LOLLI, Giuseppe
Nacque presumibilmente a Roma intorno alla metà del XVIII secolo. Nulla si conosce sulla formazione musicale di questo cantante di opera buffa prima dell'esordio sulle scene, avvenuto nella stagione di carnevale 1770 al teatro Pace di Roma in due farsette a quattro voci: Li finti pazzi per amore di Rinaldo da Capua e La raminga fedele di Domenico Corri.
Allo stato attuale delle ricerche, poco probabili appaiono eventuali legami di parentela con la cantante di opera seria Dorotea Lolli, attiva tra il 1725 e il 1749, e con Giuseppe Francesco Lolli (Bologna 1701 - Salisburgo 1778), cantante e maestro di cappella a Salisburgo; è altresì da escludersi una relazione familiare con il violinista Antonio Lolli.
Nei primi anni di carriera il L. non abbandonò l'ambiente romano, interpretando ruoli secondari ancora al Pace (carnevale 1771), quindi approdando alla ribalta del più prestigioso teatro di Tordinona nel carnevale 1772, come Don Pompeo ne L'amante nel sacco di A. Accorimboni e Silvio ne La serva spiritosa di G. Mango, cui seguì, nello stesso teatro, la partecipazione del L. in altre tre farsette. Nei libretti di questi primi allestimenti il L. è definito "romano" nelle didascalie.
Dall'estate 1773 il L. fu scritturato per alcune stagioni in teatri palermitani, debuttando come Conte Bemol ne L'impresa d'opera di P.A. Guglielmi, rappresentato nel teatro dei marchesi di Santa Lucia. Dall'inverno 1774 risulta ingaggiato al teatro di S. Cecilia in due opere di N. Piccinni (L'astratto o sia Il giocatore fortunato e Il barone di Torreforte), quindi ne Il geloso in cimento, probabilmente con musiche di P. Anfossi: qui il L. nel ruolo di Rosbif viene indicato come "secondo mezzo carattere". La permanenza a Palermo si concluse nel 1776 con la partecipazione al teatro di S. Lucia in due drammi giocosi di G. Paisiello: La discordia fortunata e Le due contesse. Il L. fu quindi al teatro dell'Accademia degli Intronati di Siena come "secondo buffo mezzo carattere" in compagnia con Francesco Bussani, con il quale si esibì fino all'autunno 1777 al teatro di via del Cocomero a Firenze in opere di Anfossi (Il curioso indiscreto) e di L. Caruso. La proficua collaborazione con Bussani proseguì nel successivo ingaggio del L. nella compagnia del Valle di Roma, teatro di punta nella produzione di intermezzi a cinque voci.
Nel carnevale 1778, al Valle il L. interpretò Velasco ne Il controgenio ovvero Le speranze deluse di Anfossi, nonché Valerio Griffagni ne Il ritorno di Don Calandrino di D. Cimarosa; nel carnevale seguente vestì i panni di Sumers nella prima assoluta de L'italiana in Londra, opera di Cimarosa che ottenne un grande successo internazionale; fu quindi Dottor Testasecca ne La partenza inaspettata di A. Salieri. In occasione dell'apertura del teatro Canobbiana nell'autunno del 1779 il L. e Bussani furono impegnati a Milano ancora in due opere di Salieri: Il talismano e La dama pastorella. Il L. concluse la sua collaborazione con il Valle nel carnevale 1780 interpretando Don Annibale ne Le donne rivali di Cimarosa.
Con un'esperienza ormai decennale il L. si presentava all'esigente pubblico veneziano: dall'autunno 1780 al carnevale 1781 ottenne un'importante scrittura per il teatro Giustiniani in S. Moisè, debuttando nei collaudati panni di Sumers ne L'italiana in Londra, per affrontare ormai in ruoli di protagonista, altre quattro opere. Dopo una stagione divisa tra Livorno e Genova e un ritorno alla Canobbiana, il L. approdava nella primavera 1782 alla Scala di Milano ne Il matrimonio in commedia di Caruso, e in autunno quale Mingone nel primo allestimento di Fra i due litiganti il terzo gode di G. Sarti e quale Broccardo ne Il pittor parigino di Cimarosa, in compagnia con Anna Selina Storace e Francesco Benucci.
Nel carnevale seguente fu impegnato al Regio Ducale teatro di Parma, ancora con Bussani, ne Il convito di Cimarosa e ne La finta ammalata di Anfossi; in primavera cantò al teatro degli Armeni di Livorno in Armidoro e Laurina, e in autunno al teatro Bonacossi di Ferrara in Giannina e Bernardone, entrambe con musiche di Cimarosa. Nella stagione di carnevale 1784 apparve nuovamente sulle scene della Scala di Milano quale Giannetto ne I viaggiatori felici di Anfossi e al teatro degli Erranti di Brescia, protagonista in Il capitan Tenaglia ossia La muta per amore di G. Moneta; in autunno fu al teatro degli Intrepidi di Firenze ne Il cavaliere alla moda di L. Cotti, nel pasticcio Gelosia e pazzia sono sorelle, e ancora in Capitan Tenaglia, personaggio riproposto ad Alessandria nella fiera di primavera 1785. Nell'autunno di quell'anno interpretò Fabio Cartapecora (primo buffo mezzo carattere) ne Il falegname di Cimarosa al Carignano di Torino.
Dal 1° marzo 1786 il L. fu ingaggiato come "Buffotenor" con un compenso di 2025 fiorini nella compagnia italiana del Burgtheater di Vienna, accanto a Bussani, Stefano Mandini, Luisa Laschi, Benucci, Nancy Storace. Nell'arco di una sola stagione prese parte alla messa in scena di tre opere, presentandosi con successo ne L'italiana in Londra (12 maggio), quindi quale Ababachir ne Il trionfo delle donne (La forza delle donne) di Anfossi (15 maggio) e I finti eredi di Sarti (1° agosto), opere allestite contemporaneamente a Le nozze di Figaro di W.A. Mozart.
Lasciata Vienna si trasferì a Praga, dove si esibì nella compagnia diretta da Pasquale Bondini fino al 1792, anno in cui interpretò ancora con successo il ruolo di Bartolo ne Le nozze di Figaro (Nettl, p. 122). Il nome del L. è tuttora legato alla prima rappresentazione assoluta de Il dissoluto punito ossia Il Don Giovanni di Mozart e L. Da Ponte, andato in scena a Praga nell'ottobre 1787; in quell'occasione il L. interpretò sia il ruolo di Masetto sia quello del Commendatore.
L'opera buffa si era radicata a Praga negli anni Sessanta con l'impresa di Giuseppe Bustelli, cui era subentrato Bondini. Gli spettacoli ebbero luogo dapprima nel teatro del conte Thun, quindi dal 1783, nel nuovo Nationaltheater. La rappresentazione a Praga de Le nozze di Figaro nel dicembre 1786 aveva suscitato nel pubblico un entusiasmo senza precedenti; nella lettera all'amico G. von Jacquin, del 14 genn. 1787, Mozart scriveva: "qui infatti non si parla che di Figaro non si suona, si canta, si fischietta altro che il Figaro, non si va all'opera se non per vedere Figaro, sempre e nient'altro che Figaro" (Abert, p. 356). Il 20 gennaio l'opera fu diretta dallo stesso autore. Bondini si affrettò a concludere con Mozart un contratto per una nuova opera da eseguirsi nella stagione successiva per l'abituale compenso di 100 ducati. Il librettista prescelto fu ancora una volta Da Ponte, che sottopose a Mozart il soggetto del Don Giovanni incontrandone l'entusiastica approvazione.
Quando Mozart ritornò a Praga in autunno per l'allestimento dell'opera, la partitura doveva essere era quasi ultimata. La compagnia di Bondini non si dimostrò in grado di imparare un'opera di tale complessità nel breve tempo a disposizione; il debutto - rimandato più volte - ebbe finalmente luogo il 29 ottobre presso il Nationaltheater. Nel comporre il Don Giovanni, Mozart ebbe dunque presenti le caratteristiche vocali e drammatiche degli interpreti che aveva avuto modo di saggiare nel precedente soggiorno. Alcune modifiche furono dettate dalle richieste dei cantanti stessi: per il giovane L. Bassi, primo Don Giovanni, deluso per non avere nell'opera nessuna grande aria, Mozart avrebbe riscritto più volte il celebre duetto Là ci darem la mano. Il libretto stesso di Da Ponte (che molto deve al Don Giovanni Tenorio di G. Bertati, musicato da G. Gazzaniga per il teatro di S. Moisè di Venezia nel carnevale 1787) è strutturato, di fatto, in funzione della piccola compagnia di Bondini. In particolare, la carenza di cantanti maschi lo indusse a eliminare circa la metà delle dramatis personae previste nel Burlador de Sevilla di Tirso de Molina. Già nell'opera di Bertati e Gazzaniga sette interpreti erano chiamati a interpretare dieci personaggi; del resto, Da Ponte stesso aveva già adottato simili soluzioni: nella prima viennese de Le nozze di Figaro, M. Kelly aveva sostenuto i ruoli di Don Basilio e di Curzio, e F. Bussani quelli di Bartolo e di Antonio. La scelta obbligata anche nel Don Giovanni di affidare i ruoli di Masetto e del Commendatore a un unico interprete (i due personaggi non compaiono infatti mai in scena contemporaneamente) costituisce fra l'altro un elemento prezioso nel tentare di ricostruire il finale dell'opera così come lo aveva concepito Mozart. Il doppio impegno del L. sarebbe per Dent (p. 198) la principale ragione per cui Don Giovanni indugia così a lungo in scena dopo che il Commendatore è scomparso da una botola: il cantante avrebbe così avuto il tempo di cambiare costume e tornare in scena come Masetto per il sestetto conclusivo (eliminato già nella prima viennese e negli allestimenti "romantici" dell'Ottocento).
L'ultima testimonianza documentata circa l'attività professionale del L. risale al carnevale 1793 a Cremona; qui cantò ne I finti eredi di G. Sarti (Pierotto) e ancora ne L'italiana in Londra, questa volta nel ruolo di Don Polidoro.
Si ignorano il luogo e la data di morte del L.: secondo quanto riferisce Nissen, nel 1825 il L. sarebbe stato ancora in vita, a Vienna (cfr. Nettl, p. 123).
Ruolo particolarmente rappresentativo nella carriera del L., per tentare di delinearne alcune caratteristiche, è certamente quello di Sumers ne L'italiana in Londra, vero e proprio cavallo di battaglia ripreso più volte dopo la prima romana per esordi in teatri come il Ducale di Parma (estate 1780), il S. Moisè di Venezia, la Canobbiana di Milano (carnevale 1782), il Burgtheater di Vienna. Cimarosa aveva potuto calibrare il personaggio di Sumers sulle caratteristiche del L.: aveva già composto per lui la parte di Valerio ne Il ritorno di don Calandrino. A Sumers, facoltoso mercante olandese, Cimarosa riserva due arie, oltre ai pezzi d'insieme. La parte, annotata in chiave di tenore, si sviluppa in una tessitura medio-alta; la fisionomia buffa del personaggio si stempera nella verosimiglianza del mezzo carattere, essendo riservati gli interventi di "buffo caricato" a Don Polidoro. Nella prima aria, Venti volte in vita mia (atto I, scena 7), in do maggiore, si presenta come il prototipo del mercante che incarna l'etica borghese fondata sull'utile e sui meriti, e poco si cura della nobiltà dei natali; il brano non presenta particolari difficoltà tecniche e copre un'estensione di una decima (Mi2-Sol3). Nella seconda aria, Vi parlo all'olandese (II, 4), d'impronta più decisamente comica, prevale il canto sillabato; il brano si estende nell'arco di una dodicesima (Do2-Sol3).
Dei due personaggi mozartiani creati dal L., quello di Masetto viene talvolta ingiustamente sottovalutato; la sua unica aria Ho capito, signor sì! (I, 8) non dovrebbe mai essere omessa: "v'è più di un accenno all'indignazione rivoluzionaria che compare nelle arie di Figaro e che costituisce, non lo si ignori, lo sfondo sociale di tutta l'opera […] e non dobbiamo dimenticare che Don Giovanni non possiede minor "senso sociale" delle Nozze di Figaro" (Dent, p. 229). L'aria, pervasa da una sottile ironia che si trasforma in concitata ostinazione, è stata annotata - così come il precedente duetto e coro di Masetto e Zerlina Giovinette che fate all'amore - su fogli a parte. La versione definitiva di questi brani, così come altre scene dove compare il L., come quella del cimitero e il finale dell'atto secondo, risalgono dunque alle prove di Praga: l'aria di Masetto, concepita probabilmente in precedenza a Vienna nella tonalità di sol maggiore (come suggerirebbero le cadenze dei recitativi che precedono e seguono il brano), sarebbe stata poi trasportata per adattarla alla tessitura del L. nella definitiva tonalità di fa maggiore (cfr. C. e I. Paldi, p. 98). La parte di Masetto non presenta vocalmente passaggi di particolare impegno, muovendosi perlopiù nell'ambito ristretto di un'ottava (Do2-Do3), per estendersi maggiormente nei pezzi d'insieme quali i finali o il sestetto del secondo atto Sola sola in buio loco (Sol1-Mi bemolle3).
Il personaggio del Commendatore - come il suo contrario, Leporello - è ripreso quasi alla lettera da Bertati. In contrapposizione simbolica a Don Giovanni nella breve apparizione d'esordio del duello e alla fine del dramma, Mozart affida al Commendatore in pochi calibrati interventi l'acme drammatica dell'opera. La sua apparizione nella scena del cimitero (II, 11) si risolve in alcune battute di recitativo accompagnato, poche lapidarie parole secondo i modelli oracolari di J.-Ph. Rameau e dell'Alceste di Chr.W. Gluck. Il pathos del frammento è sottolineato dall'accompagnamento "ultraterreno" dei tromboni, rinforzati da Mozart con i legni per creare uno sfondo sonoro che aiuta grandemente il Commendatore a sostenere la dignità della sua posizione. L'intervento del Convitato di pietra nel finale (II, 15) segna l'apice del conflitto, una rappresentazione esemplare del tono del sublime, considerata "vertice insuperabile della drammaturgia musicale in senso assoluto" (Abert, p. 476). Al Commendatore, nei recitativi drammatici del finale (dilatati nell'ambito della tredicesima Sol diesis1-Mi bequadro3), Mozart riserva una scrittura più evoluta, caratterizzata da salti di difficile intonazione quali decime, settime e quinte diminuite e linee dall'andamento spigoloso e straniante quale quella sulle parole "Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste", costruita praticamente su una serie dodecafonica.
Diversamente da quanto concepito da Mozart, tradizione e consuetudine, consolidate in innumerevoli allestimenti, ci hanno consegnato una identificazione vocale decisamente differenziata dei personaggi di Masetto e del Commendatore, affidato l'uno a un timbro baritonale, l'altro a un basso profondo, per meglio caratterizzare - secondo tipizzazioni in realtà ottocentesche - il giovane contadino, così come il nobile vecchio che dà voce all'ultraterreno. In realtà le due parti, destinate in origine a un unico interprete, presentano fondamentalmente la stessa tessitura. Il L., come si evince dai ruoli interpretati nel corso della carriera (perlopiù annotati in chiave di tenore), pur avendo subito nel corso degli anni un abbassamento di registro, non può essere considerato un basso nell'accezione odierna del termine. Non potendo Mozart disporre di timbri diversi nel delineare i due personaggi, confidò piuttosto sulle capacità di attore del L. e su soluzioni drammatiche a effetto, supportando, dove necessario, la vocalità non certo imponente del L. con un rafforzamento della sezione dei legni negli interventi del Convitato di pietra.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca del conservatorio S. Pietro a Majella, Rari, 1.4.1.2.: D. Cimarosa, partitura autografa de L'italiana in Londra; W.A. Mozart, Il dissoluto punito, ossia Il Don Giovanni, in Id., Neue Ausgabe sämtlicher Werke, s. 2, Bühnenwerke, Werkgruppe 5, XVII, Kassel-Basel-Paris 1968, pp. 91-108, 317-348, 428-444; G.N. von Nissen, Biographie W.A. Mozart's nach Originalbriefen…, a cura di C. von Nissen, Leipzig 1828, p. 519; P. Nettl, Mozart in Böhmen, Prag 1938, pp. 122 s., 154 s. (rifacimento di R. von Procházka, Mozart in Prag, Prag 1892); O. Michtner, Das Alte Burgtheater als Opernbühne, Wien 1970, pp. 204-206, 213, 216, 228, 447; E.J. Dent, Il teatro di Mozart, a cura di P. Isotta, Milano 1979, pp. 198, 229; H. Abert, Mozart, II, La maturità, 1783-1791, a cura di P. Gallarati, Milano 1985, pp. 367 s., 427, 464, 473-478; C. Paldi - I. Paldi, Le grandi opere liriche di Mozart, Roma 1985, pp. 98, 232 s., 276 s.; R. Angermüller, Vom Kaiser zum Sklaven. Personen in Mozarts Opern, München-Salzburg 1989, p. 70; A. Campana, G. L. da "L'italiana in Londra" a "Don Giovanni", in Mozart, Padova e "La Betulia liberata". Atti del Convegno internazionale di studi, Padova… 1989, a cura di P. Pinamonti, Firenze 1991, pp. 417-422; F. Pirani, L'opera buffa tra Roma e Vienna al tempo di Giuseppe II. Cantanti e repertori, ibid., pp. 412 s.; S. Crise, Come una veste al corpo. Interpreti mozartiani e prassi esecutiva all'epoca e nei luoghi di Mozart, Milano 1995, p. 197; F. Pirani, Operatic links between Rome and Vienna, 1776-1790, in Wolfgang Amadè Mozart. Essays on his life and his music, a cura di S. Sadie, Oxford 1996, pp. 399 s.; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, II, p. 371; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 858; Diz. encicl. universale della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 484 (s.v. Lolli, famiglia).