GRAZIOSI, Giuseppe
Figlio di Pietro e Angelica Marchi, modesti contadini, nacque a Savignano sul Panaro (Modena) il 25 genn. 1879. Frequentò il regio istituto di belle arti di Modena, dove seguì i corsi di scultura di G. Gibellini e si diplomò nel 1898. Nello stesso anno partecipò all'Esposizione nazionale di Torino con il Figlio della gleba (gesso color terracotta: Modena, Museo civico di storia e arte medievale e moderna, Gipsoteca G. Graziosi [d'ora in poi: Gipsoteca]; altro esemplare in gesso, sempre a Modena, Museo civico, depositi) opera che, seppure ancora legata a moduli tradizionali, è impregnata di tematiche sociali e ideologie umanitarie che caratterizzeranno l'intera produzione del Graziosi. Iscrittosi all'Accademia di belle arti di Firenze nel 1898 fu allievo dello scultore A. Rivalta; sotto la guida di G. Fattori, invece, apprese la tecnica dell'incisione e la pittura di paesaggio. A Firenze conobbe A. Spadini, O. Ghiglia, G. Papini, G. Prezzolini e A. Soffici con il quale divideva lo studio in via degli Oricellari. Il primo grande successo artistico arrivò a Parigi con la partecipazione all'Esposizione universale del 1900, in cui risultò vincitore della medaglia di bronzo per la scultura Ilfonditore (gesso color terracotta: Gipsoteca), sebbene quest'opera fosse stata giudicata molto simile al Figlio della gleba presentata a Torino.
Nel 1903 fu invitato alla V Esposizione internazionale di Venezia, appuntamento al quale sarà presente costantemente sino all'anno della sua morte; qui espose L'automa, intitolato originariamente Il vecchietto che batte la falce (gesso: Gipsoteca). Nel 1904, alla Promotrice di Firenze ottenne il primo premio per la scultura e vinse il concorso Baruzzi con All'opera (gesso color bronzo: Gipsoteca; altro esemplare in marmo, a Bologna, Galleria d'arte moderna). Opere coeve, o poco più tarde, quali Maldicenza (ante 1905, terracotta: Gipsoteca), e le tre conservate nella stessa Gipsoteca, databili al primo decennio del Novecento, Suonatrice ambulante (gesso originale patinato color bronzo), La madre (gesso) e Nei campi (gesso originale patinato color terracotta), sono tra le più alte interpretazioni che il G. dà della naturale condizione umana nella vita rustica.
Parallelamente all'attività di scultore il G. si dedicò sempre con impegno anche alla pittura per la quale predilesse le stesse tematiche agresti; alla XIV Triennale di Milano (1903-05) partecipò con il dipinto Estate (Modena, palazzo della Provincia). A Firenze prese parte a tutte le manifestazioni d'avanguardia dei primi del Novecento; appartenne al gruppo della Giovane Etruria, fondato da P. Nomellini, con il quale partecipò alla Mostra nazionale di Milano del 1906, dove espose un interno di stalla al lume della lucerna, Vita semplice, opera oggi dispersa.
In Ballo paesano (Piacenza, Galleria Ricci-Oddi) le figure si animano attraverso le linee di contorno, in un movimento dinamico che coinvolge ritmo, azione, spazio e tempo. Il G. utilizza la pittura come mezzo per fermare le impressioni in maniera quasi istintiva, secondo la lezione di J.-F. Millet, descrivendo la realtà della vita nei campi senza mai inserirvi elementi simbolici e senza lasciare spazio a elaborazioni fantastiche. In Alberi al vento a Savignano e Raccolta delle mele a Savignano, entrambe del primo decennio del Novecento (olio su tela: Modena, Museo civico) il tocco vibrante del pennello e lo sfaldamento dei contorni suggeriscono un confronto con l'opera di E. Bazzano.
Nel 1906 sposò Bianca Coduri, anche lei allieva di Fattori, dalla quale ebbe due figli, Paolo e Rosetta.
La scultura con la quale il G. si presentò alla Biennale di Venezia del 1907, La moglie di Putifarre (andata perduta) apre al tema del nudo femminile sul quale l'artista tornò spesso. Nel 1908 vinse un altro premio al concorso Baruzzi, questa volta per la pittura, con Malocchio (1908: Bologna, Galleria d'arte moderna), dipinto che - come Estate - racconta della vita all'aria aperta e del mondo rustico, uscendo da quella intimità familiare che il G. rese protagonista di opere coeve quali Mio figlio (1909 circa: Firenze, collezione privata) e La madre (1908: Modena, Museo civico) esposta a Venezia nel 1912.
Nel 1911 fu presente all'Esposizione internazionale di Roma con Il profeta Ezechiele (gesso: Gipsoteca; altro esemplare in bronzo: Modena, cimitero di S. Cataldo, tomba Giovanardi) che per il sommosso plasticismo e la concitata gestualità ricalca prototipi rodiniani. Tra le opere esposte alla Biennale di Venezia del 1912 si ricordano la Lupa (gesso: Gipsoteca; altro esemplare in marmo: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e un nudo femminile reso vivo dalla plasticità del modellato e dall'atteggiamento felino.
Nel 1913 partecipò, ancora con il gruppo della Giovane Etruria alla Secessione romana; nello stesso anno fu presente all'Esposizione internazionale di pittura, scultura, architettura "Bianco e Nero" di Firenze. L'anno successivo venne nominato professore di plastica della figura, aggiunto al titolare D. Trentacoste, succeduto quello stesso anno ad A. Rivalta, presso l'Accademia di belle arti di Firenze. La Susanna (gesso: Gipsoteca; altro esemplare in marmo: Venezia, Museo d'arte moderna; bronzo: Piacenza, Galleria Ricci-Oddi), già presentata alla Biennale nel 1914, venne premiata a San Francisco l'anno seguente.
Nel febbraio del 1915 divenne professore titolare della cattedra di plastica della figura presso la Reale Accademia di belle arti di Milano. Nel 1916 vinse il premio Principe Umberto all'Esposizione nazionale di Brera con la Bagnante (gesso originale: Gipsoteca; altri esemplari in marmo: Lima, Galleria d'arte italiana, e in bronzo: Bazzano, palazzo comunale), nudo femminile nel quale prevale un forzato verismo rispetto al sentimento e alla vitalità che avevano caratterizzato le precedenti Lupa e Susanna.
Nel 1919 si svolse la sua prima mostra personale alla galleria Pesaro di Milano, dove espose, tra le già note sculture, Bagnante, Maldicenza, Susanna, Suonatrice ambulante e, tra le pitture, La raccolta delle mele a Savignano.
Nel 1920 ricevette l'onorificenza di commendatore della Corona d'Italia; in questo stesso anno espose La piazza Grande a Modena (andata perduta) nella sezione pittura della Biennale veneziana. Nel 1921 fece parte della giuria d'accettazione alla Primaverile di Firenze, esposizione cui partecipò con otto dipinti a olio, tra i quali La zia Luigia, Mercato, La chiesa della Salute.
Nel gennaio del 1924 si trasferì a Napoli come titolare della cattedra di plastica della figura all'Accademia di belle arti, dove rimase per due anni. Non interruppe i contatti con la sua Modena, tanto che in quello stesso anno fece parte della commissione per la sistemazione della facciata del duomo. Sempre nel 1924 fu invitato alla Biennale di Venezia con una mostra personale, dove espose sculture tra le quali una Diana (opera in gesso, oggi dispersa); All'opera (del concorso Baruzzi, 1904); le già citate Suonatrice ambulante e Nei campi; Massaia, già esposta a Milano nel 1919 (gesso color bronzo: Modena, Museo civico di storia e arte medievale e moderna) una Bagnante e un S. Francesco; il ritratto in bronzo del Pittore Giacomo Lolli (gesso: Modena, Museo civico di storia e arte medievale e moderna; altro esemplare in bronzo: Milano, Galleria d'arte moderna), che rientra nella serie dei ritratti familiari degli amici pittori.
In pittura dopo il 1920 il G. scelse larghi paesaggi, marine, scorci di città che divennero negli anni un'evocazione più che una descrizione, come per esempio Rialto (olio su compensato, 1935 circa: Modena, Museo civico di storia e arte medievale e moderna).
Nel 1926 venne trasferito da Napoli all'Accademia di belle arti di Firenze come titolare della cattedra di plastica della figura. L'anno seguente realizzò tre dipinti decorativi per la filiale di Piacenza del Banco di Roma (Piacenza romana, Piacenza medievale, Piacenza moderna).
Nel decennio tra il 1920 e il 1930 realizzò opere quali Ninfa o Sorgente, un bozzetto in creta per una fontana mai compiuta (la versione in bronzo, oggi dispersa, fu esposta alla Biennale di Venezia nel 1926), La fanciulla con cesto e spighe in bronzo per il mercato coperto di Modena, il Putto e l'oca in bronzo per la piazza del Mercato (1931: altro esemplare, Modena, Museo civico). In numerosi altri nudi femminili, realizzati in gran quantità durante questo decennio e per lo più destinati a fontane, il G. dimostra costante e stretta aderenza alla tradizione classica.
Parallelamente a questi soggetti il G. si avvicinò a temi sacri passando dalle molteplici varianti per il Compianto sul Cristo morto (tutte ante 1924: Milano, cimitero Monumentale; Modena, cappella del cimitero di S. Cataldo; Savignano sul Panaro, parrocchiale), ove il pathos trova ragione in superfici levigate e in cadenze classiche che si richiamavano alla lezione del modenese Antonio Begarelli piuttosto che al violento realismo di sapore nordico di Guido Mazzoni, alla carica espressiva, seppure vagamente pietistica, del S. Francesco (1938: bronzo) per la fontana in piazza S. Francesco a Modena (gesso originale patinato color terracotta: Gipsoteca)
Intorno al 1929 arrivò il grande impegno per il Monumento equestre al duce, collocato presso il littoriale di Bologna (bronzo, oggi distrutto), per il quale il G. scelse un linguaggio neorinascimentale.
Negli anni Trenta il G. tornò sul tema del nudo femminile realizzando sculture quali Eva (1931: gesso; altro esemplare in bronzo a Milano, Galleria d'arte moderna), La Purezza, in bronzo, esposta a Venezia nel 1934 (gesso) e Adolescente (1930-36: entrambe Gipsoteca), ove le figure appaiono chiuse in linee morbide e pulite.
Gli stessi soggetti realizzati in pittura si risolvono in maniera differente; le figure dipinte, infatti, appaiono stemperate nei contorni tracciati da un pennello nervoso e vibrante. Se da un lato il G. guarda a Millet per la scelta dei temi, dall'altro studia P. Cézanne per l'impostazione spaziale delle sue composizioni; questa attenzione alla sintesi delle molteplici ottiche spaziali si intravede in Toletta del 1940 (Milano, Galleria d'arte moderna), esposta alla galleria Duomo nel 1940.
Nell'ambito della ritrattistica ufficiale il G. realizzò prima del 1933 una Testa di Benito Mussolini (bronzo: proprietà del Comune di Modena) e in quell'anno una Testa di Vittorio Emanuele III (bronzo: proprietà della Camera di commercio, in deposito presso l'Archivio storico comunale). Nel 1936 fu nominato cavaliere della Corona d'Italia e acquistò il castello di Maranello che divenne sua dimora estiva, studio e gipsoteca.
Il S. Giovanni, opera fortemente spirituale, fu realizzata nel 1936 (gesso originale: Gipsoteca). Nel 1940 partecipò con una grande tela Aratore con la sua famiglia al concorso di Cremona per la "battaglia del grano".
Nel 1938 il G. realizzò per la fontana in piazza Garibaldi a Modena le figure del Secchia e del Panaro (gessi originali: Gipsoteca; bronzo: Modena, fontana in piazza Garibaldi). Una delle ultimissime opere del G. è il Gesù Crocifisso, opera anch'essa fortemente spirituale, fatta fondere in bronzo dalla moglie del G. dopo la morte e oggi collocata nel catino absidale della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Roma (gesso originale e croce lignea: Gipsoteca). Fu presente alla III Quadriennale romana del 1942.
Il G. morì a Firenze il 2 luglio 1942.
Nel 1975 i figli del G. donarono al Museo civico di Modena un importante nucleo di 216 opere grafiche. Nel 1984 ampliarono la raccolta con 60 opere plastiche in gesso, 13 dipinti e altre 20 opere grafiche, tutte conservate nella Gipsoteca annessa al Museo, a lui intitolata.
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