MALAN, Giuseppe
Nacque a San Giovanni (oggi Luserna-San Giovanni), nelle Valli valdesi, il 5 genn. 1810 da Jean Michel, agricoltore, e da Jeanne Lantaret. Dal padre, educatore rigido quanto fermo nella sua fede evangelica, fu affidato a una parrocchia di Angrogna, dove restò fino all'età di 15 anni e dove ricevette una formazione religiosa assai accurata. Poi lo prese con sé uno zio paterno, titolare di una piccola impresa commerciale specializzata nella compravendita di tessuti: adibito alle forniture per l'azienda, il M. cominciò a viaggiare in cerca di mercati (nel 1830 fu inviato in Spagna per l'acquisto di una partita di stoffe del valore di 300.000 franchi). Nel 1837 l'esperienza così accumulata nel ramo finanziario gli permise di assumere la condirezione della fabbrica per la filatura del cotone che lo zio aveva aperto a Pralafera cinque anni prima in società con lo svizzero S. Grainicher e che in pochi anni si sarebbe imposta come "l'opificio più importante" della regione sia per gli alti livelli produttivi e qualitativi sia per numero di addetti (Quazza, p. 73). Nel 1838, in seguito al matrimonio con Caroline Peyrot, il M. si stabilì a Torino; risiedeva nello stesso immobile che ospitava una cappella valdese cui l'esercizio del culto era garantito solo dalla protezione della legazione prussiana. Da allora si impegnò, prima come tesoriere della Tavola valdese, poi come finanziatore in proprio, in un programma di proselitismo inteso a ottenere visibilità e qualche spazio nel Piemonte carloalbertino: la cosa fu raggiunta soltanto con le patenti del 17 febbr. 1848 che estendevano ai valdesi i diritti garantiti dallo statuto concesso pochi giorni prima. Conseguita la libertà di culto, toccò al M. e all'inglese C. Beckwith trovare i fondi per la costruzione delle chiese valdesi; e non raramente i due attinsero alle loro tasche.
La buona prova offerta nella gestione dei complessi rapporti con le autorità dello Stato e la posizione di vertice ottenuta nel 1848 all'interno del sinodo valdese segnalarono il M. come personalità adatta a muoversi nelle istituzioni liberali in rappresentanza di una comunità che, seppure non più discriminata in forza del principio di tolleranza, aveva ancora molto da chiedere sotto il profilo della piena parità giuridica e della difesa dagli abusi di un clericalismo cattolico tuttora forte. Resosi vacante il collegio di Bricherasio, l'elettorato delle Valli concentrò le sue preferenze sul M., che il 2 febbr. 1850 si impose al ballottaggio. Primo deputato di confessione protestante a sedere in Parlamento e a portarvi i temi della libertà di coscienza, il M. mantenne il suo seggio per tre legislature, dalla IV alla VI, riuscendo eletto per l'ultima volta il 15 nov. 1857: in tutto, un decennio, nel corso del quale lo spirito di moderazione e la capacità di mediazione gli guadagnarono la simpatia di C. Cavour, che trovò in lui un elemento disposto a capire quando non era il momento di creare eccessivi problemi al suo governo, anche a costo di suscitare qualche malumore nei propri correligionari, impazienti di conseguire quei miglioramenti normativi che agli occhi del M. richiedevano invece una lenta metabolizzazione da parte dell'ancora troppo chiuso ambiente sabaudo.
Fu quello che avvenne nel 1853, quando i valdesi decisero di acquistare a Genova una chiesa cattolica sconsacrata per farne un luogo di culto (e forse anche un punto d'appoggio per gettare un ponte verso la Toscana, dove pure il protestantesimo era in fase espansiva). L'arcivescovo di Genova, monsignore A. Charvaz, gridò allo scandalo e protestò con il re; Cavour, a sua volta, trovò nel M. un interlocutore attento a sdrammatizzare la questione convincendo i correligionari a rinunciare al progetto: ne derivò lo scisma di alcuni evangelici, tra cui B. Mazzarella e L. De Sanctis, che pretendevano da lui maggiore risolutezza e che, temendo l'assorbimento a opera dei valdesi, trassero dalla vicenda il pretesto per separarsi.
D'altronde quello della propaganda attiva era un terreno delicato, che vedeva spesso interventi restrittivi della magistratura più conservatrice e, soprattutto, alimentando la polemica cattolica metteva a rischio gli equilibri su cui si reggeva la maggioranza di governo. Nel 1854, per esempio, un tentativo di penetrazione confessionale dei valdesi tra le popolazioni rurali della Liguria causò uno sfogo di Cavour contro iniziative che considerava troppo provocatorie: anche in quel caso il M. diede ragione al primo ministro, del quale aveva saputo guadagnarsi la stima con le sue operazioni finanziarie e con la produzione di tessuti (nel 1859 Cavour ordinò l'acquisto di una partita di fustagno per i poveri di Leri e indicò appunto in lui "il miglior fabbricante di questo tipo di stoffa").
Il tema della tutela delle minoranze religiose (e di riflesso della limitazione dei privilegi dei cattolici) fu al centro di molti degli interventi parlamentari del M., che, a differenza dei primi, pronunciati in francese, a partire dal 1851 furono svolti in italiano. L'altra materia cui prestò attenzione - allineandosi di solito alle scelte del governo - fu quella della politica finanziaria e delle misure fiscali, in particolare in relazione alla produzione tessile, a tutela della quale perorò nel maggio 1851 il mantenimento di un forte dazio sulle importazioni dei velluti di cotone. Sul suo ministerialismo non tutti furono d'accordo, e se alla fine della VI legislatura decise di non ricandidarsi fu anche per le critiche di chi pretendeva da lui un atteggiamento più indipendente dagli indirizzi del governo.
In campo imprenditoriale i primi anni Cinquanta furono di espansione per il M. che, collegandosi con ditte inglesi, allargò i suoi interessi al settore ferroviario, sempre però tenendo d'occhio lo sviluppo civile ed economico delle Valli. Alla fine del 1852 fondò la Société anonyme du Chemin de fer de Pignerol, con un capitale di 3 milioni di franchi e, ancora in società con ditte inglesi, avviò un'attività bancaria di sconto, proficua ma rischiosa, al punto che quando nel 1857 i soci inglesi ebbero un dissesto, il M. si trovò esposto personalmente per 500.000 franchi e si salvò solo grazie a ingenti prestiti bancari (uno dei quali ottenuto grazie a una raccomandazione di Cavour).
La successiva ripresa, contraddistinta da un rilancio dell'industria tessile e da una ricerca di nuovi mercati per l'importazione di cotone greggio, fu interrotta bruscamente dalla difficoltà di ricevere forniture dagli Stati Uniti a causa della guerra civile. Incapace di reagire a quest'ultima e grave crisi, che nel 1862 lo costrinse a ricorrere ancora ai prestiti stranieri, il M. assisté al lento declino della fabbrica; all'inizio del 1872 la ditta fu affidata a un cugino, e il M. si limitò a conservare una partecipazione finanziaria. Tornò a occuparsene nel 1875, allorché la famiglia lo incaricò di prepararne la liquidazione per venderla ai conti Mazzonis.
La fine dell'attività imprenditoriale consentì al M., entrato nel 1860 come unico membro laico nella prima commissione per l'evangelizzazione, di mettersi completamente al servizio della Chiesa valdese in lenta ma inarrestabile espansione: ne tenne la contabilità, ne curò i bilanci, ne seguì anche i problemi organizzativi dando pareri sulla selezione dei nuovi pastori (e dicendosi contrario al matrimonio troppo anticipato degli stessi); soprattutto ebbe a cuore la fondazione di nuovi templi e la propagazione del culto. La sua mentalità rimase quella dell'uomo d'affari, ma non fu privo di generosità, e solo ebbe qualche eccesso di animosità polemica verso orientamenti che non coincidevano con l'esigenza da lui sempre affermata di unificare tutte le Chiese protestanti d'Italia; dal punto di vista della devozione, lo animò sempre "un Christianisme sain, large, profond" (Meille, p. 163), alieno da ogni forma di fanatismo.
Il M. morì a Torino il 16 ott. 1886.
Fonti e Bibl.: W. Meille, Un vaudois de la vieille roche. Souvenirs de Joseph M., Turin 1889; Cavour e l'Inghilterra. Carteggio con Emanuele d'Azeglio, a cura della Commissione reale editrice, Bologna 1933, I, pp. 58 s.; C. Cavour, Epistolario, IX, 1852, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, Firenze 1984; XII, 1855, a cura di C. Pischedda - E. Mangosio, ibid. 1990, ad indices; G. Quazza, L'industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, p. 73; V. Vinay, Luigi De Sanctis e il movimento evangelico fra gli Italiani durante il Risorgimento, Torino 1965, ad ind.; Id., Storia dei Valdesi, III, Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Torino 1980, ad ind.; Evangelici in Parlamento (1850-1982), Roma 1999, ad indicem.