LILLO, Giuseppe
Nacque a Galatina, presso Lecce, il 26 febbr. 1814 da Giosuè e Maria Rosaria Ayroldi.
I rapidi progressi negli studi musicali conseguiti prima sotto la guida del padre e poi del maestro leccese Luigi Carnovale, spinsero la famiglia a fargli continuare la sua formazione nel conservatorio di musica napoletano dove, grazie al brillante esito degli esami di ammissione, fu accettato il 20 luglio 1826 con posto gratuito per "merito straordinario". Qui cominciò a frequentare le lezioni di "partimenti e armonia sonata" di G. Furno e, in seguito, quelle di pianoforte di F. Lanza e quelle di contrappunto del direttore del conservatorio N. Zingarelli.
Tra le prime composizioni del L., alunno e poi primo "maestrino" del conservatorio, si contano una messa per 4 voci e orchestra e un Dixit Dominus (scritto in occasione delle celebrazioni curate dal conservatorio per la festa di S. Oronzio), nonché la sua prima produzione teatrale, la commedia buffa La moglie per 24 ore ossia L'ammalato di buona salute, eseguita con successo nel teatrino del conservatorio dagli stessi allievi nel carnevale del 1834.
È da questo momento che inizia la vera e propria carriera pubblica di autore melodrammatico del L. che, tra il 1835 e il 1842, è presente sulle scene dei principali teatri napoletani e di altre città italiane con all'incirca un'opera nuova all'anno, dividendosi fra il genere semiserio o comico e quello serio. In quest'ultimo campo rientrano, per esempio, Rosamunda in Ravenna (su libretto di L.A. Paladini desunto da una tragedia di V. Alfieri), opera scelta per inaugurare il 26 dic. 1837, il ricostruito (dopo l'incendio dell'anno precedente) teatro La Fenice di Venezia, nonché Il conte di Chalais (Napoli, teatro S. Carlo, 6 nov. 1839) su di un argomento già preso in considerazione da V. Bellini e il cui libretto, elaborato da S. Cammarano, sarà in parte ripreso più tardi, non senza disappunto del L., anche da G. Donizetti per la sua Maria di Rohan (1843).
Se fino a questo momento la carriera melodrammatica del L. aveva alternato alcuni successi, principalmente presso i teatri napoletani, a fredde accoglienze di pubblico, il 1840 sembra segnare il momento di massima popolarità del musicista che, oltre a veder riproposto alla Scala di Milano il suo melodramma Odda di Bernaver, eseguito in prima al S. Carlo di Napoli nel 1837, poté contare sul grande successo riscosso dall'opera comica L'osteria di Andujar, rappresentata al teatro del Fondo di Napoli nel settembre del 1840 e ripresa ancora più volte nel corso degli anni successivi.
Il buon esito di quest'ultimo lavoro - la cui popolarità anche al di fuori dei confini partenopei appare testimoniata da diverse pubblicazioni dei suoi principali numeri nelle consuete versioni per canto e pianoforte o, secondo il genere, della fantasia o variazione operistica per piano - coincise con la nomina del L. a direttore musicale del S. Carlo, incarico questo ricoperto insieme con G. Cordella sino alla stagione 1842-43.
In questo stesso periodo, probabilmente anche a causa dell'insuccesso delle sue due successive tragedie liriche, Cristina di Svezia (Napoli, S. Carlo, 21 genn. 1841) e Lara (ibid., 22 nov. 1842), il L. sembra rallentare il suo impegno come compositore melodrammatico per dedicarsi maggiormente all'attività di pianista. Alla pubblicazione di riduzioni per pianoforte o per canto e pianoforte dei numeri di maggior successo delle sue stesse opere, iniziata già da tempo, si accompagna difatti in questo periodo quella di brani di Salonmusik che appaiono diretti al mercato dei dilettanti locali, in particolar modo al pubblico femminile. Tra queste composizioni figurano anche due romanze per voce e pianoforte pubblicate dal periodico partenopeo Il Sibilo (1843-45), che ospitava nelle sue pagine brani dei musicisti più popolari della Napoli del tempo, fra cui Donizetti, G. Pacini e S. Mercadante. Ciò pare ulteriormente confermare quanto riportato da Florimo (p. 379), secondo il quale il L. sarebbe divenuto in breve tempo un pianista celebrato e alla moda, le cui lezioni venivano contese dalla migliore società cittadina. A partire dal 1845 iniziò anche la sua attività didattica come insegnante di partimenti, prima presso le scuole esterne del conservatorio e poi, con nomina ministeriale dell'8 ag. 1846, all'interno dello stesso collegio di musica. Nell'autunno di quell'anno, inoltre, riprese il suo impegno in qualità di compositore drammatico mettendo in scena, al teatro Carignano di Torino, una nuova opera semiseria, Il cavaliere di S. Giorgio, ossia Il mulatto. Da questa città, motivato dal desiderio di conoscere alcuni suoi parenti, si recò a Parigi dove, secondo quanto egli stesso scriveva al fratello Francesco, venne calorosamente accolto dall'ambiente musicale ricevendo ampi attestati di stima, in particolare da G. Spontini.
Tornato a Napoli, continuò a prendere parte attiva alla vita musicale cittadina: dal 1849 al 1853 produsse, per i diversi teatri locali, ben 5 nuove opere che, sempre stando a Florimo (p. 380), ebbero nell'insieme "un contrastato successo" di pubblico e di critica; nell'ambito della musica strumentale, partecipò inoltre alle "accademie" organizzate a partire dal novembre 1852 da A. Bendelari: uno fra i rari tentativi di promuovere in città esecuzioni di musica da camera e il repertorio strumentale classico-romantico d'Oltralpe.
Nell'ultima fase della sua vita il L. sembra dedicarsi principalmente all'attività di insegnamento presso il conservatorio dove, a partire dal 1859, divenne titolare della cattedra di contrappunto e composizione, resasi in quel tempo disponibile per le dimissioni di C. Conti. La tranquillità di questa posizione, che, se lo vedeva lontano dall'agone melodrammatico, ne sanciva il prestigio nell'ambiente musicale napoletano, venne sconvolta nel gennaio del 1861 da una prima crisi psichica che rese necessario l'internamento del L. in una dipendenza esterna del manicomio di Aversa. Una volta migliorate le sue condizioni, riprese l'impegno didattico presso il conservatorio.
Dopo poco tempo, però, un ulteriore aggravamento del suo stato di salute provocò, di lì a poco, la morte, avvenuta a Napoli il 4 febbr. 1863.
Allo stato attuale delle ricerche, vista la pressoché totale assenza di studi specifici, appare difficile pervenire a una valutazione corretta della figura e dell'opera del Lillo. Il giudizio di Florimo (autore di quella che a tutt'oggi è la principale biografia del musicista pugliese) - secondo il quale il L., pur essendo un ottimo professionista, non possedeva "quel sacro fuoco che accompagna sempre le opere del genio" (p. 380), indispensabile a un compositore teatrale - appare oggi senza dubbio insufficiente. In due casi, tuttavia, Florimo segnala D.-Fr.-E. Auber e Donizetti quali modelli di altrettanti lavori teatrali del L., il che sembrerebbe indicare che questi seppe essere a volte partecipe delle tendenze dell'opera italiana nel periodo successivo a G. Rossini, sulla scia del quale, per esempio, sentì l'esigenza di mantenere gli elementi del tradizionale virtuosismo vocale nell'ambito di più coerenti esigenze espressive. Inoltre va detto che, se la fortuna delle produzioni teatrali del L. appare nel complesso alterna, alcune fra le principali romanze delle sue opere dovettero godere di una indubbia popolarità, come dimostra il fatto che furono pubblicate singolarmente dai principali editori napoletani, così come dalla casa editrice Ricordi di Milano.
Altrettanto problematica risulta la valutazione del pianismo del L., attività che Florimo considerava invece come la vera vocazione del musicista sia nel suo ruolo di interprete, per "una delicatezza di tatto unita ad una eleganza nel sonare che incantava e nel tempo stesso dilettava", sia nel suo ruolo di autore di "piacevolissime musiche e parecchie anche originali, che molto promettevano del suo avvenire" (p. 380). Malgrado ciò, le pubblicazioni pianistiche del L., per la maggior parte ascrivibili ai generi più convenzionali del tempo, quali la variazione di derivazione operistica o il cosiddetto "pezzo caratteristico" improntato a un facile sentimentalismo di maniera, hanno scoraggiato sinora un vero interesse da parte degli studiosi. Va però ricordato che nella Napoli del tempo, nella quale i modelli dominanti in campo pianistico erano forniti dalle fantasie operistiche di natura virtuosistica alla S. Thalberg e soprattutto dal languido sentimentalismo della produzione di E. Coop, la frequentazione di tali generi avrebbe continuato a essere un percorso obbligato almeno sino agli anni degli esordi pianistici di G. Martucci.
In tale prospettiva appare dunque tanto più significativo che tra le opere che costituiscono lo spoglio musicale del L. (donato alla sua morte dai fratelli Francesco, Luigi e Pietro al conservatorio napoletano) si possano rinvenire i manoscritti, oltre che di diverse composizioni di musica sacra, anche di 2 quartetti e di un trio concertante che, unitamente alla già segnalata partecipazione dell'autore alle accademie strumentali di Bendelari, testimoniano del suo interesse per la musica da camera, certo inusuale nel contesto della Napoli del tempo. Tra i suoi allievi vanno infine segnalati F. Marchetti, S. Giannini e G. Miceli, quest'ultimo ricordato proprio come autore di musica da camera.
Fonti e Bibl.: F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Napoli 1881-83 (rist. anast., Bologna 1969), III, pp. 375-385; G. Della Noce, Musicisti salentini: il maestro G. L., Lecce 1914; P. Sorrenti, I musicisti di Puglia, Bari 1966, pp. 151-153; R. De Benedetto, Beethoven a Napoli nell'Ottocento, in Nuova Riv. musicale italiana, V (1971), p. 18; S. Martinotti, Ottocento strumentale italiano, Bologna 1973, pp. 163, 326, 468; F. Esposito - G. Olivieri, L'attività pianistica a Napoli al tempo di A. Longo: Costantino Palumbo, in A. Longo: l'uomo, il suo tempo, la sua opera. Atti del Convegno internazionale di studi, Amantea… 1995, a cura di G. Feroleto - A. Pugliese, Vibo Valentia 2001, p. 112; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1500 s.; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, pp. 701 s.