GREPPI, Giuseppe
Nacque a Milano il 25 marzo 1819, terzogenito di 16 figli, dal conte Antonio e da Teresa dei marchesi Trotti Bentivoglio. Diversamente dall'avo Antonio Greppi (1722-99), artefice in età teresiana e giuseppina delle fortune economiche della famiglia, oltre che della sua influenza politica a corte, conobbe nella propria adolescenza la fase aspramente conflittuale aperta tra l'amministrazione austriaca e la nobiltà illuminata milanese prima dai processi Pellico-Maroncelli e Confalonieri, poi da quello contro i milanesi affiliati alla Giovine Italia. Alla fine degli anni Trenta, tuttavia, dovette condividere, insieme con non pochi lombardi della sua generazione, un atteggiamento di attesa e, forse, di speranza in una distensione, di cui l'amnistia del 1838 poté sembrare il primo sintomo: prese corpo, allora, l'ipotesi di una collaborazione tecnica con l'Austria, al cui interno si collocò la decisione - che fu del G. e di altri nobili della sua cerchia, come L. Litta Modignani - di far domanda per essere accolto nel corpo diplomatico austriaco: l'istanza ebbe esito favorevole ed egli fu nominato nel marzo 1842, insieme con l'amico Litta Modignani, addetto all'ambasciata d'Austria a Roma, alle dipendenze del titolare, conte H. von Lützow.
Formatosi nelle discipline giuridiche - il 16 dic. 1841 si era laureato in utroque iure presso l'Università di Pavia - e storiche, di cui fu poi cultore assiduo, il G. sviluppò nell'attività diplomatica una propensione personale e insieme una tradizione familiare, la stessa rappresentata dallo zio Paolo Greppi.
Di questo attento "osservatore italiano" della Rivoluzione francese il G. curò poi i carteggi personali, pubblicandone la corrispondenza con il padre conte Antonio tra il 1791 e il 1799, con il marchese F. Manfredini, primo maggiordomo di Ferdinando III, granduca di Toscana, e con l'abate G. Casti (La Rivoluzione francese nel carteggio di un osservatore italiano [Paolo Greppi], I-III, Milano 1900-04).
Ascritto all'Ordine di Malta, di cui divenne più tardi balì, frequentò i salotti dell'aristocrazia romana e cosmopolita, visitò il Ducato di Parma, ove la sorella Antonia, sposa al marchese Meli Lupi, era dama di corte "per benignità" della duchessa Maria Luisa, ne apprezzò il buongoverno come apprezzò quello della Toscana leopoldina. Chiamato nel dicembre 1842 a prestare servizio presso la Cancelleria di Stato a Vienna, fu addetto al dipartimento degli affari correnti e venne presentato all'imperatore Ferdinando, all'arciduca Carlo e al principe C.W.L. von Metternich, del quale avrebbe poi ricordato lo "sguardo inquisitore" e l'aspetto imponente mitigato da una certa benevolenza. Dal giugno 1843 all'aprile 1846 fu trasferito alla legazione austriaca di Monaco di Baviera alle dipendenze del conte L. Senfft von Pilsach, e poi, per pochi mesi, a Stoccarda; promosso quindi segretario di legazione, ebbe la sede a Stoccolma, ove rimase fino all'aprile 1848. Un mese prima aveva presentato le proprie dimissioni dal corpo diplomatico, segno inequivoco del proprio dissenso nei confronti della politica austriaca nel Lombardo-Veneto e della solidarietà con i protagonisti delle Cinque giornate.
Tra questi c'era anche il fratello primogenito del G., conte Marco (Milano, 3 dic. 1814 - 17 maggio 1868), assessore municipale a Milano dal 1842, collaboratore e amico del podestà G. Casati, nonché protagonista della fase iniziale dell'insurrezione come membro della delegazione municipale che il 18 marzo, a colloquio con M. O'Donnell, vicepresidente del governo, chiese e ottenne l'istituzione della guardia civica armata. Poi, di fronte all'ultimatum inviato dal generale J. Radetzky con la minaccia di usare i 100.000 uomini e i 200 cannoni a sua disposizione "per ricondurre all'ubbidienza una città ribelle", Marco Greppi replicò a nome della Congregazione cittadina con un invito alla "sospensione di ogni misura di difesa". Catturato con quattro assessori comunali e circa 200 altre persone, quando, alle 7 di sera, le armi austriache espugnarono il Broletto, Marco fu, insieme con il conte A. Litta Modignani, scelto da Radetzky per trattare una tregua d'armi, con l'impegno di riconsegnarsi dopo aver espletato l'incarico. Il che avvenne l'indomani, dopo il rifiuto da parte del governo provvisorio di ogni negoziato: il contegno leale e dignitoso dei due nobili milanesi persuase tuttavia Radetzky a liberarli definitivamente. Marco Greppi fece poi parte del governo provvisorio firmandone atti e documenti fino all'aprile 1848, quando si costituì il governo provvisorio della Lombardia. Sostenitore della linea della "fusione" con il Piemonte, dopo la capitolazione di Milano e la restaurazione austriaca Marco Greppi abbandonò la città per l'esilio ritornandovi solo un decennio più tardi. Il 12 marzo 1868 fu fatto senatore per la ventunesima categoria, ma morì prima ancora di aver potuto prestare giuramento.
L'insurrezione milanese segnò, pertanto, un vero spartiacque nella vita del G., divenuto, da suddito austriaco e diplomatico in ascesa, esule a Torino e, con la naturalizzazione, cittadino sardo. Per un decennio, dal dicembre 1848 all'ottobre 1859, attese di poter riprendere il servizio diplomatico, dedicandosi ai prediletti studi storici e frequentando le case e i ritrovi delle famiglie nobili lombarde esuli in Piemonte, dai marchesi Arconati, suoi parenti, ai conti Arese, dai conti Casati ai Borromeo, in una Torino divenuta, per effetto dell'afflusso dei proscritti dei vari Stati italiani, un osservatorio di largo respiro internazionale e un centro di stimolante dibattito politico e culturale.
Nel febbraio 1849 il G. fu incaricato da V. Gioberti, capo del governo, di una missione di carattere ufficioso in Sicilia, poi sospesa per la dichiarata opposizione del ministro britannico.
Lo stesso G. ne riferì i particolari (Una missione in Sicilia, in Boll. ufficiale del primo Congresso storico del Risorgimento italiano, n. 1, marzo 1906, pp. 41-45), spiegando come Gioberti, posto da Carlo Alberto a capo di un gabinetto gradito ai liberali moderati, intendesse avviare un processo di riavvicinamento alla corte di Napoli, per incoraggiarne i timidi sentimenti di italianità in vista del vagheggiato progetto di lega italiana presieduta dal papa. Recandosi in Sicilia il G. avrebbe dovuto persuadere quel governo provvisorio a non inviare deputati alla Costituente romana e, anzi, a rappacificarsi col governo costituzionale di Napoli, evitando ogni conato separatista, che avrebbe esposto l'isola "all'avidità dello straniero" (ibid., p. 44).
Eccettuata questa iniziativa, troncata sul nascere anche per la brusca fine del ministero Gioberti, la sua aspirazione a riprendere il servizio attivo nella diplomazia, malgrado la stima dimostratagli dallo stesso Cavour, fu a lungo frenata da ragioni di opportunità politica connesse con il suo passato alle dipendenze dell'Impero asburgico, e appagata solo dopo Villafranca. Fu appunto nell'ottobre 1859, con la nomina a segretario di legazione a Londra, che il G. riprese l'attività diplomatica, dapprima, nuovamente, come rappresentante del Regno di Sardegna (a Londra fino al marzo 1860 e poi a Berlino), quindi come membro del corpo diplomatico del neocostituito Regno d'Italia. Ad Atene dal giugno al novembre 1861, a Costantinopoli fino al 1865 e poi ancora a Stoccarda dal marzo 1867, a Monaco di Baviera tra il giugno 1871 e il maggio 1875, a Madrid fino al 1881 e, infine, a San Pietroburgo dal luglio 1881 al dicembre 1887, il G. percorse la sua brillante carriera, a riprova della stima goduta presso i governi sia della Destra, sia della Sinistra: addetto d'affari a Costantinopoli, nel marzo 1867 fu promosso ministro plenipotenziario di prima classe e, infine, nel 1883 elevato al rango di ambasciatore.
A testimoniare l'apprezzamento dell'opera sua da parte di E. Visconti Venosta, di P.S. Mancini, di C.F. di Robilant, responsabili in tempi diversi del dicastero degli Esteri e a lui legati, restano i rispettivi carteggi, dai quali emergono rapporti anche personali di fiducia e amicizia.
Tale intesa si interruppe bruscamente con l'avvento di F. Crispi alla presidenza del Consiglio e al ministero degli Esteri (luglio 1887): nel contesto di una decisa sterzata verso la politica di potenza, espansionista e di prestigio, e di un orientamento esplicitamente filotedesco, Crispi provvide a un ricambio dei quadri diplomatici, dapprima trattenendo il G. a disposizione del ministero e poi, senza dargliene comunicazione ufficiale, dispensandolo a fine anno dal servizio.
Dal suo "giornale", iniziato all'epoca delle prime esperienze al servizio degli Asburgo, interrotto nel 1846 e ripreso a Londra nel 1859, nonché da lettere e documenti affidati dallo stesso G. a R. De Cesare per la stesura del volume Il conte G. G. e i suoi ricordi diplomatici (1842-1888) si ricava un ricco panorama di particolari, giudizi e notazioni d'ambiente relativi a quasi un trentennio di attività diplomatica all'estero: ossia di un periodo difficile caratterizzato dalla necessità di costruire una rete di relazioni atte a garantirne la sopravvivenza e il consolidamento entro il sistema europeo. Nella fase delicata dell'esordio del Regno d'Italia sulla scena internazionale quale nuovo soggetto politico, il G. si trovò a giocare un ruolo di un certo rilievo in occasione della conferenza internazionale convocata nel giugno 1862 a Costantinopoli per discutere della situazione balcanica e, in particolare, dell'eventualità di un'occupazione austriaca di Belgrado, a seguito dei disordini avvenutivi e del bombardamento turco. In assenza del neonominato ministro d'Italia presso la Sublime Porta, C. Caracciolo, toccò al G., reggente della legazione, rappresentare la nuova Italia nella prima assise internazionale riunita dopo l'unificazione e rintuzzare le obiezioni del rappresentante austriaco, deciso a non riconoscergli altro titolo a presenziare alla conferenza se non quello di ministro del Regno di Sardegna. La protesta del G. ebbe come effetto quello di costringere i rappresentanti degli altri Stati a rendere esplicito il loro appoggio e riconoscimento dell'Italia e, per contro, di far risaltare in tale ambito l'isolamento austriaco. Osservatore acuto della debolezza del sultanato e della strisciante crisi dell'Impero ottomano, ne descrisse, alcuni decenni più tardi - nei Souvenirs d'un diplomate italien à Constantinople (in Revue d'histoire diplomatique, 1910, pp. 372-387, e Paris 1910) - l'atmosfera avvelenata dagli intrighi dinastici e la politica estera di corto respiro, influenzata dall'antagonismo anglo-francese e dal gioco delle pressioni incrociate delle potenze occidentali.
Sempre nel quadro di questa ricerca di relazioni amichevoli, in consonanza con la direttiva enunciata dal Visconti Venosta con la formula "indipendenti sempre, isolati mai", va intesa l'attenzione riservata dal G., ministro plenipotenziario a Stoccarda, agli orientamenti della reale corte del Württemberg. Al bivio tra fedeltà alla propria storia di orgogliosa autonomia e attrazione verso l'emergente potenza prussiana, il piccolo Stato costituì in quegli anni per il G. un osservatorio interessante per seguire il progressivo concretizzarsi del disegno bismarckiano culminato, dopo la vittoria prussiana sulla Francia, nel riassorbimento entro il nuovo assetto statuale germanico degli Stati tedeschi del Sud, come la Baviera e, appunto, il Württemberg. Seguendo le istruzioni del Visconti Venosta, il G. ne studiò e riferì i singoli passaggi sino alla conclusione, più subita che voluta tanto a Stoccarda quanto a Monaco, ove fu inviato nel 1871.
La residenza più lunga per il diplomatico fu a Madrid: qui trovò diffidenze e pregiudizi in parte connessi al precedente sfortunato della breve esperienza di Amedeo di Savoia duca d'Aosta sul trono spagnolo, ma, alla lunga, conseguì l'obiettivo affidatogli di un riavvicinamento tra Italia e Spagna. A Madrid il G. rappresentò l'Italia nella conferenza convocata nell'estate del 1880 per la protezione dei sudditi europei nel Marocco.
L'ultima destinazione, quella preferita, fu San Pietroburgo, ove il G. fu inviato nel 1883 succedendo a Costantino Nigra. Di qui egli seguì le ripercussioni del graduale riorientamento della politica estera italiana, da una visione essenzialmente difensiva e di raccoglimento alla ricerca di nuove intese - dopo la stipula della Triplice Alleanza - e ai primi passi dell'iniziativa imperialista in Africa, potenziata poi da Crispi. Da San Pietroburgo infatti il G. riferì sugli echi della spedizione italiana a Massaua e informò il ministero sulle tendenze del governo russo, sospettato di osteggiare, per il tramite di suoi veri o presunti agenti in Africa, l'iniziativa italiana. Risale al biennio 1884-85 un interessante carteggio con il ministro Robilant che illumina diversi aspetti della fine del "trasformismo" e dell'inizio delle fortune di Crispi.
Socio corrispondente dal 1854 dell'Istituto di scienze e arti di Ginevra, membro dal 1858 della Società di storia patria di Torino, socio fondatore della Società storica lombarda, dopo la conclusione del suo servizio attivo il G. si dedicò ai coltivati studi di storia politico-diplomatica pubblicando articoli nella Revue d'histoire diplomatique, nella Revue d'Italie, nella Nuova Antologia. Il 20 nov. 1891 fu nominato da A. Starabba di Rudinì membro del Senato in qualità di ambasciatore (la VI categoria prevista dall'art. 33 dello Statuto) e in ragione del censo.
Ultracentenario il G. morì a Milano l'8 maggio 1921 e fu ricordato dal prefetto di Milano come un "maestro di savoir-vivre e di austera compostezza".
Altri scritti del G.: Una pagina della politica di casa Savoia, ricavata dalla corrispondenza diplomatica di Riccardo Hill, inviato straordinario della regina Anna della Gran Bretagna presso il duca di Savoia Vittorio Amedeo II, Torino 1854; Révélations diplomatiques sur les relations de la Sardaigne avec l'Autriche et la Russie pendant la première et la deuxième coalition (1796-1802), Paris 1859; Études diplomatiques sur la question d'Orient, Stuttgart 1871; Notes de voyage du comte Giandemaria, envoyé du duc de Parme à la cour de Louis XIV (1680), in Revue d'histoire diplomatique, 1890, pp. 352-367; La scuola del diplomatico, Milano 1892 (estr. dalla Deutsche Revue di Berlino, pp. 1-23); Un gentiluomo milanese guerriero-diplomatico (1763-1839): appunti biografici sul bali conte Giulio Litta-Visconti Arese, Milano 1896; La mission du comte Carletti à Paris (1794-1795), in Revue d'histoire diplomatique, 1901, pp. 351-370; Le dernier cri de Venise mourante: 1797, in Revue d'Italie, febbraio-marzo 1905; Une coulisse du théâtre de la guerre: 1870, ibid., maggio 1906; Lettres du comte édouard de Launay, ambassadeur d'Italie à Berlin au comte G. G., ibid., dicembre 1906; Sardaigne, Autriche, Russie: pendant la première et la deuxième coalition (1796-1802). Études diplomatiques tirées de la correspondance officielle des envoyés de Sardaigne à St-Pétersbourg, Rome 1910; Un coup d'oeil sur l'histoire de la Turquie, 1453-1905, Paris 1912; La dichiarazione di guerra della Russia alla Turchia nel 1828, in Nuova Antologia, 16 febbr. 1913, pp. 569-591; Le pouvoir temporel au congrès de Vienne, in Revue d'Italie, giugno-luglio 1914.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Gabinetto di Prefettura, s. I, b. 60; Milano, Arch. stor. diocesano, Archivio Greppi.
Documenti diplomatici italiani, s. 1, voll. II, IV-VI, XIII; s. 2, voll. II-IV, XXI, ad indices. G. Gorrini, recens. a G. Greppi, La Rivoluzione francese nel carteggio di un osservatore italiano, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1901, t. XXVII, pp. 180-184; G. Gallavresi, recens. allo stesso volume in Arch. stor. lombardo, XXXI (1904), 2, pp. 183-193; R. De Cesare, Il conte G. G. e i suoi ricordi diplomatici (1842-1888), Roma 1919; La morte del senatore G. G., in La Perseveranza, 10 maggio 1921; R. Simoni, La morte del centenario conte G., in Corriere della sera, 10 maggio 1921; A. Casati, G. G. (1819-1921), in Arch. stor. lombardo, XLVIII (1921), pp. 262 ss., poi in Id., Saggi, postille e discorsi, Milano 1957, pp. 163-168; Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, Roma 1941, s.v.; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico, Roma 1987, pp. 379 s.