LA FARINA, Giuseppe
Uomo politico e storico, nato a Messina il 20 luglio 1815, morto a Torino il 5 settembre 1863. D'ingegno precoce, a quindici anni aveva già scritto un'Ode sacra, con accenni politici. Laureatosi in legge nel 1835, per avere partecipato al moto insurrezionale del 1837 fu costretto a esulare in Toscana, dove attese a studî storici, poi a Roma. Tornato a Messina per effetto dell'amnistia (marzo 1838), non poté resistere a lungo alle persecuzioni della polizia, e nei primi mesi del 1841 esulò di nuovo a Firenze. Colà continuò gli studî storici e pubblicò: L'Italia nei suoi monumenti, ricordanze e costumi (Firenze 1842), Studi storici sul sec. XIII (ivi 1842) e Storia d'Italia narrata al popolo italiano (ivi 1846-1854). Nel 1847, quando il governo granducale concesse maggiore libertà di stampa, egli fondò L'Alba, alla quale collaborò attivamente dal 14 gennaio 1847 al 10 febbraio 1848, quando fece ritorno in Sicilia, dove il 12 gennaio 1848 era scoppiato il moto rivoluzionario, cui seguirono ben presto quelli delle altre regioni d'Italia. Nominato vice-presidente d'un comitato di guerra a Messina e colonnello della guardia nazionale, fu poi eletto deputato alla Camera dei comuni, dove fu tra i più eloquenti oratori nel sostenere la dichiarazione di decadenza dei Borboni. Poco dopo fu spedito in missione diplomatica, insieme con M. Amari e C. Pisani, presso i governi di Roma, di Firenze, di Torino; ma intanto in Italia si svolgevano eccezionali avvenimenti politici, culminati nella guerra per l'indipendenza. Andato al campo di Carlo Alberto, a Valeggio, vi ebbe accoglienza riservata, quando fu ventilata la proposta di dare al duca di Genova la corona di Sicilia; e tornato a Palermo, gli fu affidato il ministero dell'Istruzione e dei Lavori pubblici (agosto 1848), poi, caduta Messina dopo eroico assedio, e pericolando le sorti di tutta l'isola, assunse quello della Guerra e Marina. Attivissima, per quanto scevra di buoni risultati, fu l'azione sua in quei mesi di caotica resistenza all'esercito borbonico inviato a sedare la ribellione siciliana. Dimessosi da quella carica (febbraio 1849) e sceso egli stesso a combattere al comando d'una legione universitaria spedita in soccorso di Catania, il 22 aprile, riconosciuta inutile ogni ulteriore resistenza, s'imbarcò sulla fregata Indipendenza insieme con altri profughi, giunse a Marsiglia, e di là a Parigi, dove riprese la sua vita di studioso. Attese a stendere la Istoria documentata della rivoluzione siciliana e delle sue relazioni coi governi italiani e stranieri (Capolago 1850-51) e la Storia d'Italia dal 1815 al 1850 (Torino 1851-52). Tornato in Italia, gli fu concesso di prendere stanza a Torino, dove fondò la Rivista contemporanea e scrisse un romanzo storico: Gli Albigesi (Genova 1855), oltre a un importantissimo opuscolo: Murat e l'unità italiana, nel quale si dichiarò avversario deciso di una candidatura di Luciano Murat al trono di Napoli. Favorevole alle idee repubblicane e amico del Mazzini fin verso il 1849, il La F. se ne staccò risolutamente, e nel 1856, accostatosi sempre più al governo piemontese, fondò la Società nazionale italiana, che fu appoggiata dal Cavour e preparò grandemente l'opinione pubblica a favorire la politica del grande uomo di stato prima della guerra del 1859. Durante la guerra contro l'Austria il Cavour, che lo aveva preso nel suo gabinetto, affidò al La F. incarichi delicati e lo spedì a Ferrara con istruzione di entrare nel Veneto in qualità di commissario del re, nel caso che le sorti della guerra fossero continuate favorevoli alle armi italiane; ma l'armistizio di Villafranca fece fallire questo disegno. Dopo che il Cavour ebbe ripreso le redini del governo, il La F., che aveva ridato vita alla Società nazionale italiana scioltasi nel novembre del 1859, si adoperò validamente dapprima presso il governo piemontese e, a spedizione avvenuta, si prodigò per l'impresa di Garibaldi in Sicilia, inviando soccorsi di uomini, d'armi, di denaro. Andato egli stesso nell'isola nativa con l'incarico, datogli da Cavour, di affrettare con ogni mezzo l'unione della Sicilia al Piemonte, Garibaldi, che trovava inopportuna l'attività del La F., prima che fossero completati i suoi disegni, lo espulse. Tuttavia fu di nuovo in Sicilia quando il Montezemolo vi ebbe la nomina a luogotenente del re (dicembre 1860), ma dovette lasciarla di nuovo nel febbraio del 1861. Recatosi a Torino, attese ai lavori del Consiglio di stato, del quale faceva parte dall'ottobre del 1860. Deputato al parlamento nella VII e nell'VIII legislatura, si schierò all'opposizione dopo la morte del Cavour.
Bibl.: L. Carpi, Il Risorgimento ital., biografie storico-politiche, Milano 1884, I, pp. 315-340; G. Biundi, Di G. La F. e del Risorgimento ital. dal 1815 al 1893, Palermo 1893. Cfr. pure l'Epistolario di G. La F., raccolto da Ausonio Franchi, Milano 1869, che diede argomento a vivaci polemiche.