LUCATELLI (Locatelli), Giuseppe
Nacque il 16 marzo 1751 a Mogliano (non lontano da Macerata) da Filippo, medico, e da Teresa Morelli di Pergola.
Nella sua città, presso S. Carnili, modesto pittore locale, il giovanissimo L. apprese i primi rudimenti del disegno per poi, dal 1765, approfondire gli studi di pittura a Monsavito alla scuola di G. Bracchi (allievo di C. Maratta) e di scultura con C. Moriconi. Nel 1776 raggiunse a Roma il fratello Francesco (medico) per frequentare la bottega di T. Conca e per ampliare la sua formazione culturale studiando architettura, matematica e filosofia (Settembri, p. 9).
A Roma divenne allievo e amico di A.R. Mengs (che assistette fino alla morte, nel 1779), evolvendo il suo stile dal barocco al neoclassico. Mengs lo introdusse nella cerchia del diplomatico spagnolo e mecenate J.N. de Azara e, al fine di ammorbidire la rigidezza del segno conseguente all'esercizio di copia condotto sulla statuaria antica, lo indirizzò agli studi della pittura del Correggio (Antonio Allegri). Solo dopo un soggiorno a Tolentino (1780), durante il quale dipinse la Madonna dell'Olivo per la famiglia Filoni (dal 1858 nella basilica di S. Nicola), il L. si stabilì a Parma dall'agosto 1782 all'agosto del 1783, dove, per tramite di Azara, entrò in contatto con il tipografo ed editore G.B. Bodoni. Con questo intrattenne rapporti di profonda amicizia e di stima professionale, alimentati da una corposa corrispondenza. Nelle vesti di vignettista e copista, il L. intraprese con Bodoni una proficua collaborazione che, seppure a discapito dell'attività pittorico-creativa, gli procurò l'ammirazione dello stesso duca di Parma Ferdinando di Borbone (il quale, nel dicembre del 1782, gli commissionò un ritratto a pastello) e gli assicurò incarichi da parte di nobili e ricchi borghesi.
Tra il 1783 e il 1790 visse tra Roma e Parma (dove si fermò dal 1786 al 1788) approfondendo, secondo gli insegnamenti di Mengs, gli studi sui maestri del Rinascimento (in particolare Raffaello e Correggio) ed eseguendo lavori a pastello, per lo più repliche di grandi capolavori e ritratti, per la nobiltà e per gli aristocratici viaggiatori del grand tour.
A Parma, nel giugno del 1788, gli giunse da Tolentino l'incarico per la progettazione del teatro della città, detto allora dell'Aquila (oggi Nicola Vaccai).
Stimolato dall'importanza della commissione, trasse ispirazione dai modelli più aggiornati (come i progetti presentati nel 1771 e nel 1775 all'Accademia di belle arti di Parma, rispettivamente da D. Ferrari e C. Morelli, o, ancora, il teatro realizzato nel 1787 a Faenza da G. Pistocchi) e intraprese nuovi viaggi di studio (nel 1790 si recò a Venezia per documentarsi sulle pitture di Tiziano e poi fu di nuovo a Parma e a Roma). In agosto, una serie di ritardi dovuti ai continui ripensamenti dei committenti, alla lentezza dei pagamenti e al conseguente disordine gestionale lo costrinse a recarsi a Tolentino per seguire da vicino il cantiere. Mentre era impegnato nella decorazione pittorica, cadde rovinosamente da un ponteggio e le gravi conseguenze fisiche che ne derivarono (rimase claudicante per il resto della vita) comportarono ulteriori rallentamenti. Sulla volta del teatro dipinse le Grazie e le Muse (oggi nel palazzo comunale) e, sui prospetti dei ventiquattro palchi, realizzò scene mitologiche. Dell'opera del L., dopo il completo rifacimento pittorico operato nel 1881 da L. Fontana, rimangono solo le decorazioni di una stanza attigua al ridotto e nel foyer i dipinti della volta, con scene dionisiache sacrificali, incorniciate da grottesche e mascheroni (1792), e cinque delle decorazioni dei palchi. Le figure dipinte sono il felice risultato degli studi condotti dal L. sui grandi maestri del Rinascimento e rivelano echi diretti degli affreschi romani di Baldassarre Peruzzi eseguiti nella volta della loggia della Galatea alla Farnesina.
Grazie alla fama raggiunta con il teatro di Tolentino (inaugurato ufficialmente il 10 sett. 1797), il L. ottenne dalla città un titolo nobiliare e commissioni analoghe in altri centri marchigiani.
Tra il 1795 e il 1798 curò la ristrutturazione del teatro dell'Aquila di Fermo trasformando il boccascena, originariamente tripartito, in apertura unica e dipingendo la volta e lo scenario (perduti nell'incendio del carnevale del 1826); nel 1801 intervenne nella costruzione del teatro commissionato dalla Società dei Condomini di Treia (Monti) e più tardi, nel 1817, curò l'abbellimento interno del nuovo teatro di Porto San Giorgio (perduto anch'esso).
Nel contesto della grande stagione architettonica teatrale nelle Marche, il L. fu protagonista e innovatore capace di dar corpo alle idee neoclassiche attraverso le invenzioni tipologiche delle scene. Infatti, fin dal 1795, durante il soggiorno milanese per curare i postumi della caduta, il L., per tramite di Bodoni, era entrato in contatto con alcuni dei protagonisti dell'epoca illuminista: C. Bianconi, segretario dell'Accademia di belle arti di Brera; A. Appiani; F. Rosaspina; G. Callani, professore alla Reale Accademia di belle arti di Parma e autore della decorazione plastica della sala delle Cariatidi nel palazzo reale di Milano (distrutta); J. Wilczeck, ministro plenipotenziario imperiale.
Nel 1797, pur avendo espresso a Bodoni i propri timori per l'invasione delle armate francesi, il L. accettò la commissione di un grande dipinto commemorativo del trattato di Tolentino (probabilmente mai realizzato: Casadidio, p. 68). Nel 1800, il L. chiese in sposa la nobile tolentinate Anna Geltrude Dionisi, ma il titolo concessogli nel 1797 dalla magistratura di Tolentino, che non consentiva l'accesso alle cariche pubbliche, non fu ritenuto dalla famiglia della giovane sufficiente a rimuovere la differenza di censo; il L. restò comunque legato alla Dionisi per il resto della vita. Nel giugno del 1803, grazie alla lista di opere da inviare a Parigi compilata da D. Vivant Denon, comprendente le copie degli affreschi della camera della Badessa del Correggio, il L. (sempre grazie all'interessamento di Bodoni e di Rosaspina) ottenne la difficilissima dispensa ecclesiastica per accedere al convento di S. Paolo a Parma al fine di riprodurre le pitture del Correggio a grandezza naturale. Le sue copie a olio e pastello furono ben apprezzate da M. Moreau de Saint-Méry che, in accordo con l'Accademia di Parma, concesse al L. il titolo di accademico consigliere. Anche il papa Pio VII, nel 1804, premiò le riproduzioni con una medaglia di benemerenza, ma nel 1806, a causa della pessima situazione delle finanze dell'ex Ducato di Parma (annesso alla Francia), Saint-Méry venne rimosso e il suo successore, il governatore generale A. Junot, tolse al L. la carica e il connesso assegno, costringendolo a far ritorno in patria, dove, già dal 1807, fu attivo in diverse commissioni per il conte G. Collio di San Severino.
Per lui il L. edificò l'oratorio privato a pianta ottagonale (consacrato il 27 apr. 1807), realizzò pitture per il palazzo in città e, dal 1811 al 1815, lavorò assiduamente alla villa in campagna: un'iscrizione dipinta nell'atrio ricorda che la precedente villa, progettata da Pietro Berrettini da Cortona, rovinò con il terremoto del 1799 e che la nuova costruzione è opera del Lucatelli. L'edificio, a pianta centrale con quattro fronti, ispirato alla palladiana villa Capra di Vicenza (Settembri, p. 14), è curato dal L. in tutti i particolari: dagli arredi del giardino (vasche, panchine, erme, balaustre e cancelli ecc.), agli ornamenti e pitture a finto rilievo degli interni.
Sempre in questi anni il pittore-architetto, oltre esercitare l'attività di insegnante di pittura, condusse lavori a Mogliano, San Severino e Tolentino. Servanzi Collio (1843) cita diversi ritratti di nobili eseguiti a pastello dal L., tra i quali quello di Giovanni Battista Collio. Contemporaneamente, dal 1811 al 1813, progettò l'edificazione e la decorazione della chiesa del Ss. Crocifisso a Mogliano conclusa con la realizzazione di sei tele a olio.
L'interno a tre navate, serenamente neoclassico e luminoso, è scandito ritmicamente da colonne doriche dai fusti scanalati. Su di essi la luce sale verso l'alto per essere catturata e diffusa dalla decorazione a greca che si snoda sulla trabeazione e dai lacunari a croce della volta. Le tele hanno per soggetto la Madonna Addolorata, S. Giovanni Evangelista e quattro Angeli con i simboli della Passione. Le figure, a grandezza naturale, emergono con bel chiaroscuro dal fondo e, poste al limite tra la parete dipinta e lo spazio architettonico, sembrano essere investite dalla luce che proviene dall'ambiente reale. Nei panneggi riaffiorano gli studi condotti sulla statuaria romana ma lo stile, che registra puntuali riferimenti correggeschi e note raffaellesche, rimanda a opere del periodo spagnolo di Mengs, delle quali il L. ebbe probabilmente modo di vedere i bozzetti nello studio romano.
Tra il 1815 e il 1821 curò la ristrutturazione del Monte di pietà a San Severino, nella cui nuova facciata inserì l'antico portale; progettò la chiesa di S. Donato a Colmurano (1820 circa) e la chiesa del monastero delle clarisse a San Severino. Il culmine della sua carriera architettonica fu raggiunto con l'incarico, da parte della Comunità di Tolentino, della ricostruzione della cattedrale di S. Catervo (1820). I lavori, a seguito di critiche feroci, furono tuttavia interrotti dopo l'edificazione delle prime due cappelle laterali e il progetto fu affidato al conte F. Spada di Macerata (Lignini, p. 7; Cornazzani, p. 87). Da tale vicenda il L., ormai anziano, non si riprese e, seppure impegnato nell'attività d'insegnamento in disegno e pittura intrapresa a Tolentino fin dal 1817 (tra i suoi allievi furono E. Chierichetti, G. Latini, E. Pallotta e C. Zitelli), si ritrovò in uno stato economico ai limiti dell'indigenza. Dopo un ultimo viaggio a Roma per cercare di vendere i suoi lavori, tornò a Tolentino.
Qui morì il 4 sett. 1828 e fu seppellito nella chiesa dei minori osservanti di Tolentino. Nel 1851, in occasione del primo centenario della nascita, i suoi resti furono trasferiti nella cattedrale di S. Catervo.
Fonti e Bibl.: A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834, pp. 433-435; S. Servanzi Collio, Lavori eseguiti in Sanseverino da G. L. pittore architetto, Sanseverino 1843; Id., Il nuovo tempio di S. Paolo fuori delle Mura della città di Sanseverino, Macerata 1849; F. Cornazzani, Cenni biografici degli uomini illustri di Mogliano, Fermo 1863, pp. 85-87; 20 lettere di Giambattista Bodoni a G. L., a cura di G. Benadduci, Tolentino 1888; G. Lignini, G. L.: cenni biografici, in G. L. nel I centenario della sua morte, Tolentino 1951; G. Semmoloni, Tolentino. Guida all'arte e alla storia, Tolentino 1988, pp. 24, 35, 110, 112, 114, 122, 124; C. Mossetti, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 768; G. Nepi, Guida di Fermo, Fermo 1990, pp. 126 s.; P. Zampetti, La pittura nelle Marche, IV, Firenze 1991, pp. 322 s.; A. Monti, Tipologie edilizie e scenari urbani nelle Marche in età neoclassica, in Quaderni del bicentenario, II (1996), p. 87; E. Casadidio, Tolentino nell'età franco-napoleonica, ibid., III (1997), pp. 51-73; A. Musiari, Il diario di un'epoca nel carteggio tra G. L. e Giambattista Bodoni, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell'età rivoluzionaria e napoleonica: a proposito del trattato di Tolentino. Atti del Convegno, Tolentino( 1997, Roma 2000, pp. 86-141; A. Boni, Don Ferdinando di Borbone in un inedito ritratto del pittore G. L., in Parma per l'arte, n.s., VII (2001), pp. 81-91; S. Settembri, G. L., 1751-1828: i disegni, le lettere, i cimeli nella Biblioteca Ferretti Brocco. Le opere moglianesi, Mogliano 2001; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani(, III, p. 1751; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 304 (s.v. Locatelli, Giuseppe).