MARCORA, Giuseppe
– Nacque a Milano il 14 ott. 1841 da Giuseppe e da Paolina Civelli, terzo di cinque figli. Il padre, che combatté nelle Cinque giornate, era un maestro assai stimato in città; insegnò per oltre trent’anni all’orfanotrofio civico e tenne un convitto familiare nel quale furono educati anche i suoi figli, fino al ginnasio, secondo ideali nazionali e liberali. Gli studi del M. continuarono nei licei milanesi di Porta Nuova e poi di S. Alessandro, da cui si allontanò nel marzo 1859 munito di una commendatizia di C. Correnti per raggiungere i Cacciatori delle Alpi a Savigliano e ricevervi l’addestramento militare. Fu arruolato nel 2° reggimento, comandato da G. Medici, e combatté nella seconda guerra d’indipendenza a Varese, San Fermo, Rezzato.
Dopo il congedo, nel novembre 1859, si iscrisse a Pavia alla facoltà di giurisprudenza. Anche se si sentiva maggiormente portato per la medicina, già da allora aveva maturato la convinzione che gli studi legali fossero il viatico migliore per impegnarsi in politica in uno Stato costituzionale. Lo studio procedette però in modo necessariamente disordinato; già nella primavera del 1860 il M. radunò un gruppo di 187 giovani volontari pavesi con i quali si aggregò alla spedizione Medici per la Sicilia, combattendo quindi a Milazzo e poi al Volturno. In quella campagna ebbe modo di approfondire la conoscenza di G. Garibaldi, di conoscere F. Crispi, di venire iniziato alla massoneria di rito scozzese a Palermo, e anche di ottenere una laurea in giurisprudenza all’Università di Napoli, dove allora si assegnavano i titoli con un unico esame complessivo. Nel dicembre 1860 riprese comunque gli studi a Pavia, risiedendo al collegio Ghislieri; ma la sua attenzione era soprattutto concentrata sulla formazione politica che riceveva in casa Cairoli (dove conobbe A. Bertani e M. Quadrio), e sull’attività del Circolo democratico degli studenti, da lui fondato nel 1862, mentre nelle frequenti visite a Lugano conobbe G. Mazzini, C. Cattaneo, A. Mario, V. Brusco Onnis, A. Saffi.
Nel 1863 si laureò in giurisprudenza a Pavia, discutendo una tesi intitolata La teoria dello Stato. Cenni, che aveva preparato sotto la supervisione del professore di filosofia del diritto A. Nova e che pubblicò a Milano in quello stesso anno. Il lavoro rimase anche l’unico scritto teorico del M.: autori di riferimento erano il filosofo tedesco F.A. Trendelenburg e soprattutto G. Romagnosi, del quale si riprendeva il principio di nazionalità come origine dello Stato. Su quella base il M. teorizzava lo Stato nazionale come un organismo collettivo che «congiunge naturalmente ed essenzialmente l’individuo all’umanità intera» (ibid., p. 18), concepita come un’associazione di nazioni libere e uguali che vivono in pace. Più che sul piano teorico la dissertazione aveva una certa originalità sotto il profilo politico, quando, distaccandosi dagli autori ricordati, il M. esprimeva un giudizio netto sull’esistenza di una forma ottima per il reggimento dello Stato, quella «democratico-pura», l’unica che consentisse la manifestazione dinamica della volontà comune, cioè della coscienza nazionale. Attraverso la critica ai privilegi tipici della monarchia costituzionale e dei suoi istituti (Senato non elettivo, fedeltà regia dell’esercito, ecc.), egli rivelava poi, tra le righe, la sua propensione repubblicana, estendendo l’argomentazione con aperture in favore di un ordinamento regionale, ritenuto non contrario all’unità della nazione.
Approdato nella cerchia mazziniana, prese a collaborare al giornale L’Unità italiana e partecipò al comitato d’azione che organizzò la fallita insurrezione del Trentino nel 1864. Due anni dopo, allo scoppio della terza guerra d’indipendenza, dapprima si espresse con intransigenza repubblicana contro una partecipazione incondizionata dei volontari alla guerra regia, ma poi si arruolò nei garibaldini e combatté al monte Suello e in Val di Ledro, dove si guadagnò una medaglia d’argento al valore. Operò inoltre come collegamento tra Garibaldi e Mazzini, appoggiando risolutamente il primo nella sua obbedienza alla monarchia sabauda e osteggiando i propositi del secondo di fomentare un’insurrezione dopo l’armistizio di Cormons (12 ag. 1866); in quello stesso mese fu congedato con il grado di luogotenente colonnello e la pensione di guerra.
Nel dicembre 1865, intanto, aveva conseguito l’abilitazione all’esercizio dell’avvocatura e dopo il congedo militare si impiegò presso lo zio G. Civelli, importante tipografo ed editore di giornali democratici, come amministratore e legale dell’azienda, ma all’occorrenza anche come correttore di bozze. L’impiego, che serviva a dare al M. una stabile fonte di guadagno (lo avrebbe mantenuto fino al 1898), fu anche un utile viatico alla libera professione. Con le relazioni acquisite nell’ambito dell’editoria si sarebbe fatto un buon nome come difensore di giornalisti, editori e stampatori per reati di diffamazione e più in generale come legale esperto in questioni editoriali.
Difese soprattutto, in svariate circostanze. l’Unità italiana, spesso in associazione con l’esperto mazziniano genovese G. Carcassi, e decine di altri giornali e giornalisti di ambito democratico. Fu, inoltre, avvocato di Mazzini per il recupero dei diritti delle sue opere complete che l’editore aveva cessato di pubblicare (1869), rappresentò Garibaldi per analoga questione relativa al suo romanzo Cantoni il volontario (1870); in associazione con P.S. Mancini, difese Crispi nella causa contro l’editore Treves e Ausonio Franchi per la pubblicazione dell’Epistolario di G. La Farina (1869). L’abilità professionale e la grande disponibilità ne fecero presto un avvocato reputato. L’entusiasmo militante nella difesa penale di socialisti e repubblicani, che sarebbe culminata nella comunque inutile perorazione in Cassazione – con L. Maino e altri – in favore dei giornalisti e deputati arrestati a Milano per i fatti del 1898, si aggiungeva alla competenza nel diritto successorio e alla discrezione con la quale trattava le cause civili. Fu avvocato della famiglia Nathan, di G. Bruzzesi, di diversi cospicui industriali della zona di Busto Arsizio (che gli avrebbe concesso la cittadinanza onoraria nel 1924), tenne l’amministrazione del teatro alla Scala (1868-74) per conto di alcuni impresari e finanziatori.
Il consolidarsi della sua posizione finanziaria gli permise di sposarsi, nel 1873, con Rachele Lonati. La coppia ebbe cinque figli, il maggiore dei quali, Speri (nato nel 1875) avrebbe avuto una certa influenza politica nel mondo radicale e poi nazionalista milanese nel primo dopoguerra. La famiglia si accrebbe quando il M. si fece carico anche dei cinque orfani del fratello Goffredo (1842-81).
Se l’impegno professionale aveva moderato l’ardore politico e l’acceso mazzinianesimo giovanile, le relazioni personali intessute nei primi anni di attività come avvocato ne accrebbero l’affidabilità presso ampi settori della società civile di orientamento progressista. Dopo la presa di Roma, nel 1870, il M. aveva infatti maturato la convinzione che fosse giunto il momento di far transitare il partito d’azione dall’insurrezionalismo patriottico e repubblicano all’educazione politica e all’iniziativa sociale ed economica, nell’ambito di un «radicale» riformismo, contrastando il passo su questo terreno alle organizzazioni classiste. Con Mazzini rimase comunque in stretto contatto fino all’ultimo, collaborando alla preparazione del congresso di Roma delle società operaie del novembre 1871. Dopo la morte di Mazzini (10 marzo 1872), il M. si allontanò definitivamente dalla democrazia repubblicana, rifiutando di far parte della direzione del partito, che intendeva mantenere un programma rivoluzionario. Con altri transfughi, tra i quali G. Missori, C. Antongini, M. De Cristoforis, R. Luzzatto e F. Cavallotti, fondò dunque a Milano, nel 1874, la Società democratica italiana, con un programma di riforme politiche, economiche e sociali e l’intenzione di partecipare alle elezioni parlamentari e amministrative, considerando A. Bertani la figura di riferimento politico.
La nuova fase della vita politica del M. si aprì con la sua elezione alla Camera nel novembre 1876 come rappresentante del collegio di Milano V.
Alla Camera prestò il giuramento di fedeltà alla monarchia senza riserve mentali, partecipò alla costituzione dell’Estrema sinistra radicale, ma, all’ombra di Bertani e poi di Cavallotti, la sua attività parlamentare fu piuttosto quella di un comprimario. Si occupò comunque di istruzione, convenzioni ferroviarie, imposte fondiarie e catasto, miglioramento delle condizioni del personale dei tribunali e soprattutto di riforma elettorale: fuori dal Parlamento fu attivo organizzatore con Bertani della campagna del 1880-81 per il suffragio universale.
Il M. cercò piuttosto di accrescere la sua influenza a Milano, nel cui Consiglio comunale entrò nel 1878 per rimanervi fino al 1884, svolgendo un’attività intensa. Vi ritornò brevemente nel 1894 e poi ininterrottamente dal 1899 al 1904, durante le giunte popolari, alle quali tuttavia avrebbe rifiutato di partecipare come assessore, perché ormai impegnato con un ruolo di primo piano alla Camera. Sempre nella sua città, nel 1883 divenne presidente della Società dei reduci delle patrie battaglie, mentre nel 1901 fu nominato membro della Commissione centrale di beneficenza, cui competeva tra l’altro l’amministrazione della Cassa di risparmio delle provincie lombarde. Nel 1905 divenne vice presidente della Commissione di beneficenza e nel 1911 ne assunse la presidenza, acquisendo in città un indiscutibile prestigio e un’importante influenza.
Le sue elezioni alla Camera non furono tuttavia agevoli nei primi mandati: nel 1880 fu sconfitto e solo in seguito all’annullamento dell’elezione del suo avversario, A. Mosca, fu eletto nelle suppletive del 1881. Con l’introduzione dello scrutinio plurinominale passò nel collegio di Milano I, dove fu rieletto nella XV e XVI legislatura (1882, 1886); cadde però nel 1890, nell’ambito di una generale flessione radicale, ma anche a causa di uno scandalo che lo aveva visto ingiustamente coinvolto, avendo il figlio maggiore ottenuto una borsa di studio presso la congregazione di Carità, contro la quale il M. aveva ripetutamente polemizzato accusandola di nepotismo. Trasferitosi nel più tranquillo collegio di Sondrio, vi fu eletto ininterrottamente dalla XVIII alla XXV legislatura (1892-1921; nel 1919 il collegio fu unito a Como). Si trattava di un collegio sicuro, nel quale non venne mai seriamente contrastato (neppure nel 1904, quando gli si contrappose F. Turati). Tuttavia il M. si mantenne fedele, anche con una certa ostentazione, alla concezione statutaria del mandato parlamentare come volto esclusivamente all’interesse generale e non affrontò mai in modo organico le questioni generali della Valtellina.
Alla Camera la posizione del M. si venne sempre più avvicinando a quella di G. Zanardelli, col quale era entrato in più stretto contatto a partire dal 1887, in occasione della preparazione del nuovo codice penale. La scomparsa di Cavallotti, la crisi di fine secolo e la lotta ostruzionistica dell’Estrema contro le misure illiberali introdotte dal governo Pelloux – battaglia cui il M. partecipò per disciplina di partito ma disapprovandone lo spirito «antistatutario» –, e infine il varo nel 1901 del governo Zanardelli-Giolitti lo convinsero che si era aperto un nuovo corso politico liberale, nel quale i radicali dovevano giocare un ruolo. Zanardelli gli offrì di entrare nel governo come ministro dell’Agricoltura, ma il M. declinò l’invito adducendo, in modo non del tutto veritiero, la contrarietà del suo partito. Si manifestò in quelle trattative per la partecipazione radicale al governo una divisione tra le sue posizioni e quelle di ampi settori del suo partito, che visse da allora fasi alterne e che non si sarebbe mai completamente risolta. L’operazione di convergenza con la nuova fase liberale era in realtà comune ad ampia parte del gruppo parlamentare dei radicali, ma il loro peso elettorale si basava sull’alleanza con le altre componenti dell’Estrema, socialisti e repubblicani, divenuti assai più temibili nella captazione dei consensi anche dei ceti medi inferiori, dopo la loro strutturazione in partiti. Il M. intendeva rompere tale alleanza per fare dei radicali l’ala sinistra della Sinistra costituzionale. Le sue scelte tattiche non furono però sempre coerenti. Nel 1904, per esempio, rifiutò di partecipare alla strutturazione dei radicali in partito, con la creazione di una direzione centralizzata che avrebbe dovuto comunque lasciare ampia autonomia agli organismi locali e al gruppo parlamentare.
Questa decisione fu determinata soprattutto da una contrapposizione personale con E. Sacchi, dovuta alla diversa formazione culturale dei due leader che si rifletteva nei rispettivi «stili» politici. Le differenze ideologiche – che pure esistevano – non erano motivi determinanti di contrasto tra i due, e non era rilevante neppure una supposta profonda contrapposizione di principio sull’accettazione della monarchia, sulla quale la storiografia ha spesso insistito trascurando che entrambi avevano esplicitamente accettato l’istituto monarchico e reso omaggi personali alla Casa reale. Sul piano della tattica parlamentare le differenze erano però profonde, dal momento che il M. intendeva recidere ogni legame con le altre componenti dell’Estrema, giudicate incompatibili col sistema liberale. Le rotture tra i due leader furono frequenti e il gruppo parlamentare radicale si divise in varie circostanze in sacchiani e marcoriani. Vi furono però anche fasi di convergenza, quasi un gioco delle parti tra le due anime del partito, di cui il M. divenne comunque progressivamente la componente minoritaria.
Divergenze si ebbero tra l’altro nel giugno 1903, quando, a seguito delle dimissioni di G. Giolitti dal ministero Zanardelli, il M. fu in predicato di essere chiamato agli Interni, nell’ambito di un rimpasto che nel suo disegno avrebbe dovuto comprendere anche l’ingresso di altri ministri radicali, mentre i «sacchiani» decisero di togliere l’appoggio al governo.
Nell’autunno successivo, il M. tornò in lizza per partecipare al secondo governo Giolitti come ministro della Giustizia. Rifiutò adducendo il fatto che era padre di due avvocati e ancora titolare di uno studio legale affermato, ma in realtà perché non era riuscito neppure quella volta a coinvolgere nel governo altri radicali di spicco. In quella circostanza il M., isolato dal suo partito, votò comunque la fiducia al governo, e all’esordio della XXII legislatura, il 1° dic. 1904, fu imposto come candidato giolittiano alla presidenza della Camera (era già tra i vicepresidenti dal luglio 1900), ottenendo comunque l’appoggio del suo partito.
Il suo primo mandato come presidente fu segnato da un incidente occorsogli il 27 luglio 1905, quando, commemorando in Parlamento l’ex radicale romano E. Socci, pronunciò frasi velatamente irredentiste a proposito del Trentino, che scatenarono un incidente diplomatico con Vienna. Le dimissioni sarebbero arrivate però nel marzo 1906 a seguito del cambio della maggioranza governativa con il dicastero Sonnino (cui però parteciparono alcuni radicali). Rieletto nel febbraio 1907 alla presidenza (carica che mantenne ininterrottamente fino al settembre 1919), si impegnò per una modernizzazione amministrativa della Camera, creando il segretariato generale alla presidenza, promuovendo la riforma dei regolamenti sulle autorizzazioni a procedere, della giunta di convalida delle elezioni e stabilendo termini fissi per lo svolgimento delle interpellanze e delle proposte di legge autorizzate alla lettura. L’accresciuto prestigio del suo ruolo istituzionale, riconosciuto anche dal sovrano con la concessione dell’Ordine supremo della Ss. Annunziata nel 1909, non fu però disgiunto da un’opera assidua di «facilitatore» dinamico dei governi amici. Col suo stile vivace e spiccio, seppe infatti in più occasioni velocizzare l’approvazione dei disegni di legge governativi vincendo l’indisciplina e la riottosità dell’aula.
Politicamente ormai collocabile in ambito giolittiano, fu ancora una volta indicato, nel marzo 1910, come possibile presidente del Consiglio in un governo di transizione tra il secondo di Sonnino e il ritorno di Giolitti. L’operazione non andò in porto, ma egli fu l’artefice, in accordo con Giolitti, della partecipazione dei radicali Sacchi e L. Credaro al ministero Luzzatti, a dimostrazione che la sua influenza sul partito rimaneva significativa.
Dal 1914, però, maturò una progressiva disillusione nei riguardi di Giolitti e dei suoi metodi. Nel marzo di quell’anno giudicò trasformistiche le dimissioni del governo a seguito del ritiro dei ministri radicali, preventivamente concordato, e deplorò in un colloquio con il re la mancanza di un palese voto di sfiducia del Parlamento. Il distacco dalle posizioni giolittiane si completò dopo lo scoppio della Grande Guerra. Fautore di un intervento a fianco dell’Intesa, il M. era stato presente ufficialmente al discorso di G. D’Annunzio a Quarto, il 5 maggio 1915, e quando poco dopo A. Salandra rassegnò le dimissioni, egli declinò l’offerta del re di guidare un nuovo governo, che avrebbe potuto reggersi solo su una maggioranza giolittiana e neutralista. Ricevette un mandato esplorativo per sondare quali carte avesse in mano Giolitti per ottenere all’Italia compensi territoriali in cambio del mantenimento della neutralità, e ne riferì con scetticismo al sovrano, caldeggiando la riconferma di Salandra. Durante il conflitto riferì alla Camera con partecipi discorsi l’andamento delle operazioni, e si tenne in stretto contatto con il re, che ne tenne in alta considerazione il parere in occasione della formazione dei governi di P. Boselli e V.E. Orlando. Fu critico dei principî (I quattordici punti) intorno ai quali W. Wilson intendeva avviare i trattati di pace, e ne parlò al presidente statunitense accogliendolo durante la sua visita in Italia (3 genn. 1919). Dopo essersi espresso contro la riforma proporzionale del sistema elettorale, diede il suo ultimo autorevole parere politico nel settembre 1919, quando al Consiglio della Corona si pronunciò con decisione per l’annessione di Fiume.
Nel novembre 1919, anche per cercare di evitare la débâcle elettorale di un partito radicale frazionato, tornò a farsi eleggere alla Camera, partecipando comunque poco ai lavori parlamentari perché ormai era quasi cieco. Il 1° maggio 1921 fu nominato senatore per la I e la III categoria, ma anche in Senato fu pochissimo presente.
Al nascente fascismo guardò probabilmente con qualche simpatia, ma non vi aderì con alcun atto formale né sostanziale. Nel 1923 cessò dal ruolo operativo di presidente della Cassa di risparmio, ma mantenne la carica a titolo onorario, e nel 1924, provato duramente dal lutto per la perdita del secondogenito Ugo, si ritirò dalla vita pubblica.
Il M. morì a Milano il 4 nov. 1927.
Fonti e Bibl.: Principale fonte documentaria è l’Archivio Marcora, conservato presso le Civiche Raccolte storiche del Comune di Milano (dell’archivio fanno parte le Note autobiografiche, la cui pubblicazione è in corso di stampa a cura di M. Soresina). Fonti importanti sono consultabili a Roma, Arch. stor. della Camera dei deputati, Archivio del Regno, Verbali dell’Ufficio di presidenza e ibid., Incarti di segreteria; a Milano, Arch. stor. di Banca Intesa, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, Commissione centrale di beneficenza, Verbali del Comitato esecutivo, Brogliacci, bb. 12-51. Lettere del M. sono in diversi archivi, tra i quali il Fondo Ettore Sacchi nella Biblioteca statale di Cremona; a Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Cavallotti, in partic. f. 76/8. Tra le edizioni di documenti: L. Marchetti, G. M., in Il Risorgimento, III (1951), 1, pp. 53-61; Id., Le «Note autobiografiche» di G. M. (1841-1927), in Studi in onore di Carlo Castiglioni prefetto dell’Ambrosiana, Milano 1957, pp. 399-418 (con brani delle Note autobiografiche); F. Della Peruta, Lettere di Giuseppe Mazzini a G. M. 1862-1870, in Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, IV (1961), pp. 292-325; Quarant’anni di politica italiana. Dalle carte di Giovanni Giolitti, II, Dieci anni di potere, 1901-1909, a cura di G. Carocci, Milano 1962, pp. 330-332, 362, 406-412; D.L. Massagrande, Una curiosa polemica tra G. M. e Cesare Correnti, in Il Risorgimento, XXVII (1975), 3, pp. 195-199; Id., Una disavventura editoriale di Garibaldi. Lettere di Giuseppe Garibaldi nell’Archivio Marcora delle Raccolte storiche del Comune di Milano, ibid., XLII (1990), 1, pp. 161-168; A. Forti Messina, Vita privata e vita politica nelle lettere di Malachia De Cristoforis…: a G. M., in Storia in Lombardia, XXV (2005), 3, pp. 111-133. Tra i discorsi elettorali: Discorso dell’onorevole deputato Giuseppe Marcora agli elettori della sezione di Corsico in Cesano Boscone, Milano 1879, e la lettera agli elettori pubblicata come: La nobile accettazione dell’on. M. alla sua candidatura nel collegio di Sondrio, in La Valtellina, 2 marzo 1909. Tra gli studi: C. Montalcini, G. M., in Rivista d’Italia, 15 dic. 1927, pp. 552-559; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, ad ind.; D.L. Massagrande, G. M.: una nota bio-bibliografica, in Il Risorgimento, XXVIII (1976), 1, pp. 97-106; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell’Italia giolittiana: liberali e radicali alla Camera dei deputati (1909-1913), I-III, Roma 1979, ad ind.; M. Punzo, Socialisti e radicali a Milano. Cinque anni di amministrazione democratica (1899-1904), Milano 1981, ad ind.; G. Spadolini, I radicali nell’Ottocento (Da Garibaldi a Cavallotti), Firenze 1982, ad ind.; C. Cardelli, I radicali lombardi in Parlamento negli anni della svolta giolittiana (1900-1904), in Studi lombardi, I (1984), pp. 91-169, passim; A. Colombo, G. M. doppio presidente, in Ca’ de sass, XXVI (1988), pp. 19-24; G. Orsina, Senza chiesa né classe. Il partito radicale nell’età giolittiana, Roma 1998, ad ind.; M. Soresina, Lo studio dell’avvocato G. M.: materiali per una biografia professionale, in Il Risorgimento, LVII (2005), 1, pp. 5-60. Si vedano inoltre: S. Pagani, Milanesi dimenticati, profili appunti e ricordi, Milano 1973, pp. 89-95; P. Cabrini, M. G., in Il movimento operaio italiano. Diz. biografico (1853-1943), a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1978, pp. 309-311; S. Furlani, G. M., in Il Parlamento italiano 1861-1988, IX, 1915-1919. Guerra e dopoguerra. Da Salandra a Giolitti, Milano 1988, pp. 267 s.; G. M., in Diz. del Risorgimento nazionale, III, p. 484 (E. Michel).