La Farina, Giuseppe
Uomo politico e storico (Messina 1815 - Torino 1863). Repubblicano, prese parte ai moti siciliani del 1837. Costretto all’esilio, si trasferì in Toscana, dove si dedicò agli studi storici. Tornato a Messina l’anno successivo grazie all’amnistia, non resistette a lungo alle persecuzioni della polizia e nei primi mesi del 1841 si trasferì di nuovo a Firenze. Qui proseguì i suoi studi storici e pubblicò diverse opere, tra le quali L’Italia coi suoi monumenti, le sue rimembranze e i suoi costumi (1842), Studi storici sul secolo decimo terzo (1842) e una grande Storia d’Italia narrata al popolo italiano (1846-54), d’intonazione neoghibellina. Nel 1847, quando il governo granducale concesse maggiore libertà di stampa, fondò il giornale «L’Alba», di orientamento democratico-sociale. All’inizio del 1848, allo scoppio della rivoluzione, fece ritorno in Sicilia. Nominato vicepresidente di un comitato di guerra a Messina e colonnello della Guardia nazionale, fu poi eletto deputato alla Camera dei comuni e fece parte della missione incaricata di offrire la corona di Sicilia al duca di Genova. Tornato a Palermo, gli fu affidato il ministero dell’Istruzione. Caduta Messina, assunse il dicastero della Guerra e della Marina, con il compito di organizzare la resistenza all’esercito borbonico e combatté egli stesso al comando di una legione universitaria. Riconosciuta ormai inutile ogni ulteriore resistenza, in aprile fuggì esule a Parigi. Nella capitale francese scrisse Istoria documentata della rivoluzione siciliana e delle sue relazioni co’ governi italiani e stranieri (1850) e Storia d’Italia dal 1815 al 1850 (1851-52). Tornato in Italia, a Torino, fondò la «Rivista contemporanea» e pubblicò l’opuscolo Murat e l’unità italiana, nel quale si dichiarava fortemente contrario a una candidatura di Luciano Murat al trono di Napoli. Di idee repubblicane e amico di Mazzini, se ne staccò progressivamente per diventare un sempre più convinto sostenitore del governo piemontese e della monarchia. Nel 1856 fondò la Società nazionale italiana per appoggiare presso l’opinione pubblica la politica di Cavour, di cui divenne capo di gabinetto. Superata la crisi determinata dalle dimissioni di Cavour dopo Villafranca, nel 1860 riorganizzò la Società nazionale, scioltasi l’anno precedente, e, nel contempo, si impegnò per sostenere la spedizione di Garibaldi in Sicilia, prima adoperandosi presso il governo piemontese e poi, a spedizione avvenuta, facilitando l’invio di uomini, armi e denaro. Recatosi egli stesso in Sicilia con l’incarico di affrettare con ogni mezzo l’unione dell’isola al Piemonte, fu espulso da Garibaldi, deciso a conservare la sua autonomia fino al compimento dell’impresa. Tuttavia fu di nuovo in Sicilia alla fine dell’anno, ma la violenta ostilità dei gruppi autonomisti e repubblicani lo costrinse dopo pochi mesi a lasciare nuovamente l’isola. Nel 1860 venne nominato consigliere di Stato e, nello stesso anno, fu eletto deputato, inizialmente nello schieramento filogovernativo e poi all’opposizione dopo la morte di Cavour. Partecipò ai lavori della Camera dei deputati interessandosi soprattutto alla questione della separazione tra potere civile e potere religioso.