LA HOZ (Lahoz, de La Hoz), Giuseppe
Figlio di Gaetano de La Hoz de Ortiz, ufficiale austriaco di origine spagnola, e di Marianna Geril, nacque probabilmente nel 1766 a Milano o nel Milanese.
Luogo e data di nascita sono stati a lungo discussi (cfr. Spadoni, Il generale L., pp. 8 ss.). Il L. è detto milanese e di trent'anni nel primo stato nominativo degli ufficiali della legione lombarda, da lui organizzata nell'ottobre 1796 (Arch. di Stato di Milano, Ministero della Guerra, b. 392); aveva però risieduto per qualche tempo a Mantova, per il cui Dipartimento fu nominato deputato nel Corpo legislativo cisalpino nel 1797.
Intrapresa la carriera militare nell'esercito austriaco, raggiunse il grado di tenente nel reggimento "Belgioioso". Ma all'inizio della campagna d'Italia del 1796, verosimilmente perché affascinato dalle idee rivoluzionarie, passò all'esercito francese, in cui servì come aiutante di campo del generale di divisione A. Laharpe e, dopo la morte di questo (10 maggio 1796), del generale in capo N. Bonaparte. Il 6 ottobre dello stesso anno promosse una petizione popolare per la formazione di una legione lombarda di linea; Bonaparte acconsentì alla richiesta, e la legione lombarda, primo nucleo del futuro esercito cisalpino, fu rapidamente costituita.
Il L. ne assunse il comando come capo di legione con rango di capo di brigata (colonnello), per decreti 15 ottobre dell'amministrazione generale della Lombardia e 18 ottobre del generale in capo dell'Armata d'Italia (ma già il 10 ottobre aveva firmato bandi di arruolamento volontario per la legione lombarda, qualificandosi capo di essa). Con tale legione il 2 febbr. 1797 affrontò e sconfisse le truppe pontificie sul Senio (rimasto ferito nel combattimento, fu ricompensato con una spada d'onore e con la promozione, il 25 febbraio, a generale di brigata comandante in capo delle truppe lombarde); nel marzo partecipò all'occupazione di Bergamo e Brescia in appoggio ai repubblicani locali insorti contro il dominio veneziano; il 7 aprile mosse contro le truppe venete, inducendole a ritirarsi dalla linea del Chiese; il 9 aprile sconfisse i paesani armati a Chiari; l'11 occupò Ponte San Marco, Lonato e Calcinato, il 14 Salò; alla notizia della rivolta di Verona del 17 aprile marciò sulla città in soccorso alle truppe francesi e lombarde ivi assediate; il 21 aprile prese la batteria di S. Leonardo e bloccò porta S. Giorgio.
Il 2 luglio il Direttorio esecutivo della neocostituita Repubblica Cisalpina affidò al L. il comando ad interim della piazza di Milano, lasciandogli il comando di tutte le truppe cisalpine. In quei giorni egli era anche membro del comitato incaricato, dal 29 giugno, di redigere la carta costituzionale della Repubblica Cisalpina, promulgata l'8 luglio da Bonaparte e sottoscritta anche dal La Hoz. Il giorno successivo fu nominato membro del comitato consulente militare cui, con altri tre comitati, erano affidate le funzioni del Corpo legislativo cisalpino finché questo non fosse nominato. Il 19 luglio, per contrasti con il ministro della Guerra A. Birago, si dimise da generale di brigata comandante le truppe cisalpine, ma il ministro respinse le dimissioni e lo esonerò soltanto dal comando della piazza di Milano. Il L. cessò dalle sue funzioni militari solo dopo che Bonaparte, nominando per la prima volta il Corpo legislativo cisalpino (9 nov. 1797), lo ebbe incluso tra i rappresentanti del Dipartimento del Mincio nel Gran Consiglio (la Camera bassa).
Come deputato non si limitò a fornire pareri di esperto di cose militari (in particolare nelle discussioni sulla costituenda guardia del Corpo legislativo), ma si distinse tra i più accesi democratici (nella seduta del 27 nov. 1797 propose che si dichiarasse il Direttorio esecutivo responsabile degli atti illegali dei ministri e soggetto alle leggi; il 7 genn. 1798 il Gran Consiglio approvò una sua mozione che chiedeva che quella seduta fosse "consacrata alla salute della patria", "sul motivo che in vari Stati confinanti si scannano i Francesi e i patrioti").
Il 5 apr. 1798 chiese al Direttorio cisalpino un congedo di sei mesi per partecipare, come aggiunto allo stato maggiore, alla spedizione contro l'Inghilterra che si stava preparando sotto il comando di Bonaparte; ottenuto il 7 aprile il congedo richiesto, il 10 diede le dimissioni dal Gran Consiglio, subito accettate. Ma rimase in patria, essendo stato nominato (18 aprile) ispettore generale delle truppe cisalpine. Nel luglio successivo fu inviato a Parigi dal Direttorio cisalpino per tentare di convincere il Direttorio francese dell'opportunità di mantenere in vigore la costituzione cisalpina del 1797. Fallita la missione diplomatica (il ministro francese delle Relazioni estere Ch.-M. de Talleyrand rifiutò di riceverlo), il 31 agosto Ch.-J. Trouvé, ambasciatore di Francia a Milano, compì un colpo di Stato nella Cisalpina, imponendo una nuova costituzione ed epurando il Corpo legislativo e il Direttorio; anche il L. fu epurato, subendo la destituzione dal grado di generale di brigata il 7 settembre (ufficialmente per suoi "oltraggi" alla Repubblica francese nella persona del suo ambasciatore Trouvé mediante una nota riferita nei giornali di Parigi). Ma il 3 dicembre successivo, per intervento del generale in capo dell'Armata d'Italia B. Joubert, fu reintegrato nel grado e incaricato del comando della 1a divisione cisalpina.
Assunto tale comando a Modena il 7 dicembre, dovette subito occuparsi della situazione del dipartimento del Rubicone, dove si segnalavano rischi di insorgenza. Il 10 ordinò la formazione di compagnie mobili volontarie non solo nel Rubicone, ma in tutti i dipartimenti cispadani. Insospettito da questa decisione, il Direttorio cisalpino, che già diffidava di lui (denunciato in quello stesso mese come sospetto cospiratore antirepubblicano), inviò un commissario di guerra a sorvegliarlo; il generale Joubert gli negò l'autorizzazione a concentrare le truppe cisalpine a Ferrara, come intendeva fare per compiere la trasformazione delle legioni in mezze brigate, secondo la legge 29 nov. 1798. L'8 genn. 1799, dichiarandosi offeso dalla nomina a generale di divisione cisalpino di J.H. Dombrowski, che era stato nominato capo di legione dopo di lui (la notizia era peraltro inesatta), rassegnò le dimissioni, che furono accettate dal Direttorio il 12 gennaio.
Il 25 aprile - alla vigilia della battaglia di Cassano d'Adda, in seguito alla quale le forze franco-cisalpine dovettero ritirarsi dalla Lombardia - fu richiamato in servizio e destinato al comando delle forze nazionali cisalpine nei dipartimenti a sud del Po, in subordine al generale J. Montrichard, comandante dell'ala destra dell'armata d'Italia. Giunto a Bologna il 27 aprile, nei giorni seguenti compì vari atti che andavano oltre i suoi poteri e che gettarono su di lui una luce assai ambigua: tentò invano di costituire una giunta di difesa dei dipartimenti cispadani e di mobilitare 6000 guardie nazionali, ordinò la costituzione di un "corpo franco italiano" e, portatosi a Forlì, proclamò (4 maggio) lo stato di assedio nel dipartimento del Rubicone. Il 5 maggio Montrichard ordinò la sospensione del L. e del generale D. Pino, suo luogotenente; ma l'aiutante generale P.-A. Hulin, cui era affidata l'esecuzione dell'ordine, dispose invece l'arresto dei due generali cisalpini e lanciò un ultimatum alle loro truppe. Pino allora abbandonò il L. (11 maggio) per raggiungere ad Ancona il generale J.-Ch. Monnier, protestando la propria lealtà alla Cisalpina e alla Francia; il suo esempio fu seguito da quasi tutti i soldati agli ordini del L., e questi passò agli insorgenti che fiancheggiavano la coalizione antifrancese.
Già il 23 maggio partecipò a un'azione degli insorgenti, la presa di Ascoli. Dall'inizio di giugno i capi dell'insorgenza marchigiana lo riconobbero loro comandante supremo; come tale stabilì rapporti con le potenze nemiche della Francia e l'8 luglio istituì a Fermo una "reggenza provvisoria imperiale reale pontificia". Dal 20 luglio condusse una vasta offensiva degli insorgenti in tutto il territorio della Marca; sconfitti i Francesi a Senigallia il 3 agosto, il 6 occupò il monte Conero e l'8 assaltò il forte della Montagnola; pose quindi l'assedio ad Ancona, difesa da Monnier e Pino.
Le motivazioni del comportamento del L. nel 1799 rimangono misteriose. È mera leggenda che fosse il fondatore e il capo di una società segreta indipendentista detta "dei raggi", la cui esistenza non è storicamente provata. Il suo passaggio repentino dal ruolo di generale cisalpino a quello di generale degli insorgenti sembra ad alcuni la prova di un tradimento ben preparato. Ma tra il settembre e l'ottobre da parte franco-cisalpina si attendeva il suo ritorno (come sembra dimostrare una lettera che J.-É. Championnet, generale in capo dell'armata d'Italia, gli scrisse il 23 settembre), mentre il suo subalterno G. Cellini lo accusava apertamente di doppio gioco e veniva perciò da lui messo agli arresti.
Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre gli assediati di Ancona effettuarono una sortita con tre colonne, di cui una, comandata da Pino, puntò sulle linee nemiche dove si trovava il La Hoz. Qui si compì un dramma poi raccontato in più versioni, una delle quali particolarmente romanzata: il L., ferito e catturato dagli stessi soldati cisalpini che a lungo aveva comandato, si trovò alla mercé del vecchio amico Pino, che gli avrebbe fatto dare il colpo di grazia da un soldato onde risparmiargli un processo per tradimento e la fucilazione. È però documentalmente provato che il L. sopravvisse un giorno intero alle ferite e morì l'11 ott. 1799 nella vicinissima Varano, dove era stato trasportato dai suoi uomini. Ebbe solenni esequie nella basilica della S. Casa di Loreto, nel cui sotterraneo fu sepolto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Militare, p.a., b. 261 (docc. relativi al L. frammisti con altri relativi a suo padre); Ministero della Guerra, bb. 392, 1611; Raccolta degli ordini, avvisi, proclami ec. pubblicati in Milano nell'anno V. repubblicano francese, II, Milano 1796, p. 43 e passim (proclami e altri atti firmati dal L. come capo della legione lombarda); Assemblee della Repubblica Cisalpina, I-IV, Bologna 1917-19, ad ind. (per l'attività parlamentare del L.); M.-A.-B. Mangourit, Défense d'Ancône et des départements romains le Tronto, le Musone et le Metauro, par le général Monnier, aux années VIIe et VIIIe, I-II, Paris 1802, passim; C. Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, III, parte II, Italia 1824, pp. 434-443; A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana. Cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, Milano 1845, I, pp. 2, 6, 140, 143, 217, 221, 231 s.; II, pp. 2, 4 s., 10 s., 317 s., 412 s., 415 s., 418 s.; [I. Rinieri], Il generale Lahoz. Il primo propugnatore dell'indipendenza italiana, in La Civiltà cattolica, LV (1904), 2, pp. 49-63, 296-304, 526-545; 3, pp. 39-50, 141-154; D. Spadoni, Un po' più di luce su la fine del gen. L., Roma 1909; Id., Il generale L. e il suo tentativo indipendentista nel 1799, Macerata 1933; A. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età napoleonica, Modena 1934, pp. 56-60; C. Zaghi, Nota sul generale L., in Rass. stor. del Risorgimento, XXII (1935), pp. 85-101; G. Natali, Il generale L. a Bologna e i precedenti del suo tentativo indipendentista (aprile-maggio 1799), ibid., XXX (1943), pp. 3-32; C. Canavari, I generali Cellini e De L. a Fabriano nel giugno 1799. L'anno settimo della Repubblica francese nelle Marche, Ancona 1963; E. Pigni, Le elezioni e i primi atti del Corpo legislativo della Repubblica Cisalpina, in Annali di storia moderna e contemporanea, III (1997), pp. 453, 459, 461, 470, 474 s.; V. Ilari - P. Crociani - C. Paoletti, Storia militare dell'Italia giacobina, I-II, Roma 2001, ad indicem; Protagonisti dell'insorgenza antifrancese nelle Marche: Giuseppe Cellini - Sciabolone - G. L. Atti del Convegno, Servigliano… 2000, a cura di S. Petrucci, Fermo 2001; F.M. Agnoli, Un italiano patriota. G. L. da generale giacobino a comandante degli insorgenti, Roma 2002; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.