MALATESTA (Bastiani, de' Bastiani), Giuseppe
Nacque a L'Aquila, attorno al 1545, da Sebastiano (donde forse deriva l'uso prevalente della forma patronimica Bastiani nelle edizioni delle sue opere).
Nell'ambito letterario il M. compare nel 1576, allorché alcune sue rime trovarono posto in una raccolta di componimenti funebri in onore del conte bresciano Lelio Avogadro; più significativa l'Oratione in morte di mons. illustr.mo cardinal di Trento, principe d'Imperio, edita nel 1580 a Venezia da D. e G.B. Guerra, in cui si presenta come Gioseppe de' Bastiani Malatesti.
La morte del cardinale Cristoforo Madruzzo di Trento era avvenuta nel 1578 a Tivoli, dove il porporato amava soggiornare per le cure termali e per godere dell'amicizia del cardinale Luigi d'Este. La dimestichezza tra questo e il Madruzzo era nata a Ferrara nel dicembre del 1565, in occasione del matrimonio di Alfonso II con Barbara d'Austria; è dunque possibile che il M. fosse presente ai festeggiamenti che accompagnarono l'evento, ma sembra più probabile che egli abbia conosciuto il Madruzzo nella villa d'Este a Tivoli, dove il cardinale Luigi amava circondarsi di amici, uomini di lettere e artisti.
Sicuramente il M. fu ospitato nel 1581 nella fastosa dimora di Tivoli, dove ebbe modo di leggere alla presenza di illustri personaggi quella che sarebbe stata la sua opera più famosa: Della nuova poesia, overo Delle difese del Furioso.
Il trattato, in forma dialogica, porta la data del 1589 e come luogo di stampa indica Verona - "appresso Sebastiano dalle Donne" -, ma la composizione pare debba essere anticipata di alcuni anni, se si può dare credito all'affermazione contenuta nell'incipit dell'opera (p. 3), dove il M., a proposito del suo soggiorno a Tivoli, scrive: "l'anno passato del 1581 [fui] uno de' deputati a quella residenza". Quanto ai suoi rapporti con casa d'Este, essi sono chiaramente espressi nella dedica al duca Alfonso, motivata "per esser io servidore del signor cardinale d'Este, et per l'antica servitù che la famiglia de' Malatesti ha sempre tenuto con la sua serenissima casa", dove il M. allude alla nobile stirpe romagnola, di cui forse era un discendente illegittimo. Il fatto che l'opera sia stata edita solo più tardi, e a Verona, si può spiegare con la necessità di trovare un finanziatore, problema che condizionò tutta la produzione letteraria del M.: in apertura del libro, l'autore precisa che, pur essendo stato composto a Roma "con molto gusto di quella corte", l'occasione di pubblicarlo si presentò solo quando ebbe modo di recarsi nella città scaligera "presso certi gentiluomini".
Il dialogo si finge ambientato a Tivoli, dove, nel corso di una conversazione letteraria, l'abate veneziano Andrea Lippomano accusa l'Ariosto di aver ignorato le unità aristoteliche, al punto che il Furioso non può considerarsi poema, non rientrando compiutamente in uno dei generi letterari definiti dall'antichità (il lirico, il tragico, il comico, l'eroico): un ragionamento volto a sostenere la superiorità del Tasso. La difesa è affidata al padovano Sperone Speroni, in altre occasioni poco incline ad apprezzare la "novità" del poema ariosteo, ma questa volta suo convinto ed efficace difensore nel sottolinearne il sapiente alternarsi della gravitas degli episodi cavallereschi con la levitas dei momenti piacevoli.
Secondo Ramat (p. 29), l'opera del M. conclude il dibattito cinquecentesco sul Furioso, riabilitando l'originalità, la duttilità, l'ingegno dell'autore e quelle bellezze poetiche che a molti erano "parse fuori dell'arte", in quanto ignare del codice aristotelico, ma che invece sanno toccare vertici di straordinaria suggestione e intensità.
Un attacco ancor più vigoroso alla critica antiariostea realizzò il M. alcuni anni dopo, nel 1596, pubblicando a Roma, presso G. Facciotto, un Ragionamento secondo sulla poetica cavalleresca. L'opera - oggi difficilmente reperibile - rivendica i diritti del poema cavalleresco che, fondendo l'elemento lirico con quello epico, risulta superiore ai tradizionali poemi: è un genere nuovo, che si contrappone all'antico e che va accolto quale espressione di libertà artistica, tanto più apprezzabile in quanto il requisito essenziale del poeta consiste nella capacità di non asservirsi a regole e modelli precostituiti. Né si ferma qui il trattato, che porta la sua analisi sino alle estreme conclusioni, giungendo a capovolgere le teorie prevalenti nel XVI secolo e ad anticipare quella rottura degli schemi classici che sarà propria del XVII secolo. Il M., infatti, finisce per sostenere che il poeta deve interpretare la sua epoca con fantasia creatrice, poiché anche nell'arte non vi è eternità.
Una posizione "moderna", dunque, quella del M.; anche se qualche tempo dopo egli avrebbe anteposto al Furioso il Fidamante, poema prevalentemente eroico, di Curzio Gonzaga, adducendone quali meriti peculiari l'aderenza ai classici, i pregi dell'artificio, la corrispondenza ai modelli estetici del tempo. Ma, a questo proposito, va tenuto presente che il M. fu essenzialmente un cortigiano ed ebbe costanti rapporti di servizio con la corte mantovana.
Il M. operava a Roma in favore del duca di Mantova, da cui riceveva regolari compensi, come si rileva dalla conclusione di una sua lettera a Vincenzo I Gonzaga del 12 genn. 1602: "facendole humilissima riverenza del nuovo segno della sua benignità, con la rimessa che ho ricevuto con questo ordinario et riconoscendole io l'obligo che devo". A riprova, il 16 febbraio dello stesso anno Lelio Arrigoni, residente mantovano presso la corte pontificia, scriveva al segretario ducale Annibale Chieppio che, in considerazione della stima di cui il M. godeva presso i Savoia, gli Estensi e molti illustri cardinali, gli sembrava inadeguato il titolo di "molto magnifico" con cui il duca era solito rivolgersi al M. dicendosi "sicuro che l'A. S. ha pensiero d'honorar tutti i servitori suoi et massime della qualità ch'è il sig. Giuseppe, il qual certo merita ogni sorte di rispetto". Ancor più esplicita un'altra lettera al Chieppio del successore dell'Arrigoni, Giovanni Magni, in data 24 febbr. 1607, nella quale il diplomatico riferisce di una istanza rivoltagli dal M. "a voler far ufficio col nome dell'A. S. per haver qualche cosa dalla Santità Sua, havendo anco modeste pretensioni, et desiderando d'esser agiutato con diverse raccomandationi" (queste e altre lettere sono riportate da Putelli, pp. 7-9).
In effetti il M. fu costantemente impegnato a ottenere la protezione di qualche gran signore, ma solo negli ultimi anni della sua vita riuscì a conseguire l'intento. Tentò prima, nell'estate del 1598, di entrare al servizio dei Doria per mezzo della raccomandazione del cardinale Antonio Maria Sauli; quindi, tra il 1606 e il 1608, cercò la protezione dell'inviato spagnolo a Roma, G.F. Pacheco marchese di Vigliena, e poi del suo successore G. Moncada marchese d'Aytona (che gli fece sperare in una pensione annua di 600 ducati), e ancora dell'ambasciatore straordinario presso la Serenissima, Francisco de Castro. A questi personaggi il M. cercava di arrivare attraverso i loro segretari, ma s'illuse e fu illuso molte volte. Il M., infatti, poteva contare solo sulla sua penna, che pose al servizio (non richiesto) della Spagna con due scritti, rimasti inediti, volti a scongiurare un possibile allineamento dei Savoia con la Francia.
Apparentemente equilibrato, il M., pur auspicando un'Italia in grado di governarsi da sé e pur giudicando lodevole ogni tentativo di liberarla dagli stranieri, si affrettava a precisare che le circostanze non consentivano di realizzare tali aspirazioni, per cui occorreva scegliere il male minore, che consisteva nell'accettare l'egemonia spagnola. "Queste idee" osserva Di Tocco (p. 75) "potevano essere combattute, ma erano tuttavia rispettabili: sennonché il M., sgombrato così il terreno, si slanciava poi in un panegirico della dominazione spagnola tanto goffo quanto menzognero, finendo col dire che "essendo oggimai per lungo tempo italianati gli Spagnuoli, non ha l'Italia, quando non possa esser tutta padrona di sé stessa, occasione di permutarli con altri forastieri"".
A questa visione di impronta chiaramente filoispanica può essere ricondotta (benché in termini assai meno caldi) anche l'opera più diffusa del M., e tuttavia rimasta manoscritta: la Relatione historica e politica delle differenze natte tra papa Paolo V e li sigg.ri Venetiani l'anno 1605, uno dei tanti titoli, questo, con i quali è conosciuta tale narrazione dell'interdetto. Va anche detto che una delle copie, conservata presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, definisce il M. "secretario del cardinal Borghese", cioè di Scipione Borghese Caffarelli; ma anche questa notizia, al pari di quella sulla presunta nobiltà del M., non trova riscontro.
La contesa, che ebbe il suo momento più alto nella scomunica lanciata dal papa contro il governo veneto il 17 apr. 1606, coinvolse le maggiori potenze della Cristianità per la sua forte valenza giuridica e ideologica. Il M. tuttavia non si pose il problema delle ragioni che avevano spinto Venezia al duro braccio di ferro con la S. Sede e nessun cenno critico dedicò ai principî ispiratori del giurisdizionalismo. La sua era esclusivamente storia diplomatica, incentrata sulle strategie dei governi, sulle manovre degli ambasciatori, sul carattere e la psicologia dei protagonisti laici ed ecclesiastici.
La proemiale promessa di imparzialità ed esattezza esibita dal M. trova, peraltro, un sostanziale riscontro nel corso dell'opera, come dimostra la folta schiera dei suoi estimatori (tra i quali G. Cozzi); tuttavia, a ben guardare, tutto il senso della narrazione volge a favore della S. Sede. Perché è l'assunto di base del M. a risultare debole, in quanto condizionato da un'ingenuità estranea alle leggi della politica: egli ripete più volte che il deplorevole evento andava risolto sul nascere, in considerazione del fatto che uno Stato cattolico deve riconoscersi figlio della Chiesa romana e quindi rinunciare ad assumere posizioni intransigenti nei suoi confronti. L'opera, che probabilmente tenne conto dell'analoga ricostruzione sarpiana, non dice nulla di nuovo; è una onesta compilazione di fatti e personaggi, ricca di notizie ancor oggi utilmente consultabile per conoscere i particolari di quella vicenda, ma non presenta espliciti giudizi critici, tranne nei confronti della Francia.
La Relatione fu stesa in forma di cronaca mano a mano che si succedevano gli eventi, come dimostra il carteggio intrattenuto dal M. con vari ministri mantovani e savoiardi per conoscere tempestivamente - e fornire a sua volta - i retroscena o i particolari di opzioni politiche e di manovre diplomatiche. Il M. pensava di stamparla a Napoli, in parte per evitare alla S. Sede l'imbarazzo di un'opera scopertamente antifrancese e in parte nella speranza, delusa, di un finanziamento da parte del viceré. Ma non se ne fece nulla.
Anche se va ridimensionato il giudizio, peraltro datato, di Minieri Riccio sul M., definito "tra i migliori poeti volgari del XVII secolo", è tuttavia certo che egli godette di una certa rinomanza, come dimostra l'amicizia con A. Tassoni, che ne caldeggiò la cooptazione nell'Accademia romana degli Umoristi e il 4 febbr. 1609 gli inviò da Modena le sue Considerazioni sopra il Petrarca. È ancora al Tassoni, infine, che si deve la notizia della morte del M., avvenuta il 14 nov. 1610; in una lettera del giorno 15, lunedì, al vescovo modenese Pellegrino Bertacchi, scriveva: "il signor Giuseppe Malatesta morì domenica passata, avendo lasciate imperfette l'Istorie sue". Si allude a una Storia universale a partire dal 1580, per la quale il M. aveva avviato trattative con il segretario del primo ministro di Filippo III, Francisco Gómez de Sandoval, duca di Lerma, onde ottenere il finanziamento della stampa dell'opera, che si presentava come filospagnola, ma l'improvvisa morte del M. vanificò il progetto.
Opere (oltre a quelle citate): Funebri poesie di alcuni pellegrini ingegni dedicate al sepolcro dell'ill.mo conte Lelio Avvogadro, Brescia 1576, pp. 7 s.; Rime e versi in lode di d. Giovanna Castriota Carrafa duchessa di Nocera, Vico Equense 1585, p. 71. Opere mss.: Arch. di Stato di Venezia, Consultori in iure, f. 137: Relatione historica e politica delle differenze natte tra papa paolo V e li sigg.ri Venetiani l'anno 1605(, divisa in libri sei; altra copia, Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 529B (=7817): Historia delle differenze fra Paolo Quinto et li signori Venitiani, di Giuseppe Malatesta secretario del cardinal Borghese. Altre opere manoscritte, nonché la corrispondenza del M., sono conservate presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, per legato di Ascanio Ramazzotti. Tra gli scritti di maggior importanza, ancorché non datati e non sempre ultimati, si possono ricordare quelli riportati nei codici M.5, M.6, M.7: Frammenti originali dell'Istorie delle cose accadute nella Francia sotto li re Arrigo III et Arrigo IV. Dall'anno 1585 di Cristo fin al 1605( (l'opera, cui collaborò nella parte finale il fratello Gabriele, è parzialmente riprodotta anche nei codd. M.2, M.3, M.4); M.8, M.9, M.10: Carteggio del sig. Giuseppe Malatesta concernente per la maggior parte affari publici et materie di Stato (corrispondenza frammista ad appunti, tracce, abbozzi di scritti); G.62, 4: Relatio de statu ditionis pontificiae facta pro oratore regis Hispaniarum; M.19: Che al duca di Savoia non sia conveniente l'apparentarsi con Francia né il partirsi dall'amicizia del re di Spagna. Quanto mal possa il signor duca di Savoia fidarsi de' Francesi et quanto il dominio di Spagnuoli sia di beneficio all'Italia; K.25: Biografia di Clemente VIII (frammenti), pp. 294 s., 315 s.
Fonti e Bibl.: G.M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia(, Venezia 1730-31, I, p. 349; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, I, Venezia 1753, p. 312; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 3, Napoli 1754, pp. 285 s.; G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 538; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 438 s.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 189; G. Capasso, Di una storia manoscritta dell'interdetto di Venezia del XVII secolo, in Giorn. napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, n.s., I (1879), pp. 354-375; A. Nürnberger, Biographische Notizen über G. M., in Theologische Quartalschrift, LXIV (1882), pp. 446-465 (le notizie fornite dall'autore sono ricavate dalla corrispondenza privata del M. e riguardano quasi esclusivamente i suoi ultimi tredici anni di vita); R. Putelli, Il duca Vincenzo I Gonzaga e l'interdetto di Paolo V a Venezia, in Nuovo Arch. veneto, n.s., XXII (1911), pp. 6-9, 605-607, 617; V. Di Tocco, Ideali d'indipendenza in Italia durante la preponderanza spagnuola, Messina 1926, pp. 74 s.; L. von Pastor, Storia dei papi(, IX, Roma 1929, p. 636; R. Ramat, La critica ariostesca dal secolo XVI ad oggi, Firenze 1954, pp. 29-32; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 39 s., 97, 100, 108; P. Puliatti, Per l'edizione dei "Pensieri" del Tassoni, in Studi secenteschi, XVII (1976), pp. 71 s.; R. Rinaldi, Umanesimo e Rinascimento, in Storia della civiltà letteraria italiana, dir. da Giorgio Bàrberi Squarotti, II, 2, Torino 1993, p. 1456; G. Benzoni, Gonzaga, Scipione, in Diz. biogr. degli Italiani, LVII, Roma 2001, p. 850.