GRANDI, Giuseppe
Nacque a Ganna, presso Varese, il 17 ott. 1843, da Francesco Giuseppe, falegname, e da Marianna Cerutti, terzo di sei fratelli.
A tredici anni avviò il suo apprendistato presso un artigiano di Bisuschio, dove cominciò a trattare il marmo. Si trasferì quindi a Milano, ancora adolescente, per poter proseguire la pratica del mestiere presso altri maestri, quali il conterraneo F. Pelitti, i fratelli Boni, che avevano una fornace di terrecotte, e L. Vela, allora docente aggiunto alla scuola di ornato presso l'Accademia di Brera. Nel 1860 il G. si iscrisse infatti ai corsi di figura dell'Accademia, dove frequentò la sala delle Statue dal 1862 fino al secondo semestre dell'anno 1863-64. Si trasferì quindi a Torino, dove rimase fino al 1866, per proseguire i suoi studi nell'Accademia Albertina presso la cattedra di scultura tenuta da V. Vela.
Nel 1861 e nel 1862 aveva ottenuto segnalazioni per la sezione di plastica della scuola d'ornamenti e nella scuola di disegno di figura dell'Accademia di Brera; nel 1865 ricevette menzioni onorevoli e una medaglia d'argento al concorso annuale di scultura dell'Accademia Albertina per il bassorilievo sul soggetto L'incontro di Giacobbe con Rachele, donato allora alla stessa Accademia. Nel 1864 esordì nelle esposizioni di Brera con un medaglione in marmo, "rappresentante il biricchino di Parigi" (Esposizione di belle arti nel palazzo di Brera, Milano 1864, p. 58 n. 410), e nel 1866 presentò un altro bassorilievo in marmo, che aveva per soggetto Otello.
Nel 1867 ottenne il premio di scultura per la Fondazione Canonica dell'Accademia di Brera, sul tema (assegnato per il 1866, ma sospeso in quell'anno a causa della guerra) di Ulisse in atto di tender l'arco, opera contrassegnata ancora da una eroicizzazione romantica del soggetto. Il gesso dell'Ulisse, da cui è stata tratta una fusione postuma in bronzo, si trova nei depositi della Galleria d'arte moderna di Milano (nella Galleria milanese sono anche conservate, salvo altra indicazione, tutte le opere del G. qui di seguito ricordate).
Nel 1868 partecipò al concorso per un monumento da erigersi a Milano in onore di Cesare Beccaria, iniziativa promossa nel 1865, a sostegno della proposta di abolizione della pena di morte, dalle pagine della Cronaca grigia, la rivista della scapigliatura milanese diretta da Cletto Arrighi.
La commissione del concorso, di cui facevano parte G. Strazza, A. Tantardini, D. Induno, G. Bertini e il futuro sindaco di Milano G. Belinzaghi, deliberò nella seconda selezione, ristretta a due soli bozzetti, di assegnare la realizzazione del monumento al progetto del G., che portava l'epigrafe "Essere o non essere, questo è il problema".
Il Monumento a Cesare Beccaria era compiuto, con qualche modifica rispetto al bozzetto originario, nel dicembre 1870 e venne inaugurato il 18 marzo 1871 sulla piazza omonima. Si compone della statua del giurista rappresentato in atteggiamento quotidiano, in veste da camera (l'originale in marmo è stato in seguito sostituito da una fusione in bronzo; il marmo è entrato a far parte delle collezioni della Galleria d'arte moderna ed è ora collocato all'interno del palazzo di Giustizia di Milano), eretta su un basamento, nella cui base sono inseriti bassorilievi allegorici rappresentanti la Civiltà, seduta su un ampio scranno in atteggiamento austero, e il Tempo, che si leva in volo, coprendosi il volto, su un paesaggio disseminato di morte e distruzione.
Il G. entrò presto in contatto con il milieu culturale e artistico milanese, in particolare con l'ambiente della scapigliatura, guadagnandosi la stima di G. Rovani e stringendo amicizia con D. Papa, B. e E. Junck, C. Righetti (C. Arrighi), D. Induno, V. Bignami, D. Ranzoni - che aveva frequentato l'Accademia Albertina negli stessi anni in cui vi era il G. - e soprattutto con T. Cremona, per l'arte del quale dimostrò notevole attenzione.
In seguito, furono tra i suoi amici ed estimatori i letterati C. Borghi e C. Dossi, l'architetto L. Beltrami e gli artisti L. Conconi e G. Mentessi, che si occuparono anche delle vicende delle sue opere dopo la scomparsa dell'artista; ma anche G. Previati, il quale subentrò nello studio abbandonato dal G. negli anni Ottanta, quando questi si trasferì nel nuovo, più grande, costruito appositamente nella zona dell'Acquabella, per la realizzazione del Monumento alle Cinque giornate.
Ancora nel periodo di elaborazione del monumento a Beccaria, il G. ottenne la commissione di una statua per il duomo di Milano, raffigurante S. Tecla, collocata nel 1869 nel braccio di croce meridionale. A essa fece seguito, nel 1877, la richiesta di una seconda scultura per la Fabbrica del duomo, S. Orsola, sistemata sul quarto pilone a destra della navata centrale, all'interno dell'edificio.
L'interesse per la sua opera, all'indomani dell'inaugurazione del monumento a Beccaria, portò al G. richieste da committenti privati, tra cui quella di un monumento funerario per la famiglia Noseda da erigersi nel cimitero Monumentale di Milano, mai compiuto dall'artista.
Il progetto, che comprendeva tre figure allegoriche femminili sovrastate da un angelo, venne solo abbozzato dal G., e poi abbandonato, a seguito di contrasti sorti con il committente, che condussero a una contesa legale, conclusasi nel 1874 con un risarcimento al G. per i danni causati dal mancato adempimento del contratto. Del progetto originario rimane la figura femminile semisdraiata in gesso, allegoria della Giovinezza, esposta a Vienna nel 1873 e a Brera nel 1874 con il titolo Il primo dolore.
Per la stessa famiglia il G. eseguì il Busto di Vincenzina Noseda, sempre per il cimitero Monumentale di Milano.
Ebbero destinazione funeraria anche il Busto di Antonio Billia (1873-74, poi entrato nelle collezioni della Galleria d'arte moderna di Milano); il Monumento per Savinia e Giuseppina Astori, collocato nel 1879 dopo che la statua che lo caratterizzava, una bambina che sparge fiori, era stata esposta a Brera nel 1877 con il titolo Tumulo recente (l'originale in marmo è ora nelle collezioni della Galleria d'arte moderna di Milano; una fusione in bronzo è stata collocata sulla tomba dell'artista nel cimitero di Ganna); il Monumento a Teresa Curioni-Testa, con il ritratto della defunta in un medaglione in bronzo realizzato nel 1881; l'effigie ricordo del medico Paolo Gorini all'ingresso del tempio crematorio, anch'essa dei primi anni Ottanta. Del Gorini elaborò anche il gesso per una statua da collocare a Lodi.
Nell'ambito della ritrattistica sono da segnalare, per l'attività dello scultore negli anni Settanta, altri busti: di Giuseppe Cremona, più rigido e convenzionale, e di Luigi Della Beffa, più libero nell'espressione e nella trattazione plastica.
Per il Monumento di Antonio Billia il G. aveva anche progettato nel 1873 una figura di bambina che posa una corona di fiori su un cippo funerario (resta il bozzetto in bronzo), la quale, nelle sue caratteristiche, segna il modo del G. di porsi a confronto con i soggetti leziosi divenuti prevalenti nella scultura milanese di quegli anni - lo si può notare anche in un Busto femminile conservato nelle raccolte della Pinacoteca civica di Monza - per superarli verso una modellazione delle superfici meno descrittiva e più attenta ai valori di fusione luministica.
Nel 1873 presentò all'Esposizione annuale di Brera una statuetta di Alessandro Volta, della quale esistono, in collezioni private, la versione in gesso e quella in bronzo, e Kaled, al mattino del conflitto di Lara, poi detta Il paggio di Lara, soggetto tratto da G. Byron, raffigurante la fanciulla vestita da paggio che serviva il protagonista del romanzo.
L'opera suscitò reazioni fortemente negative da parte della critica - G. Mongeri, C. Romussi, ma soprattutto C. Boito - che vi vedeva un carattere confuso e "barocco"; e si pone quale ulteriore testimonianza dell'interesse del G. per la lezione di T. Cremona, di cui riprese in scultura la tendenza a sfaldare i contorni e le superfici e il ricorso a temi romantici peculiari di un'arte che cercava strade differenti rispetto alle inclinazioni storiciste proprie della più recente tradizione artistica.
Motivi romantici ispirano anche il Beethoven giovinetto, esposto a Brera nel 1874 (gesso, nella Galleria d'arte moderna di Milano; bronzo, nella Civica Galleria d'arte moderna di Torino), eseguito su richiesta di B. Junck, per lo studio del quale il G. aveva realizzato anche una scultura raffigurante Wagner e decorazioni per un camino.
La ricerca di un plasticismo innovativo, lontano dai caratteri monumentali e celebrativi della scultura più convenzionale, si può cogliere, oltre che nel bozzetto in gesso presentato al concorso per un Monumento ai caduti di Mentana da erigersi a Milano, nel Maresciallo Ney, statuetta che il G. espose a Brera nel 1875 senza indicazione dell'autore per sottrarsi alle polemiche sorte due anni prima a proposito del Paggio di Lara.
Per il Monumento ai caduti di Mentana il G. propose un obelisco che doveva riportare raffigurazioni dalla storia di Roma, ai cui piedi giaceva la figura di un garibaldino avvolto in una bandiera; a seguito dell'esposizione dei bozzetti nella sede della Società democratica nel giugno 1874 e del successivo ballottaggio nel febbraio successivo, risultò vincitore del concorso il bozzetto presentato da L. Belli.
Il Ney costituisce una delle opere con cui meglio il G. dimostrò la strada intrapresa nel ricercare una dimensione intima, ma non aneddotica, nei motivi scultorei, fondata su possibilità espressive e plastiche che si allontanassero dal naturalismo proprio della scultura lombarda precedente per evidenziare piuttosto l'incidenza del confronto con la contemporanea pittura. Fu realizzato in marmo, per essere poi ripreso, in dimensioni ridotte e con leggere variazioni, in più versioni (due, una in gesso e l'altra in bronzo, nella Galleria d'arte moderna di Milano; altre repliche in bronzo, oltre a un gesso della scultura nelle dimensioni del marmo, in collezione privata); il marmo originale entrò nelle collezioni di C. Borghi - giovane letterato e giornalista, fondatore dell'Italia e del Guerin meschino, che dimostrò stima per l'opera del G. - e passò poi ai suoi eredi. Per Borghi il G. modellò anche due candelabri e una decorazione di pendola, raffigurante una giovane donna distesa, oltre al busto commemorativo che, collocato su un plinto in marmo, anch'esso decorato dallo scultore, fu donato alla Società delle belle arti in occasione dell'inaugurazione della sede, progettata da L. Beltrami, nel 1886 (ora Società delle belle arti ed esposizione permanente).
La partecipazione del G. al ricordo degli episodi risorgimentali trovò una concreta testimonianza anche nel Garibaldino ferito, presentato come Rimembranze della campagna del 1860 all'esposizione di Brera del 1876, nel quale i contemporanei identificarono l'autoritratto dell'artista da giovane.
Il G. diradò progressivamente la sua partecipazione alle esposizioni, inviando ancora nel 1876 a Brera un bassorilievo, Al pascolo, da identificarsi plausibilmente con la Testa di capretta (con ogni probabilità il gesso per il bronzo indicato come Modella in posa: Caramel - Pirovano, n. 1136) e nel 1879 un bozzetto per un monumento a Vittorio Emanuele e I congiunti dormono. Quest'ultima è una delle sculture in dimensioni ridotte che, con la Pleureuse, L'edera, lo Studio di figura femminile (ibid., n. 1137) e il Bozzetto per un monumento funerario (ibid., n. 1123), testimonia del confronto con le modalità scapigliate nel superamento di una plasticità definita, per soffermarsi su una sorta di abbozzo o di "impressione" delle figure, rappresentate in pose insolite. A questo si accompagnò il progressivo crescere dell'interesse dell'artista per le arti decorative: un campo che lo vide aggiornare i principî della scuola d'ornato lombarda verso soluzioni innovative, quasi eclettiche, per i riferimenti adottati e per una nuova impostazione del motivo plastico. Lo dimostrano il Lampadario, esposto nella bottega d'arte Grubicy nel gennaio 1880, di cui si conoscono più repliche (una nella villa di Carlo Dossi sul monte Olimpino nei pressi di Como, e un'altra presso gli eredi di C. Borghi) e altri interventi ornamentali, culminanti nelle decorazioni, incompiute, per palazzo Turati (di cui sono stati rintracciati cospicui frammenti fra i gessi della Galleria d'arte moderna di Milano), contemporanee all'elaborazione del Monumento alle Cinque giornate, completato anch'esso da apparati ornamentali naturalistici fusi in bronzo dallo stesso artista.
Aspetti originali di ricerca, con possibili rapporti con la pittura scapigliata ma in senso più specificamente illustrativo, hanno le prove all'acquaforte, collocabili intorno agli anni Settanta, concentrate principalmente attorno ad alcuni ritratti, tra i quali quelli dei fratelli dell'artista, Alessio e Abdia, di C. Borghi, di E. Cairoli, di A. Mazzucato, di re Umberto, di T. Cremona; dai suoi esperimenti all'acquaforte avrebbe tratto spunto L. Conconi per avviare la sua più complessa attività in questo senso.
Il maggior impegno il G. lo profuse però nelle imprese ritenute di maggior prestigio pubblico, partecipando ai principali concorsi per i numerosi monumenti che in quel periodo venivano promossi in molte città. Dopo la morte di Vittorio Emanuele, egli partecipò a diversi concorsi (Torino, Milano, Venezia) per monumenti dedicati al re.
In quello di Milano, del 1879, che vide vincitore E. Rosa, il G. propose due bozzetti, uno ispirato al Ritorno dalla Russia di Napoleone, di E. Meissonier, e un altro, di cui si conosce una riproduzione fotografica (Bozzi, p. 102), molto ben accolto dalla critica per il carattere di veridicità dimostrato. Forse connesso a qualcuno di questi concorsi può essere considerata la statua del re acefala in marmo, per la quale il G. potrebbe aver tratto spunto dallo schizzo di T. Cremona, raffigurante il rifiuto di Vittorio Emanuele di abrogare lo statuto alla presenza del maresciallo Radetzky, ultima opera eseguita dall'artista, custodita in quegli anni dal Grandi.
Nel 1879 venne indetto il concorso per il Monumento alle Cinque giornate, per il quale da anni era in corso una sottoscrizione pubblica. Nella primavera del 1880 ebbe luogo il primo concorso, rivolto a bozzetti di carattere architettonico; nel giudizio della commissione prevalse quello presentato da L. Beltrami, ma non si diede atto all'esecuzione dell'opera, preferendo rinnovare il concorso, allargato a nuovi concorrenti. Per la nuova competizione, aperta al pubblico nel marzo 1881, il G. approntò il suo progetto, ultimo a essere presentato nel giorno di chiusura delle ammissioni e unico di impostazione scultorea anziché architettonica; nelle settimane di apertura dell'esposizione il giudizio unanime della critica e del pubblico fu favorevole al progetto presentato dal G., che ottenne la prestigiosa commissione, a seguito dell'approvazione del bozzetto definitivo, nel gennaio 1882.
A partire da questa data il G. dedicò le sue energie quasi esclusivamente alla realizzazione di quest'opera, nella quale risulta evidente un'attenzione naturalistica estrema accompagnata però anche all'esplicito intento di creare un monumento di nuova valenza, simbolica e anticelebrativa. A questo scopo impiegò buona parte dei finanziamenti ottenuti per farsi costruire uno studio di grandi dimensioni all'Acquabella, a poca distanza da quella porta Vittoria (già porta Tosa), dove doveva essere eretto il monumento.
Il monumento poi realizzato consiste di un obelisco di ragguardevole altezza circondato da cinque figure femminili, che rappresentano allegoricamente le Cinque giornate ma anche singoli episodi occorsi durante la sollevazione della popolazione milanese, dal suono delle campane che chiamò all'insurrezione la popolazione al dolore per i caduti e all'incitamento sulle barricate; completano gli elementi figurativi un leone e un'aquila - simboli della difesa orgogliosa dei cittadini sulle barricate e della riconquistata libertà - per eseguire i quali il G. effettuò studi dal vero, utilizzando animali vivi ospitati, insieme con altri di diverse specie, nell'ampio studio, dotato anche di piattaforme girevoli di varia dimensione. Per scegliere il leone lo stesso scultore si recò ad Amburgo nel 1886 a un'esposizione-serraglio e concluse un contratto per l'acquisto e il trasferimento dell'animale a Milano. A causa della scrupolosa ricerca naturalistica dell'artista e dell'attenzione suscitata nell'opinione pubblica, questo e altri episodi sono stati stigmatizzati nei periodici del tempo e nelle testimonianze dei contemporanei, che hanno fatto fiorire aneddoti attorno al Monumento alle Cinque giornate e al Grandi. In particolare, nei lunghi anni trascorsi dall'ottenimento dell'incarico alla conclusione dell'opera (1894), il G. subì continue pressioni da parte delle associazioni di veterani delle "patrie battaglie", che intendevano vedere realizzato al più presto il monumento. Nel 1887 egli fu in grado di presentare alla commissione incaricata dal Comune di Milano, presieduta da L. Beltrami, il nuovo bozzetto del monumento, a dimensione ingrandita fino a metà di quella definitiva, passo che precedette la realizzazione dei calchi per la fusione.
Nonostante l'impegno dimostrato nella realizzazione del suo progetto maggiore, in quegli anni il G. non disdegnò di partecipare ad altri concorsi per interventi monumentali; in particolar modo inviò suoi bozzetti, non accettati, al concorso per un monumento da erigersi in onore di Giuseppe Garibaldi in Milano, nel 1885, e a quello per il monumento a Dante per la città di Trento, nel 1891-92.
L'idea del Monumento a Garibaldi venne giudicata troppo simile a quella del Monumento alle Cinque giornate e, pur lodata dalla critica, non ottenne il successo, che fu invece attribuito al bozzetto di E. Ximenes. Del bozzetto presentato dal G. restano i gessi della statua di Garibaldi e di un Garibaldino che leva in alto uno scudo.
Anche nel caso del Monumento a Dante il suo bozzetto, che pure venne selezionato insieme con quelli di Cesare Zocchi e Ximenes per un secondo giudizio ristretto e pur lodato da critici come V. Grubicy e Dossi, non venne prescelto nella seconda versione, giudicata inferiore alla prima; a esso venne preferito quello presentato da Zocchi.
Amareggiato da tali insuccessi e minato nel fisico da continue e ricorrenti crisi, il G. tornò al lavoro attorno al suo monumento e, trasformato lo studio in fonderia, grazie anche all'acquisizione di un'ulteriore e notevole porzione di terreno, si applicò a fondere in bronzo le singole parti del monumento, tra cui l'obelisco, realizzato in un'unica fusione, e a rifinire i motivi ornamentali.
L'opera venne conclusa e collocata nella sua sede definitiva nell'autunno del 1894; ma il ritardo nel completamento dei lavori di sistemazione della viabilità e le conseguenze di una crisi politica dell'amministrazione comunale costrinsero a rimandare l'inaugurazione del monumento.
Nel frattempo il G., colpito da ulteriori crisi respiratorie, si ritirò, come era suo solito, nel paese natale, per affidarsi alle cure della sorella maggiore Erina.
Il G. morì a Ganna il 30 nov. 1894.
Il monumento venne scoperto in suo onore per mezza giornata il 6 dic. 1894, all'indomani delle esequie del G., per essere ufficialmente inaugurato nel marzo 1895, in occasione delle celebrazioni dell'anniversario delle Cinque giornate. In quei giorni venne anche allestita un'esposizione delle opere dello scultore nei locali della Poliambulanza, nei pressi del monumento, unica personale a tutt'oggi a lui dedicata, a parte una breve presentazione delle sculture donate nel 1913 dal fratello Benigno al Comune di Milano, avvenuta nelle sale del Castello Sforzesco nel 1925.
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