MARCHIORI, Giuseppe
Nacque, ottavo di undici figli, a Sant'Urbano (piccolo centro sulla sponda settentrionale del Po a pochi chilometri da Este), il 5 febbr. 1847, da Giacomo e Maria Lorenzoni.
La famiglia, tradizionalmente dedita al commercio, era agiata e bene inserita nell'élite politica risorgimentale: il padre, possidente, fu presidente di un consorzio di bonifica; il cugino Domenico fu deputato dopo l'unione del Veneto all'Italia nel 1866.
Il M. compì gli studi classici a Venezia presso il liceo S. Caterina e, nel 1865, si iscrisse alla facoltà di matematica dell'Università di Padova. Allo scoppio della terza guerra d'indipendenza, passò il confine e prese parte alla vittoriosa campagna del Trentino con le truppe di Garibaldi. La partecipazione alla guerra, nella quale ebbe come compagni d'arme G.B. Pirelli, F. Brioschi e G. Colombo, lo introdusse nel circolo dei patrioti, destinato ad assumere peso politico e di governo negli anni seguenti. Entrò poi all'Istituto tecnico superiore di Milano (il futuro Politecnico), diretto da Brioschi, dove studiò ingegneria idraulica per due anni con buoni risultati, senza però, a quanto pare, conseguire la laurea. "Questa scuola - osserva R.A. Webster - divenne il simbolo vivente dell'operosità e della modernità di vedute dell'intera comunità cittadina" (L'imperialismo industriale italiano, 1908-1915. Studio sul prefascismo, Torino 1974, p. 27).
Il M. iniziò la carriera politica a Lendinara, di cui fu consigliere comunale, per assumere poi la carica di presidente della Deputazione provinciale di Rovigo. In tali vesti promosse la creazione della locale cattedra ambulante di agricoltura, organizzò il soccorso agli alluvionati dell'inondazione dell'Adige sui territori polesani (settembre 1882), favorì la costruzione delle linee ferroviarie Rovigo-Legnago e Rovigo-Adria.
Nel formulare le varie proposte di intervento, il M. si valse ampiamente della propria cultura tecnica e la sua vicenda politico-intellettuale può ritenersi emblematica del ruolo che, nella pianura Padana, l'ingegneria idraulica svolse come elemento di raccordo fra proprietà terriera e governo del territorio, fra privato e pubblico, in continuità con una tradizione politica risalente al Rinascimento.
La carriera parlamentare e di governo del M., intrecciata con quella di S. Sonnino, del quale era amico e sodale, si svolse fra il 1880 e il 1892. Eletto deputato a Lendinara nel 1880, a Rovigo nel 1882, nel collegio di Udine II nel 1886 (si dimise il 31 luglio 1887 in seguito alla nomina a segretario generale del ministero del Lavori pubblici) e nel 1890, il M. si interessò di strade, ferrovie, porti, bonifiche, mostrando una perfetta padronanza dei nessi esistenti fra il lato costruttivo e il lato finanziario dei lavori pubblici. Fra i primi progetti di legge sui quali riferì, ricordiamo quello sulla bonifica dell'Agro romano, del 1882. La relazione del M. mostra chiaramente l'orientamento politico di fondo dell'autore, che sostenne la necessità di "dare alla coercizione la minore estensione possibile, onde non offendere, più di quello che sia d'uopo, i diritti inerenti alla proprietà" (Atti parlamentari, Camera dei deputati, XIV legislatura, 1ª sessione, Documenti, n. 155 A, 15 giugno 1882, p. 2). Una netta difesa del diritto di proprietà, che si sostanziò nella proposta di rinvio sine die della "bonifica agraria", cioè della riforma agraria.
Per effetto dell'alleanza fra la Destra di A. Salandra e di Sonnino e la Sinistra del presidente del Consiglio A. Depretis, il M. divenne segretario generale del ministero delle Finanze nel luglio 1885, con A. Magliani ministro, carica che mantenne fino al giugno 1886. Nell'agosto 1887, quando la guida del governo passò a Crispi, il M. fu nominato segretario generale (sottosegretario di Stato dal marzo 1888) del ministero dei Lavori pubblici, con Saracco ministro: tenne il posto fino al marzo 1889. Nell'aprile del 1891 divenne membro della Commissione per l'esecuzione della legge di abolizione del corso forzoso, varata nel 1881. Poiché tutte le principali questioni monetarie e bancarie passavano per tale commissione, la partecipazione del M. fu propedeutica alla carica che egli avrebbe assunto poco dopo nella Banca d'Italia. Alle elezioni del 6 nov. 1892, che videro il successo di G. Giolitti, il M. non fu rieletto.
Si dedicò allora completamente all'attività imprenditoriale. Nel maggio 1890 era stato nominato consigliere di amministrazione, e poi in agosto vicepresidente, di una fra le maggiori aziende edili italiane, la Società veneta per imprese e costruzioni di Padova, ch'era stata investita dalla crisi edilizia alla fine degli anni Ottanta. Impegnatosi a fondo per il risanamento dell'impresa, il M. venne eletto presidente nel marzo 1893 in sostituzione di S. Breda.
Contemporaneamente approdava in Parlamento il disegno di legge per la riforma dell'emissione monetaria, che sarebbe divenuto legge nell'agosto 1893. La riforma di Giolitti, che istituì la Banca d'Italia, rappresentava un compromesso fra rinnovamento e conservazione, perché il nuovo organismo veniva costruito sulle fondamenta, e con i capitali, dei vecchi istituti: Banca nazionale, Banca nazionale toscana, Banca toscana di credito. Sonnino aveva invece sostenuto la tesi della banca di emissione "nuova", senza relazioni con i vecchi istituti responsabili di eccessivi immobilizzi e in qualche caso di gravi violazioni di legge. Ma fu proprio Sonnino a dover gestire la riforma. Infatti, dopo le dimissioni di Giolitti, nel novembre 1893, egli ricoprì la carica di ministro delle Finanze e del Tesoro nel successivo governo Crispi.
Sonnino riteneva che il vecchio gruppo dirigente della Banca d'Italia, in gran parte genovese, avesse dimostrato di possedere una visione troppo privatistica dell'istituto di emissione, e andasse pertanto sostituito. Dimessosi il direttore generale G. Grillo - la carica di governatore non esisteva: sarebbe stata creata nel 1928 -, egli impose perciò la sua scelta per la successione: il M. assunse la direzione generale (25 febbr. 1894) e il livornese V. De Rossi divenne presidente del consiglio superiore.
Quando il M. iniziò il suo mandato, il momento era drammatico. La lira era caduta all'85 per cento del suo valore nominale, mentre i depositanti cercavano di ritirare i loro denari dalle banche; in Sicilia e in Lunigiana vigeva lo stato d'assedio. Di fronte al nuovo direttore generale si posero subito due problemi. In primo luogo quello della natura della Banca, se dovesse essere un ente privato concessionario del servizio di emissione, come risultava formalmente dallo statuto, oppure un ente orientato all'interesse pubblico; in secondo luogo se il comando effettivo spettasse agli azionisti (assemblea e consiglio superiore) o alla direzione generale.
Il M. era un patriota della Destra storica, erede di Cavour, ben consapevole del ruolo pubblico della Banca, ma al tempo stesso non era insensibile ai diritti degli azionisti proprietari, la cui difesa era sempre stata una bandiera della Destra. Questa intima contraddizione (radicata in una contraddizione politica più ampia) segnò senza dubbio il suo mandato, e fu all'origine di una tensione psicologica in cui deve essere ricercata la causa principale della morte prematura del Marchiori. I rappresentanti degli azionisti, che pure avevano subito la nomina del direttore generale, conservavano relazioni importanti, e soprattutto poteri per la gestione monetaria: in primo luogo la manovra del tasso di sconto, che era di competenza del consiglio e che essi intendevano improntare alla massimizzazione del profitto. Lo Stato proponeva invece alla Banca una costellazione di obiettivi pubblici, fra cui primeggiavano la stabilità finanziaria, la difesa del cambio, il sostegno alla produzione: in primo piano si poneva la questione dell'autonomia della Banca da interessi privati.
Nell'autunno del 1894, su sollecitazione di Sonnino, che voleva dare un segno tangibile del superamento della crisi finanziaria, il M. vinse la resistenza del consiglio superiore e ottenne una riduzione del tasso ufficiale dal 6 al 5 per cento. Al nuovo direttore generale non sfuggiva la necessità per la Banca di coltivare l'efficienza e di rafforzarsi patrimonialmente, ma egli vedeva nel profitto soltanto uno dei fattori del risanamento, ed era più propenso alla sua accumulazione che alla distribuzione.
La gestione monetaria dell'epoca va inquadrata in un contesto di non adesione al gold standard. La scelta di non aderire, esplicitata il 21 febbr. 1894 con la restaurazione del corso forzoso, era ampiamente condivisa: il costo di riconquistare la vecchia parità e di rispettare quelle regole del gioco sarebbe stato proibitivo per un Paese debole come l'Italia. Dalle stesse parole del M. si evince l'esistenza di due partiti estremi in campo monetario, ai quali egli si opponeva: uno che affermava l'isolamento dell'Italia, l'altro che vedeva il Paese già sostanzialmente integrato nel sistema mondiale. Ai primi, i quali ritenevano che il tasso di sconto potesse essere manovrato puntando unicamente al sostegno della produzione (una Sinistra keynesiana ante litteram), il M. rispondeva indicando gli effetti evidenti delle condizioni monetarie sui movimenti di capitali. D'altra parte egli contrastava chi avrebbe voluto manovrare attivamente per attrarre oro dall'estero, perché in quel caso i tassi avrebbero dovuto raggiungere "altezze assolutamente incomportevoli per il commercio e le industrie del paese" (Banca d'Italia, Adunanza generale ordinaria degli azionisti, Roma 1900, p. 26). Il M. si tenne su una via media. La lira ebbe un buon recupero nella seconda parte del 1894 e nel 1895: il franco francese passò da 1,15 a 1,05 lire. Nel quinquennio successivo non vi furono ulteriori progressi: i prezzi al consumo rimasero stabili e la ripresa dell'economia, sia pur travagliata, si manifestò a partire dal 1896.
Un terreno di contrasto fra il M. e l'esecutivo fu quello della discrezionalità nell'uso degli strumenti operativi della Banca: in un primo tempo il governo controllò rigidamente le operazioni; in seguito iniziò a concedere quell'autonomia operativa necessaria proprio per perseguire gli obiettivi indicati dal potere politico. Fra i principali risultati conseguiti dal M. in questo campo va menzionata la facoltà, ottenuta nel 1895, di praticare un tasso di sconto ridotto per le operazioni di prim'ordine: un importante strumento di selezione della clientela e di contatto con il mercato.
In campo organizzativo il direttore generale ottenne risultati notevoli. Furono velocemente metabolizzati gli effetti della fusione, mentre si procedette con energia nel campo dello smobilizzo delle partite non conformi alla legge. Nel dicembre 1894 la Banca assunse, a compenso dell'onere accollatosi per la liquidazione della Banca romana, la tesoreria dello Stato in tutte le province del Regno, il che le permise di rafforzarsi entrando in contatto con nuova clientela. Nel 1899 si pose fine al regime collegiale della direzione, previsto nello statuto originario, e per conseguenza si rafforzò la presa del direttore generale sulla struttura.
In quell'anno alcuni membri del consiglio superiore, stanchi della politica della lesina, si mobilitarono per ottenere una applicazione letterale dello statuto, e quindi un maggior peso del consiglio nelle decisioni operative. Il M. da una parte contrastò la fronda interna, dall'altra si ritenne in dovere di mostrare energia contro il governo: di qui una serie di controversie legali, basate sull'interpretazione della legge bancaria, la cui esposizione occupò buona parte dell'ultima relazione letta agli azionisti nel marzo del 1900.
Nel mezzo di questa crisi, il M. morì a Roma l'11 nov. 1900.
Il M. avviò e condusse a buon punto il risanamento economico della Banca, estese la sua autonomia operativa, affermò il principio di una banca di emissione pubblica, solo residualmente pronta a soddisfare le pur legittime aspirazioni degli azionisti. Egli dissodò un terreno che sarebbe stato poi coltivato dal suo successore B. Stringher, il quale avrebbe conferito alla banca centrale una posizione di preminenza nella dialettica istituzionale italiana.
Unito in matrimonio con Amina Bassani, ebbe due figli: Gastone e Rosina. La cittadinanza di Lendinara volle erigergli un monumento, che fu realizzato dallo scultore G. Monteverde.
Fonti e Bibl.: Sant'Urbano, Archivio parrocchiale, Battesimi, 1847; Banca d'Italia, Guida all'Archivio storico, Roma 1993, ad nomen; C. Baccaglini, Commemorazione di G. M., Rovigo 1901; M. Cavriani - B. Rigobello, G. M., in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia 1861-1988, a cura di P. Buccomino et al., V, La Sinistra al potere, Milano 1989, pp. 573 s.; una più ampia trattazione della vita e dell'opera del M. in A. Gigliobianco, Via Nazionale. Banca d'Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma 2006, pp. 58-73; si vedano inoltre S. Sonnino, Diario, I, 1866-1912, a cura di B.F. Brown, Bari 1972, p. 279; Giolitti e la nascita della Banca d'Italia nel 1893, a cura di G. Negri, Roma-Bari 1989, pp. 74-80, 101; La Banca d'Italia dal 1894 al 1913, a cura di F. Bonelli, Roma-Bari 1991, ad ind.; M. Bocci, Costruttori di città: società per azioni e Stato nell'Italia postunitaria, dissertazione, Università degli studi di Perugia, 1997 (sul M. imprenditore e sui problemi dell'edilizia del tempo); S. Cardarelli, Sonnino, il Tesoro e la Banca d'Italia (1893-1896), in Sidney Sonnino e il suo tempo. Atti del Convegno, San Casciano-Montespertoli… 1997, a cura di P.L. Ballini, Firenze 2000, pp. 279-309; V. Desario, G. M. e la Banca d'Italia, in Documenti. Banca d'Italia, dicembre 2000, n. 690; E. Cerrito - A. Gigliobianco, Normes, comportements, groupes dirigeants. Problèmes de la construction de l'autorité monétaire en Italie (1880-1907), in Politiques et pratiques des banques d'émission en Europe (XVIIe-XXe siècle), diretta da O. Feiertag - M. Margairaz, Paris 2003, pp. 82-124.