GRASSI, Giuseppe
Nacque il 30 nov. 1779 a Torino da "poveri parenti", come si legge in una breve nota autobiografica pubblicata nel suo necrologio nell'Antologia di Firenze (1831), poi ristampata in più edizioni del Saggio intorno ai sinonimi insieme con il profilo che di lui scrisse G. Manno (analogo a quello che si legge nel De Tipaldo, dove però il mese della nascita è aprile: dirime il dubbio l'iscrizione funebre del G. nel cimitero di Torino, attribuita a G. Vernazza, riprodotta nell'edizione milanese del 1911 del Saggio, p. 27, che recita: "visse anni LI mesi I giorni XXI / morì addì XIX gennaio MDCCCXXXI").
Dopo i primi studi nelle scuole pubbliche, nel 1792 entrò nel seminario di Torino. Disse poi di esserne uscito "disturbato" dall'invasione francese del Piemonte, che portò alla chiusura del seminario. Per il G. era soprattutto urgente aiutare la famiglia. Dapprima si guadagnò da vivere come garzone presso il libraio torinese Destefanis. Sviluppò allora interessi letterari, inizialmente rivolti al teatro, in cui ammirava Goldoni e il cuneese C. Federici.
Un testo teatrale del G., Il soldato d'onore, fu recitato dall'autore stesso con una compagnia di amici nel teatro Ughetti di Torino (lo si legge nella raccolta del Teatro scelto di vari autori allestita da R. Castellani, V, Livorno 1815, pp. 77-135). Si tratta della storia d'un soldato, Gustavo Erfort, che per giusti motivi d'onore ferisce un superiore, il capitano Federico Lindal, e viene condannato a morte. Viene salvato quando è ormai di fronte al plotone di esecuzione, per intervento dello stesso Lindal, pentitosi. Il G. lavorò anche all'edizione del Teatro popolare inedito, pubblicata a Torino tra 1789 e 1800, di cui uscirono sei volumetti, nei quali si trovano sue brevi note critiche su singole pièces teatrali, siglate "G. G.".
Lavorò poi nell'amministrazione pubblica: fu segretario del consiglio di amministrazione della guardia nazionale di Torino e poi impiegato in prefettura, giungendo al grado di chef de bureau. A quest'impiego si lega l'Aperçu sur le commerce, l'industrie, les arts et les manifactures du Piemont (Turin 1811: un esemplare si trova nella Biblioteca dell'Accademia delle scienze di Torino). Lo scritto dovette costargli qualche noia, se fu notato (lo ricorda Manno) che "alcuni errori di fatto […] lo deturpavano". Ma la sua principale risorsa economica fu l'attività giornalistica, intensa fin dagli anni napoleonici. Già in precedenza (la notizia viene ancora da Manno) il G. aveva dato vita a Torino a un giornale di breve durata, Frusta letteraria (1797), a imitazione di quella di G. Baretti. Scrisse sul più importante foglio d'informazione di quegli anni, stampato in francese, il Courrier de Turin, di cui fu condirettore, e dopo la Restaurazione nella Gazzetta piemontese, che diresse (V. Cian ne ha studiato gli interventi di carattere letterario). Nel 1814 un lungo viaggio per l'Italia lo portò a Firenze, dove lavorò al Dizionario militare e conobbe G.B. Niccolini, che più tardi lo mise in contatto con G.P. Vieusseux.
Ancora agli anni del governo francese risale l'Elogio storico del conte Giuseppe Angelo Saluzzo di Menusiglio (Torino 1813), scienziato e fondatore dell'Accademia delle scienze di Torino, ricordato dal G. come suo "primo saggio" nelle lettere italiane (nel frontespizio ha la data del 1813, ma egli lo datò al 1812 e tale data è ribadita nella nota che ne accompagna la riedizione nelle Operette varie, ibid. 1832). L'Elogio ebbe una certa eco: fu apprezzato da G. Paradisi, L. Lamberti, V. Monti, da U. Foscolo e da C. Botta. Introdotto nel mondo letterario, il G. fu in corrispondenza con uomini celebri quali Foscolo (dal 1808 al 1822), F. Albergati Capacelli, M. Cesarotti, G.G. De Rossi, Monti, più tardi Niccolini e Vieusseux. Dopo la Restaurazione pubblicò (nel Calendario signorile per l'anno 1816, ibid. 1816, da lui curato) una descrizione delle Feste fattesi in Torino per l'arrivo di s.m. la regina nella sua capitale, e la collezione di tutte le poesie relative, stampate in detta città. Lo scritto fu gradito e aiutò a cancellare ogni eventuale ombra per le "modestissime cariche nella pubblica amministrazione" (come ebbe a dire) ricoperte nel periodo francese.
Il 31 marzo 1816 fu eletto socio ordinario residente dell'Accademia delle scienze di Torino, nella classe di scienze morali, storiche e filologiche (tra gli accademici c'erano P. Balbo, G.F. Galeani Napione, G. Vernazza, G. Carena). Il 20 giugno 1822 fu nominato segretario pro tempore per la stessa classe, carica confermatagli il 16 giugno 1823, quando fu eletto con 10 voti su 11 (uno andò ad A. Peyron).
Risale a questi anni il lavoro più notevole del G., il Dizionario militare italiano (I-II, ibid. 1817: ma l'autore dichiarò più volte di averlo dato alla luce "sul finire del 1816"). Quest'opera filologica, nuova e originale, colmava una lacuna nella lessicografia italiana.
La prefazione (Ragione dell'opera) contiene elementi interessanti di attualità politica, perché loda la scelta di Vittorio Emanuele I che, tornato nei suoi Stati con la Restaurazione, aveva stabilito che gli ordini ai soldati fossero impartiti in italiano e non più in francese: il re aveva voluto "con saggio consiglio che l'armi sue, armi d'Italia, venissero da voci nazionali comandate" (p. VIII). A questo proposito si pensi all'influenza esercitata in Piemonte dal trattato Dell'uso e dei pregi della lingua italiana (1791) di G.F. Galeani Napione, che aveva visto nell'italiano una difesa contro la Francia e aveva invitato la monarchia sabauda a utilizzare la lingua per restituire al Piemonte la sua identità italiana. Il dizionario del G. è influenzato da queste idee, oltre che da sentimenti misogallici alfieriani di cui parla V. Cian (nel 1814 il G. aveva anche pubblicato una recensione elogiativa del trattato di Galeani Napione). Nella citata Ragione dell'opera il G. afferma che "le armi, e le istituzioni militari debbono essere agli usi, ai costumi, alle passioni d'ogni nazione appropriate" (p. VII). Il Dizionario trae il lessico da voci di Crusca e dagli autori canonici, ma anche da uno spoglio ampio degli scrittori italiani di cose militari, elencati in una tavola alfabetica (p. XXIV). I termini raccolti riguardano l'armamento, le macchine, l'artiglieria, le truppe antiche e moderne, le divise, i cavalli, gli attrezzi da campo e pure usi, norme e abitudini (così le voci baffi, basetta, amnistia, anzianità di servizio). Entrano, accanto alle voci moderne "dell'uso" (a volte recenti, come i francesismi ambulanza per "ospedale da campo", avantreno, fucilare), voci obsolete e letterarie. Ogni lemma è affiancato dal corrispondente francese. Alla fine è posto un elenco alfabetico delle parole francesi, con il rinvio al lemma italiano. In una Lettera al direttore dell'"Antologia" (1828, vol. 31, f. 91, pp. 88-104), il G. rispose a vivaci critiche ricevute da ufficiali dell'esercito del Ducato di Parma e del Regno delle Due Sicilie. Il Dizionario, sul quale aveva continuato a lavorare (dando un saggio di revisione in Antologia, 1828, vol. 31, f. 93, pp. 1-30), ebbe una riedizione postuma con aggiunte nel 1833, a Torino, in 4 volumi, curata dagli amici F. Omodei, C. Saluzzo, C. Gazzera e G. Carena. Gli studi del G. sulla lingua militare ebbero come frutto anche la pubblicazione delle Opere di R. Montecuccoli (Torino 1821) e una dissertazione presentata all'Accademia delle scienze nel dicembre 1819 su di una sua opera inedita rintracciata in un manoscritto milanese (Notizia intorno ad un'operetta inedita del principe Raimondo Montecuccoli, in Memorie della Accademia delle scienze di Torino, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, XXIV [1820], pp. 103-122).
Dopo il Dizionario militare la specializzazione lessicografica del G. era ormai riconosciuta; il Monti lo fece partecipare alla stesura della sua Proposta diretta contro la Crusca e il purismo, nella quale fu pubblicato (siglato G.G.) un suo Parallelo dei tre vocabolari italiano, inglese e spagnolo. Questo saggio segna la maggiore presa di distanza del G. dal purismo. Confrontando le voci dei tre dizionari "nazionali", rivelava una buona conoscenza della lessicografia europea e su questa base criticava la tradizione cruscante, invocando "una riforma del nostro vocabolario". Successivamente il Parallelo fu rimaneggiato e unito all'edizione 1827 del Saggio intorno ai sinonimi (scrivendo nel 1829 al tipografo Fontana, che preparava una ristampa della Proposta del Monti, il G. indicava questa riedizione come definitiva e da preferire alla precedente).
Pur specializzandosi nel campo lessicografico egli non aveva abbandonato gli studi eruditi e di varia cultura, come dimostrano memorie presentate all'Accademia delle scienze (Ricerche storiche intorno alle armature scoperte nell'isola di Sardegna, lette nell'adunanza del 3 genn. 1822 e pubblicate nelle Memorie, cl. di scienze morali, storiche e fil0logiche, XXV [1820; ma 1822], pp. 119-156; un Elogio dell'accademico G.B. Piacenza, primo architetto civile di s. m., letto il 27 nov. 1823, fu pubblicato nelle Memorie della stessa classe, XXVIII [1824], pp. III-XIV). Ma, ancora una volta, il risultato migliore venne negli studi linguistici, con il Saggio intorno ai sinonimi della lingua italiana (Torino 1821), la sua opera più celebre, benché comprenda un numero molto limitato di parole e spesso dipenda da fonti francesi, riprendendo ampiamente voci dei Synonymes de la langue française di G. Girard, N. Beauzée e P.-J. Roubaud.
Il Saggio ebbe un notevole successo anche perché, pur essendo un'opera filologica, risultava adatto alla lettura continuata. Fu ristampato molte volte, nell'Ottocento e ancora nel Novecento. Importante è l'edizione milanese del 1827 ("Decima edizione riveduta dall'autore ed accresciuta di nuovi articoli", dichiara il frontespizio), nella quale si trova una Lettera dell'autore ad un accademico della Crusca (il Niccolini) che riassume il pensiero del G. in merito alla "questione della lingua". Il Saggio ottenne una menzione cautamente positiva da un giudice non indulgente come N. Tommaseo, nella prefazione al suo ben più ampio Dizionario dei sinonimi, nello stesso capitolo X in cui stroncava senza pietà la Teorica dei sinonimi italiani del sacerdote G. Romani. L'interesse del G. per la sinonimia non andava disgiunto dalla curiosità per l'etimologia e la storia della parola, assunte come guida alla comprensione del significato. Su questo rapporto tra il significato nell'uso e la storia dei termini erano nate divergenze con l'amico L.P. Arborio Gattinara di Breme. Proprio il Breme aveva esortato più volte il G. allo studio dei sinonimi, come in una lettera del gennaio 1819 (L. di Breme, Lettere, n. 225), nella quale però consigliava di dare più spazio alle sinonimia piuttosto che alle etimologie, perché solo le sinonimie permettono di comprendere "ciò che manchi o ridondi nell'uso". L'osservazione, di marca tipicamente razionalista, mirava a mettere in sottordine le etimologie care al G., giudicate da Breme come generalmente inutili, perché "non da ciò che fu in alcun tempo, alcuna voce, s'ha da ricevere oggidì norma e direzione". Il G., per contro, nella prefazione al Saggio dichiarava di aver fatto appello a "più alta ragione […] che quella dell'uso non è": tale "ragione" era l'origine e la storia dei termini, perché "la storia delle parole è pur quella de' fatti de' costumi e della civiltà d'una nazione". Storicismo romantico e razionalismo di taglio sincronico, dunque, sembrano qui contrapporsi in un'opposta visione dello studio dei sinonimi. Per lo studio etimologico, il G. citò fra l'altro come modello J.Ch. Adelung e S. Johnson, ma non si riferì alla nuova linguistica comparativa degli Schlegel. Prese anche posizione a favore della lingua del Trecento, secolo di perfezione dell'"edifizio grammaticale della lingua". Posizione non assimilabile ai principî del purismo, ma non estranea a un certo conservatorismo. La distanza rispetto al purismo, tuttavia, sta nel riferimento agli autori maggiori, nel disprezzo per i minori, nel rifiuto di accostarsi al Trecento allo scopo di "disseppellire le voci che vi giacciono incadaverite" (mentre il suo intento è ritrovare nel Trecento "l'indole e la struttura della lingua"). La posizione era insomma di tipo classicistico, non angustamente puristico. L'epistolario del Breme (che, viceversa, coltivò forti simpatie per il razionalismo linguistico degli idéologues) dimostra come questi rimproverasse al G. una posizione troppo accademica.
La prefazione al Saggio intorno ai sinonimi dava notizia che il G. stava lavorando a una Storia della lingua italiana "che ancor manca all'Italia, e che non dispero di condurre quando che sia a buon termine". La Storia sembra lo sbocco naturale della concezione sviluppata dal G. nello studio del lessico, interpretato come testimonianza della storia della nazione. Accennarono all'opera anche C. Balbo (nella nota 33 al discorso di C. Vidua, Dello stato delle cognizioni in Italia, Torino 1834) e G.B. Zannoni. Tuttavia non fu mai terminata, anche per le cattive condizioni di salute dell'autore. Non resta che rammaricarsene, perché sarebbe stato il primo libro esplicitamente e autonomamente dedicato a tale materia.
Il manoscritto, o meglio l'abbozzo (che passò per le mani di Balbo), è conservato nella Biblioteca nazionale universitaria di Torino. Il testo mostra una speciale attenzione alle invasioni dei popoli "settentrionali", di cui parla con toni spesso accesi ("l'orrido governo degli stranieri") e che descrive con forte risentimento patriottico, proiettando su di esse un antigermanesimo in cui sembra vibrare la passione risorgimentale ("il sacrificio della propria favella è gran segno di miseria e di schiavitù"). La conoscenza della linguistica coeva è dimostrata dal riferimento a F. Raynouard e alle Observations sur la littérature provençale di A.W. Schlegel. Da queste fonti trae la convinzione che le lingue germaniche hanno mutato la struttura grammaticale del latino, ancor più del lessico. È dedicata anche una certa attenzione ai dialetti italiani e alla loro classificazione, cosa interessante e precoce, considerata l'epoca di queste ricerche.
La passione patriottica espressa nelle opere linguistiche, però, non si tradusse in coinvolgimento nelle trame cospirative in cui si avventurarono i suoi amici. È noto anzi il lapidario giudizio del Breme in una lettera al Pellico del 16 apr. 1820 ("Grassi è un vile!"), che verosimilmente discendeva da una presa di distanza politica e chiuse un'amicizia stretta da un decennio. Le posizioni moderate avvicinarono il G. all'Antologia, per la quale nel 1828 ricorse alle sue conoscenze nel ministero degli Affari esteri onde liberarla dagli impacci della censura che ne impediva la circolazione in Piemonte.
Il G. rimase segretario della classe di scienze morali dell'Accademia torinese anche quando, nel 1823, fu colpito da malattia e cecità (i verbali dell'Accademia registrano la sua assenza alle riunioni dal novembre 1823 alla morte). Nel 1828 divenne socio corrispondente dell'Accademia della Crusca.
Il G. morì a Torino il 19 genn. 1831, come si legge nei verbali dell'Accademia delle scienze; è dunque errata la data del 22 gennaio, a volte indicata.
Fonti e Bibl.: Torino, Arch. dell'Accademia delle scienze, Verbali originali della classe di scienze morali, storiche e filologiche, 3, 1816-35; K.X.Y., G. G.: cenni biografici, in Antologia, 1831, vol. 41, f. 123, pp. 1-13; G. Manno, Vita di G. G., in E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, II, Venezia 1835, pp. 402-412 (poi premessa a varie edizioni dei Sinonimi); P.A. Paravia, Lettere di U. Foscolo a G. G. pubblicate per la prima volta, Torino 1836 (rec. in Il Subalpino, I [1836], pp. 271-276, ove si possono leggere, inoltre: Tre lettere inedite di M. Cesarotti e una del Federici a G. G., pp. 449-453, e Lettere inedite di chiari personaggi ricavate dalla corrispondenza di G. G., pp. 473-485); L. di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1966, passim; G.B. Zannoni, Storia dell'Accademia della Crusca, Firenze 1848, pp. 386-391; A. Vannucci, Ricordi della vita e delle opere di G.B. Niccolini, I, Firenze 1866, p. 140; V. Cian, G. G. e Giampietro Vieusseux, in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, LXXX (1944-45), II, pp. 53-81; Id., Gli alfieriani-foscoliani piemontesi ed il romanticismo lombardo-piemontese del primo Risorgimento, Roma 1934, pp. 5-49; F. Cognasso, Vita e cultura in Piemonte, Torino 1969, pp. 301 s.; C. Marazzini, Piemonte e Italia. Storia di un confronto linguistico, Torino 1984, p. 205; M.C. Quartarella, Gli appunti di G. G. per una storia della lingua, tesi di laurea, Università di Torino, Facoltà di lettere, a.a. 1984-85; E. Soletti, L'"animo simmetrico" di un lessicografo piemontese, G. G., in Atti del Convegno Piemonte e letteratura, 1789-1870, San Salvatore Monferrato… 1981, a cura di G. Ioli, I, Torino [1987], pp. 78-90; C. Giovanardi, Linguaggi scientifici e lingua comune nel Settecento, Roma 1987, pp. 477-488.