MANFREDI, Giuseppe
Nacque il 17 marzo 1828 a Cortemaggiore, nel Piacentino, da Domenico, cassiere degli stabilimenti di beneficenza, e da Paolina Fogliazzi. Compiuti i primi studi nel paese natio, passò poi a Piacenza, dove frequentò il liceo di S. Pietro, retto dai gesuiti, e quindi la facoltà di giurisprudenza, che era stata istituita da Maria Luigia nel 1831. Fin dal 1846 cominciò inoltre a fare pratica legale presso lo studio dell'avvocato P. Gioia, che gli fu maestro di diritto e al tempo stesso ispiratore di sentimenti liberali.
Nel biennio 1848-49 il M. condivise il fervore dei circoli patriottici piacentini e collaborò a un giornale di orientamento democratico, Il Tribuno del popolo, che si pubblicò dal 2 maggio al 29 luglio 1848. Alcuni suoi articoli apparvero anche in opuscolo e contribuirono ad animare il dibattito politico locale. Nei primi di essi (Cenni politici di Giuseppe Manfredi studente in legge, Piacenza 1848; Il giovane popolano al suo "Tribuno", ibid. 1848) egli si dichiarò a favore del principio della sovranità popolare ("non sussistono i governi se non pel diritto del popolo di farli sussistere") e di una monarchia costituzionale che fosse rispettosa dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino. Convinto però che il popolo italiano fosse ancora in uno stato di arretratezza e impreparato a recepire le nuove forme di governo, egli concludeva i suoi scritti auspicando l'instaurazione di una sorta di dittatura temporanea da affidare alla guida di V. Gioberti. Da Gioberti, peraltro, lo divideva l'avversione per ogni ipotesi federalista e il fermo convincimento che il nuovo Stato italiano dovesse essere unitario.
In altra sede il M. espresse, poi, una vena giovanile di giacobinismo e di anticlericalismo, presto superata, che lo portò a sostenere la necessità dell'abolizione delle corporazioni religiose e dell'incameramento dei beni ecclesiastici (cfr. Opuscolo di Giuseppe Manfredi sulle corporazioni religiose e sui possedimenti della Chiesa in proposito di quanto scrisse il prete P. Foresti, Piacenza 1848).
Il 5 sett. 1849 il M. conseguì la laurea in giurisprudenza a Parma e iniziò l'attività forense. Tre anni dopo, il 27 nov. 1852, sposò Paolina Giuditta Bertani, da cui ebbe sei figli: Filippo, Clara, Vittorio, Manfredo Emanuele, Ernestino e Leopoldo. Dopo aver ottenuto nel novembre 1854 un primo incarico di insegnamento (diritto amministrativo ed economia politica) presso la facoltà piacentina, nel maggio 1855 divenne titolare della cattedra di diritto civile, che tenne fino ai moti politici del 1859. Nel frattempo continuò a coltivare i propri ideali liberali e patriottici, mantenendo contatti anche con gli esuli che erano fuggiti nel Regno di Sardegna. Assiduo corrispondente di G. La Farina, nel 1857 fu tra i promotori di un comitato insurrezionale piacentino, che poi si trasformò nel comitato piacentino della Società nazionale, di cui divenne presidente.
Dopo lo scoppio della seconda guerra di indipendenza, nel maggio 1859, fu colpito da un mandato di arresto del comando militare austriaco per la sua attività rivoluzionaria e costretto a riparare in Piemonte. Ma la sua assenza da Piacenza fu di breve durata: ritiratesi definitivamente le truppe austriache, il 10 giugno 1859 il M. fu eletto membro di una commissione di governo, insieme con G. Mischi e F. Gavardi, che guidò la città fino all'arrivo del commissario del Regno di Sardegna, il conte D. Pallieri. Questi, tuttavia, fu ben presto costretto ad abbandonare il Ducato in conseguenza dell'armistizio di Villafranca, e il M., che nel frattempo si era visto assegnare la direzione dell'Interno, l'8 ag. 1859 assunse perciò la carica di governatore provvisorio.
In tale veste egli avviò un'intensa opera di governo: anzitutto bandì il plebiscito per l'annessione al Regno di Sardegna, quindi promosse un prestito volontario per sostenere le finanze dello Stato, rafforzò la guardia nazionale, alleggerì la pressione fiscale sui cittadini con una più equa distribuzione dei tributi, stanziò somme considerevoli per i lavori pubblici e per la costruzione di case, istituì nuove cattedre universitarie. Ma la decisione più importante, maturata appena sei giorni dopo la sua nomina (il 14 ag. 1859), fu quella di chiedere l'annessione di Parma e Piacenza alle Province modenesi, cedendo i suoi poteri al dittatore L.C. Farini che già reggeva questi territori. Il M. - cui Farini delegò poi la gestione degli affari amministrativi, riservando per sé il potere politico e militare - era convinto che ciò avrebbe indotto ad analoghe decisioni anche le Legazioni pontificie e la Toscana, dando così definitivo impulso al processo di unificazione dell'Italia.
Nel settembre 1859 egli fu eletto nell'Assemblea dei rappresentanti del popolo che, riunitasi a Parma, votò all'unanimità la decadenza della dinastia borbonica dal dominio degli Stati parmensi e l'annessione di essi al Regno di Sardegna (poi sancita ufficialmente dai plebisciti dell'11 e 12 marzo 1860). Nei mesi seguenti ricoprì ancora cariche ministeriali nel governo Farini: dapprima come responsabile della Pubblica Istruzione, quindi, dal dicembre 1859, dopo la soppressione dei governi separati delle Province emiliane, come segretario generale del dicastero di Grazia e giustizia del nuovo governo unitario emiliano. All'indomani dei plebisciti, il 29 marzo 1860, fu poi eletto deputato al Parlamento subalpino in rappresentanza del collegio di Monticelli d'Ongina, che comprendeva anche Cortemaggiore. Schierato nelle file ministeriali, restò allineato sulle posizioni di La Farina, che sostituì nella guida della Società nazionale allorché questi, nel luglio 1860, mentre era in corso la spedizione dei Mille, dovette recarsi in Sicilia. Conclusasi nel dicembre 1860 quella breve legislatura, che non lo vide troppo assiduo ai lavori parlamentari, il M. decise però di non ripresentare la propria candidatura e abbandonò anche la professione forense per dedicarsi alla carriera di magistrato.
Assegnato nel febbraio 1861 alla corte d'appello di Casale Monferrato con la funzione di sostituto procuratore generale, nel giugno 1862 fu promosso e trasferito a Perugia, dove dal 1865 al 1868 ricoprì la carica di avvocato generale della locale sezione di corte d'appello. Qui, fra l'altro, intrecciò una cordiale relazione con il vescovo di Perugia, cardinale G. Pecci, il futuro pontefice Leone XIII, che si sarebbe conservata nel tempo, contribuendo a rafforzare in lui la convinzione che fosse opportuna una conciliazione fra Stato e Chiesa. Il 5 apr. 1868 il M. fu mandato a reggere la procura generale di Catania, da cui nel settembre 1869 passò a Bologna, dove rimase oltre sei anni, fino alla nomina a primo presidente di corte d'appello. Nel 1874 si segnalò per la sentenza sugli arresti di villa Ruffi, che lo vide chiedere per tutti gli imputati - accusati dalle autorità governative di aver preparato un moto insurrezionale di matrice repubblicana e internazionalista - il "non luogo a procedere per insufficienza d'indizi". Tale sentenza fu apprezzata da numerosi esponenti della Sinistra costituzionale che il 18 marzo 1876 subentrò alla Destra nel governo del Paese. Fra di loro figurava il nuovo ministro di Grazia e giustizia P.S. Mancini, che già il 21 maggio 1876 conferì al M. la carica di procuratore generale di Roma, proponendolo poco dopo per la nomina a senatore, avvenuta il 16 nov. 1876.
Nella veste di procuratore generale di Roma, fra l'altro, il 20 dic. 1879 ebbe a redigere le conclusioni favorevoli a G. Garibaldi nella causa da questo intentata per ottenere lo scioglimento del matrimonio, "rato e non consumato", che aveva contratto nel 1860 con Giuseppina Raimondi. Conclusioni, accolte dalla corte d'appello, che consentirono a Garibaldi nel gennaio 1880 di sposare con rito civile Francesca Armosino.
Il 2 genn. 1881 il M. raggiunse l'apice della carriera di magistrato con la nomina a procuratore generale presso la Corte di cassazione di Firenze, carica che conservò fino alla messa a riposo per limiti di età il 31 dic. 1907. A Firenze il 2 ag. 1890 il M., che era rimasto vedovo nell'aprile 1877, sposò in seconde nozze Maria Carmela Giannerini, da cui ebbe altri quattro figli: Corrado, Marcello, Anna e Luisa. In questa fase della sua vita l'attività di magistrato si intrecciò con quella di senatore e sovente fu chiamato a riversare le sue competenze giuridiche nell'ambito politico: nel 1905, per esempio, fu membro autorevole della commissione parlamentare d'inchiesta sulla Marina, mentre nel 1907 presiedette l'Alta Corte di giustizia nel processo contro N. Nasi, deputato ed ex ministro della Pubblica Istruzione, protagonista di uno fra i più importanti casi giudiziari dell'Italia giolittiana.
Divenuto ormai il decano del Senato, il 28 dic. 1907 fu eletto alla carica di vicepresidente della Camera alta e il 20 marzo 1908 subentrò a T. Canonico in quella di presidente, che avrebbe tenuto per la XXII, XXIII e XXIV legislatura fino alla morte.
In tale ruolo si segnalò per alcuni importanti discorsi, come quello pronunciato l'11 genn. 1909, dopo il terremoto calabro-siculo, per incitare governo e Parlamento a varare un efficace piano di soccorsi alle popolazioni colpite, o quelli del marzo 1909 e aprile 1910, nei quali difese le prerogative del Senato di fronte a troppo radicali propositi di riforma. Altri significativi interventi furono quelli tenuti in occasione della campagna di Libia (22 e 24 febbr. 1912), per l'inaugurazione dei lavori della XXIV legislatura (29 nov. 1913), allorché auspicò il varo di una legislazione sociale più attenta agli interessi delle classi popolari, o durante alcune fasi drammatiche della prima guerra mondiale: il 25 ottobre e il 14 nov. 1917, prima e dopo Caporetto, e il 22 giugno 1918, per la vittoria sul Piave, in quello che fu il suo ultimo discorso al Senato.
Il M. morì a Roma il 6 nov. 1918, due giorni dopo la fine della Grande Guerra. Vittorio Emanuele III, riconoscendone gli alti meriti, gli aveva conferito nel 1908 il titolo di cavaliere dell'Ordine supremo della Ss. Annunziata e nel 1911 quello nobiliare di conte.
Tra le sue opere, oltre a quelle già citate e ai numerosi discorsi e resoconti scritti nella sua carriera di magistrato, di cui si omette l'indicazione, si veda Elogio di Giuseppe Bruzzi (Piacenza 1850).
Fonti e Bibl.: Ampi riferimenti si trovano nella Bibliografia generale delle antiche province parmensi, a cura di Felice da Mareto, II, Soggetti, Parma 1974, pp. 645 s.; fra i contributi più rilevanti cfr. A. Martini, G. M. presidente del Senato italiano, in Nuova Antologia, 16 nov. 1910, pp. 284-297; G. M., in Boll. stor. piacentino, XIII (1918), pp. 81-91, 138-151; P. Boselli, Commemorazione di G. M., Roma 1918; S. Fermi - E. Ottolenghi, G. M. patriota e magistrato piacentino (1828-1918), Piacenza 1927 (con ampia antologia di scritti e discorsi, anche inediti); F. Picco, Nel primo centenario della nascita di G. M., in Boll. stor. piacentino, XXIII (1928), pp. 49-57; G.S. Manfredi, G. M., in Diz. del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, III, Milano 1933, pp. 464 s.; E. Ottolenghi, Storia di Piacenza, IV, Dall'anno 1848 all'anno 1918, Piacenza 1947, passim; G. Forlini, G. M. anima del 1859, in Piacenza 1859, Piacenza 1959, pp. 25-29; Il cinquantenario della morte di G. M., in Boll. stor. piacentino, LXIII (1968), pp. 131-133; C. Sforza Fogliani, Scritti politici giovanili di G. M., in Clio, V (1969), pp. 100-104; E. Nicolardi, G. M. patriota, Piacenza 1970; E. Nasalli Rocca, G. M. nel cinquantenario della morte, in Da Roma capitale a Vittorio Veneto: studi di storia risorgimentale, Piacenza 1971, pp. 181-190; M. G. apostolo del Risorgimento, in E.F. Fiorentini, Personaggi piacentini dell'ultimo secolo, Piacenza 1972, pp. 59-61; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, p. 196; Storia di Piacenza, V, L'Ottocento, Piacenza 1980, ad ind.; C. Ceccuti, Dalla crisi di fine secolo a Giolitti, in I presidenti del Senato, Roma 1989, pp. 157-163 (e nota biografica, p. 269); C.E. Manfredi, G. M., in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia, 1861-1988, III, 1870-1874. Il periodo della Destra da Lanza a Minghetti, Milano 1989, pp. 376 s.; N. Antonetti, Gli invalidi della costituzione. Il Senato del Regno, 1848-1924, Roma-Bari 1992, p. 180; M.E. Lanciotti, La riforma impossibile. Idee, discussioni e progetti sulla modifica del Senato regio e vitalizio (1848-1922), Bologna 1993, pp. 115, 249, 315.