltà veterinaria presso la locale Università.
Allo scoppio della prima guerra mondiale fu chiamato alle armi; dopo tre mesi di corso presso l'Accademia militare di Modena fu nominato sottotenente di fanteria e il 15 sett. 1915 raggiunse il 142° reggimento sull'Isonzo. Il 3 giugno 1916, catturato sul monte Cencio con il 1° reggimento granatieri a cui era stato aggregato, venne internato prima nel campo di Duna-Szerdahely poi in quello di Hajmasker, entrambi in Ungheria.
Durante l'internamento il G. iniziò a dedicarsi alla pittura e alla scultura: "nella lontananza, nella solitudine, nel dolore nacquero tutti i miei disegni di prigionia" (Brevi note sulla mia vita, in L'opera di G. G., p. 15: se non altrimenti indicato, d'ora in avanti si farà riferimento per le citazioni a questo testo mediante il solo numero della pagina). Se le opere scultoree sono andate completamente distrutte, sopravvive di quegli anni un certo numero di taccuini, su cui il G. annotava a penna e a matita le immagini che lo colpivano, traendole dalla memoria o facendo riferimento ai drammatici avvenimenti che si svolgevano sotto i suoi occhi (Dall'Acqua, L'abc…, 1972). A Hajmasker conobbe Massimo Campigli, anch'egli prigioniero, il quale fu il primo estimatore del Gorni.
Dopo il rientro del G. dalla prigionia, nel 1919, Margherita Sarfatti - che lo aveva conosciuto grazie all'interessamento del critico d'arte del Resto del carlino, Giannotto Bastianelli - scrisse un articolo corredato da numerose illustrazioni, in cui lo giudicava un precursore dell'avanguardia artistica del dopoguerra.
Il G. riprese quindi gli studi, da solo, abbandonando l'università, e si diplomò nel 1922 all'Accademia di belle arti di Bologna, come privatista. Decise quindi di intraprendere due "viaggi di formazione" scegliendo come meta Firenze e Monaco di Baviera per visitare le gallerie d'arte.
Ritornato a Quistello, vi fondò una scuola tecnica di cui fu all'inizio vicedirettore e insegnante di disegno; ma ne venne presto allontanato per motivi politici.
Nel 1923 si recò a Parigi, dove rimase per alcuni mesi, ospite di Severo Pozzati, suo primo insegnante di scultura e ormai apprezzato cartellonista. Condusse lì una vita solitaria e per guadagnare realizzò disegni per giornali di sinistra - L'Humanité, L'ère nouvelle, Le Populaire - ma ben presto dovette tornare in Italia, nonostante le esortazioni di Massimo Campigli a rimanere a Parigi.
Al suo rientro partecipò, nel clima acceso di quegli anni, alle più significative manifestazioni artistiche dell'avanguardia mantovana che, seppur non omogenea, trovava coesione nella necessità di opporsi al chiuso tradizionalismo provinciale. Il G. non venne tuttavia apprezzato; solo il giornalista e critico Giuseppe Guerra, in occasione di una mostra secessionista organizzata nel palazzo ducale di Mantova nel 1923, appoggiò apertamente l'opera del G. e di quegli artisti che come lui avevano dato segnali di innovazione dell'arte locale.
L'incomprensione generata dalle sue opere e la sua avversione al fascismo lo spinsero a rinchiudersi nel silenzio della propria terra di Quistello per dedicarsi allo studio dal vero. I disegni di questo periodo sono estremamente numerosi e dimostrano il tentativo di impadronirsi della realtà, affinando i mezzi tecnici. Si dedicò inoltre all'incisione e in particolare alla xilografia, realizzando nel 1926, in occasione delle celebrazioni per il bimillenario di Virgilio dieci stampe ispirate alle Georgiche. Si cimentò anche nella decorazione murale, realizzando grandi composizioni a graffito su edifici, soprattutto tra Quistello e Nuvolato (Mundici).
Era intendimento del G. che ogni edificio segnalasse con un graffito l'attività che in esso si svolgeva: sulla casa del veterinario la nascita del vitellino; sui muri del mulino i fornai che fanno il pane; sulla facciata dell'ENAL i giocatori di carte; un girotondo di bambini su un lato della scuola materna. I graffiti costituirono un interesse costante per il G. lungo tutto l'arco della sua vita.
Il 23 dic. 1929 sposò Milia Gasparini, da cui ebbe i figli Salve e Ave. In questi anni collaborò al Selvaggio di Mino Maccari, che pubblicò alcuni suoi disegni dal 1927 al 1929.
Assorbito dalle cure per la famiglia il G. continuò a disegnare e dipingere quasi esclusivamente per se stesso. Sono di questi anni opere come Il ciclista (distrutta) e Ragazzo seduto sulla sedia, che uniscono l'elemento scultoreo con oggetti tratti dall'uso comune, per esempio la sedia al naturale (Mundici, p. 187). A questo proposito scrisse il G. nelle note sulla sua vita: "Nel 1930 tentai di unire la scultura con oggetti veri tanto da ottenere composizioni di immediata e facile comprensione […]. Su una bicicletta collocai un corridore che somigliava molto al famoso mantovano Guerra, allora in auge […] inviai questa scultura alla famosa "Permanente" di Milano […] con mio grande dispiacere seppi dal custode che la mia opera era stata scartata […] la bicicletta aveva destato ilarità (membro della giuria era anche lo scultore Manzù)" (pp. 19, 24).
Nel 1940, all'entrata in guerra dell'Italia, il G. fu richiamato alle armi, con il grado di maggiore di fanteria. Dal fronte francese venne inviato a quello iugoslavo e quindi a quello russo, dove rimase dal 9 luglio 1941 al 1° maggio 1943. Ritornato a casa dalla Russia, dopo l'8 settembre il G. si dette poi alla macchia per non prestare servizio militare al fianco dei nazifascisti. Riuscì a fuggire in Svizzera, dove fu internato in un campo militare dal 25 sett. 1943 al 3 luglio 1945.
Ancora una volta la terribile esperienza della guerra lo indusse a riprendere in mano la matita. Mentre infatti nel periodo tra il 1935 e il 1940 non aveva prodotto quasi nulla, in Russia riempì fogli di disegni e in Svizzera modellò le prime sculture a incavo, come ricorda nelle sue note: "La figura, che sempre avevo prediletto, totale, volumetrica, piena, pesante, mi portava […] alla rottura delle superfici, allo svuotamento, ad equilibri […] fra vuoto e pieno […]. I soggetti non potevano riguardare se non la guerra […]. In principio la soluzione la trovavo nel panneggiamento delle vesti, poi i vuoti, pur rispettando il soggetto, furono più estesi fino a predominare sul pieno. Infine la figura divenne astratta, pur conservando la essenzialità del soggetto" (p. 25).
Ritornato in Italia il G. venne nominato sindaco di Quistello, carica che dovette abbandonare quasi subito perché incompatibile con l'insegnamento nella scuola media dello stesso paese.
Nel 1953 si trasferì a Cinisello Balsamo, presso Milano, per dirigere l'ufficio tecnico del Comune fino al 1961; in quel periodo la sua produzione artistica si arrestò e solo nel 1962 il G. riprese a disegnare e modellare. Nel 1965 la galleria Gianferrari allestì una personale grazie all'interessamento di M. De Micheli e Campigli, ottenendo il consenso di numerosi critici e amici come C.L. Ragghianti. Nella mostra Arte in Italia 1915-35 (1967) a Firenze a cura di Ragghianti gli venne dedicata una sala.
Nel 1968 il premio Suzzara gli dedicò un'ampia rassegna antologica che riassume i momenti più significativi della sua produzione dal 1916 al 1966.
Nel 1972 infine tenne un'importante mostra alla Casa del Mantegna di Mantova e nel 1975 una grande mostra a palazzo reale a Milano coronò la sua carriera d'artista.
Il G. morì a Domodossola il 6 ag. 1975.
Tra le sculture del G. si ricordano il Monumento alla donna, eretto in piazza Cavallotti a Mantova nel 1974 e il Monumento al capolega, inaugurato il 1° maggio dello stesso anno a San Rocco di Mantova. La Pinacoteca di Quistello ha in dotazione una ventina di opere del G., tra cui il bronzo Donna chinata e il disegno Ritratto di giovinetta.
Fonti e Bibl.: M. Sarfatti, Cronache del mese: pittura e scultura, in L'Ardita, I (1919), 5, pp. 316-318; L. Vitali, L'incisione italiana moderna, Milano 1934, p. 83; G. Ponti, Volumi vuoti, terracotte di G. G., in Domus, XXIII (1951), 258, p. 36; M. De Micheli - M. Campigli, G. G. scultore (catal., galleria Gianferrari), Milano 1965; R. Margonari, Mostra dell'opera pubblicitaria di G. G. (catal., galleria d'arte "La saletta"), Mantova 1966; C.L. Ragghianti, G. G., in Arte moderna in Italia 1915-1935 (catal.), Firenze 1967, p. 343; Id., Bologna cruciale 1914, in Critica d'arte, n.s., XVI (1969), 106-107, pp. 78-86; R. Margonari, G. G., in NAC.Notiziario arte contemporanea, 1970, n. 37, p. 15; Id., Le xilografie di G., ibid., 1972, n. 11, pp. 28 s.; M. Dall'Acqua, L'abc di G., Mantova 1972; Id., G. G.: la fine di un'epoca, in Civiltà mantovana, VI (1972), 35, pp. 346-364; C.L. Ragghianti - M. De Micheli - R. Margonari - M. Dall'Acqua, L'opera di G. G., Milano 1972; C.L. Ragghianti, Il fenomeno G. 1915-1925, in Critica d'arte, XIX (1972), 125, pp. 61-76; G. G. (catal.), a cura di M.C. Mundici, Suzzara 1979; G. G., opera grafica 1940-1960 (catal., Quistello), a cura di R. Margonari, Milano 1985; G. G. (catal., Cinisello Balsamo), Milano 1987; G. Bruno, in Arte a Mantova 1900-1950 (catal., Mantova), a cura di Z. Birolli, Milano 1999, pp. 109-114; R. Casarin, ibid., pp. 174 s. (con ulter. bibliografia).