IMBONATI, Giuseppe Maria
Nacque a Milano il 4 luglio 1688 da Giovanni Andrea (1642-1726), conte, e da Marianna Peri.
La famiglia era antica in Como, dove vari suoi membri avevano esercitato il decurionato, e in uno dei suoi rami aveva goduto nel secolo XVII di alcuni feudi nobili nei territori di Lodi e di Cremona. Il padre dell'I. era uno dei due figli naturali, legittimati l'8 ott. 1649, di Carlo Antonio (1604-82, marito della sterile Giulia Odescalchi, cugina di Innocenzo XI) che aveva accumulato grandi ricchezze come banchiere a Milano, con l'acquisto dei dazi e l'introduzione dei vini nella città di Como; egli aveva posseduto, oltre a un sontuoso palazzo a Milano (distrutto dal fuoco nel 1658 e ricostruito), molti beni immobili in varie parti della Lombardia, fra cui spiccavano la villa di Brusuglio con 1000 pertiche di terra (di futura manzoniana memoria) e il sontuoso palazzo della Cavallasca, che diverrà celebrato luogo di riunione per i letterati milanesi legati all'I. e sarà definito "monumento della splendida sua magnificenza". Il padre dell'I., causa la morte di suo fratello e del figlio di quello, rimase unico erede di tale ingente patrimonio: il 15 ag. 1717, poi, ottenne anche il titolo di conte appoggiato sui feudi di Cassina Amata, Cassina Nuova e Degano con Deganino. L'I., sebbene avesse avuto ben undici fratelli e sorelle, fu l'unico dei maschi a superare l'età infantile, divenendo a sua volta erede universale (tre delle sorelle nel 1720 furono monacate a S. Colombano di Como): di quelle grandi ricchezze egli farà buon uso.
Sulla sua formazione si sa che verso i 10 anni venne affidato ai gesuiti del rinomato collegio dei nobili di Parma, nel quale si dimostrò studente tanto brillante da farsi notare dal duca regnante, Francesco Maria Farnese. Tuttavia la famiglia, timorosa che i padri (che notoriamente cercavano di reclutare nella Compagnia gli studenti più dotati) lo persuadessero a entrare in religione, lo richiamò anzitempo in patria, dove ebbe precettori domestici; frequentò poi a Milano le scuole Arcimbolde dei barnabiti, per passare quindi a studi di giurisprudenza nelle Scuole palatine, che completò nel 1717. Volle allora, come era usanza diffusa, arricchire la sua cultura con un tour d'istruzione, che fu però limitato all'Italia. Al rientro cominciò a partecipare alla vita pubblica di Milano, dove ormai da generazioni la famiglia soggiornava per buona parte dell'anno. Nel 1721 fu ascritto al patriziato milanese, e il 23 marzo 1723 venne ammesso all'Insigne Congregazione di S. Giovanni Decollato, riservata ai membri delle famiglie più illustri; esercitò poi diverse cariche onorifiche, sia a Milano (tra l'altro fu membro del consiglio amministrativo del teatro Ducale) sia a Como (dove presiedette l'opera pia "Gallio"), dando in esse prova di grande onestà e intelligenza. Ma, pur impegnato in tante attività, l'I. continuò a coltivare con passione gli studi e divenne anche buon musicista e dilettante di clavicembalo, arte che trasmetterà ai figli. Fin dal 1713 era entrato in Arcadia, con il nome di Vesalno Acreio; quando nel 1732 la colonia arcadica milanese si estinse, e alcuni membri confluirono nei Filodossi, nelle colte riunioni che si tenevano in casa Bicetti dei Buttinoni si cominciò a vagheggiare, per impulso dell'I., di creare un'altra istituzione accademica, basata però su criteri nuovi e diversi da quelli arcadici. Infine, volendo ricollegarsi a qualche antico ente culturale milanese scomparso, l'I. pensò di rifondare l'Accademia dei Trasformati (che, creata a Milano nel 1546 da A.M. Conti e cessata alla sua morte nel 1555, nella sua breve vita aveva svolto funzioni culturali di rilievo in campo letterario ma anche filosofico e scientifico, con rilevanti pubblicazioni). Così, nel luglio 1743, l'I. la resuscitò, fornendola di larghi mezzi e ospitandola nel suo bel palazzo milanese, di fronte alla chiesa di S. Fedele, che il figlio dell'I. venderà nel 1804 al banchiere F.L. Blondel (nel 1814 vi si compirà il dramma del ministro Prina).
Volle fosse conservata l'impresa degli antichi Trasformati, un platano coperto di frutti, con il motto Et steriles platani malos gessere valentes, impegnandosi a sostenere (e lo farà con magnificenza) i pesi che il buon funzionamento dell'istituto avrebbe comportato. I soci riconoscenti il 6 luglio 1743 lo elessero conservatore perpetuo, con la clausola che nessuno dopo di lui potesse mai più godere di quel titolo; contemporaneamente elessero segretario perpetuo C.A. Tanzi, e "restauratori" G. Giulini, G.C. Passeroni, F.S. Quadrio, G.M. Bicetti dei Buttinoni, D. Balestrieri, R. Fuentes, A. Avignoni, G.A. Irico e G.P. Rovelli. Ma la lista dei membri recava nomi anche più illustri: da G. Parini (che l'I. assumerà nel 1764 come precettore del figlio, e che in quell'ambiente coltivò l'idea de Il giorno) a G. Baretti (che l'I. aiutò e protesse), L. Mascheroni, i Verri, il Beccaria, P. Frisi, G.B. Corniani, i cardinali G. Pozzobonelli e C.F. Durini, C. Agudio, nonché donne notevoli come Clelia del Grillo Borromeo, Maria Gaetana Agnesi o Tullia Francesca Bicetti dei Buttinoni. Da alcuni di questi nomi appare chiaramente che i Trasformati furono portatori di un inizio di rinnovamento letterario, morale e sociale negli ambienti colti meneghini, e anche che l'Accademia fu aperta, sia pur moderatamente, alle classi medie; se la maggioranza restò ancora di aristocratici, alcuni dei membri più attivi ebbero davvero origini modeste (il Parini, G.C. Passeroni, D. Soresi, A.T. Villa e D. Balestrieri). È stato poi sottolineato (Savoca, p. 412) che a molti di essi "non mancò un embrionale coscienza borghese di classe"; interessante anche il rilievo dato all'uso del dialetto in molte pubblicazioni (fra tutte notevole D. Balestrieri, Rimm milanes, Milano 1772). Innovativa appare la sensibilità dell'istituto per i temi extraletterari, evidenziata dalla presenza attiva di personaggi come i già citati Beccaria e Verri, ma anche di economisti come L. Lambertenghi e A. Longo e di esperti come G. Visconti di Saliceto per le scienze fisiche e P. Sacchi per l'agricoltura. L'Accademia teneva solo tre sedute pubbliche solenni all'anno, ma a Milano si riuniva tutti i giovedì presso l'I., mentre in tempo di villeggiatura veniva sontuosamente ospitata alla villa della Cavallasca, per accedere più comodamente alla quale l'I. fece costruire una nuova strada. Vi si dibatteva su temi letterari, ma anche storici, filosofici, morali e di costume del più vario genere: da "i motivi del ridere" a s. Ambrogio, dal sonno alla superstizione o alla guerra, sempre però in chiave di ossequio al legittimo governo e al conte di Firmian (vedi la tavola fuori testo, con l'elenco completo dei temi trattati nell'Accademia tra 1743 e 1768 e i nomi dei rispettivi relatori, in Storia di Milano, XII, pp. 580 s.). Circa le pubblicazioni, non si può dire che, almeno fino al 1760, il sodalizio avesse dato frutti rimarchevoli: l'opera che forse meglio illustra il clima in cui fiorì è il poema giocoso-satirico di G.C. Passeroni Il Cicerone, iniziato nel 1755 e concluso nel 1764, in sei tomi e 101 canti, il XXVI dei quali fornisce l'elenco dei Trasformati. Va poi ricordata, per la sua notorietà (ma anche per una certa sua frivola grazia) la raccolta in due volumi Lacrime per la morte di un gatto, Milano 1741, voluta dal Balestrieri, a cui contribuirono i letterati di mezza Lombardia e molti veneti, assecondando una moda dilagante.
Grande importanza nella vita dell'I. e dell'Accademia ebbe una singolare figura femminile, la già menzionata Tullia Francesca Bicetti dei Buttinoni, sorella del medico Giovanni Maria, che per primo sperimentò l'innesto del vaiolo in Lombardia e ne scrisse. Già arcade con il nome di Filocara, socia degli Affidati di Pavia e dei Filodossi di Milano, era stata tra i fondatori dei Trasformati, e aveva ottenuto per i meriti letterari una pensione di 500 lire dalla corte. Ella sposò l'I. il 6 marzo 1745, e per lunghi anni formò con lui una coppia affiatata di animatori culturali. L'I., estremamente discreto e modesto, non pubblicò quasi nulla con il suo nome e assai poco con quello arcadico. Sembra che desse il meglio di sé negli interventi accademici, di cui non resta molto: si ha memoria di una Dissertazione intorno all'arca di Noè (nella Collezione milanese di A. Agnello, Milano 1756) e di un'altra Intorno al diluvio (ibid. 1757), entrambe lette nell'Accademia di storia sacra; restano poi Notizie dell'abate Francesco Puricelli, usate come prefazione alle Rime di quello, la cui pubblicazione fu da lui curata (Milano 1750).
Dispersi in varie altre raccolte dell'epoca figurano alcuni suoi interventi sui più svariati argomenti: le arti liberali, l'arte del novellare, "se sia maggior gloria degli antichi aver inventato le cose o dei moderni l'averle abbellite", "in morte di un accademico sotto il nome di Pan", e l'ultima, in versi, poco prima di morire, dedicata al suo protettore s. Giuseppe, "tutta spirante grazia petrarchesca". Infine partecipò, con altri Trasformati, alla burlesca Borlanda impasticciata e collaborò per qualche tempo al mediocre periodico Raccolta milanese, apparso nel 1756. Un posto a parte spetta ad alcune operette dedicate ai figli e destinate alla loro educazione: Compendio istorico di tutti gli Annali del Muratori e Ricordi cristiani per l'unico maschio, e Ragionamento intorno alla scelta dello stato per le figlie. L'I. mantenne frequente corrispondenza con personaggi di spicco, fra cui i cardinali G. Pozzobonelli e S. Valenti Gonzaga, il vescovo di Como G. Muggiasca, il plenipotenziario imperiale in Lombardia G.C. di Firmian, la dotta contessa Clelia del Grillo Borromeo, C. Frugoni, D.M. Mannio, il Muratori e Gabriele Verri (che gli indirizzò una celebrata epistola latina). Il suo mecenatismo gli attirò le dediche di molte pubblicazioni: si ricordano la versione italiana dell'opera latina di Matteo Bosso De' veri e salutiferi godimenti dell'animo (Lugano 1765), dell'erudito canonico novarese A. Pallavicino, e le citate Rimm milanes del Balestrieri.
Nel 1768 l'I., ormai ottantenne, fu talmente scosso nel vedere l'unico figlio maschio in fin di vita per un attacco di vaiolo (dal quale poi guarì) che fu assalito da febbri altissime, le quali l'11 luglio 1768 a Milano lo portarono alla morte.
Il giorno successivo fu deposto nel sepolcro della Compagnia della Buona Morte nella chiesa di S. Fedele. La sua indole amabile e signorile lo aveva reso assai popolare e stimato, per cui la messe di necrologi e panegirici fu ingente; ma l'Accademia dei Trasformati, vissuta solo grazie alla sua generosità, cessò con lui, dopo una grande commemorazione tenuta in settembre nella pinacoteca di palazzo Imbonati, dove G. Giulini pronunciò un'orazione che uno dei generi dell'I., F. Carcano, diede alle stampe unitamente alle poesie composte per l'occasione dai più distinti esponenti della cultura lombarda (Componimenti in morte del conte G.M. I., restauratore e conservatore perpetuo dell'Accademia dei Trasformati, a s.e. Carlo conte e signore di Firmian, Milano 1769).
La vedova gli sopravvisse per 20 anni; morì, anche lei a Milano, il 27 nov. 1788; aveva dato all'I. otto figli, di cui sette femmine: Marianna (nata nel 1749, sposò F. Carcano), Marina (nata nel 1750, sposò G. Foppa), Teresa (nata nel 1751, sposò F. Gallina), Giulia (nata nel 1752, sposò C. Orombelli), Giovanni Carlo, Luigia (nata nel 1754, sposò F. Pezoli di Pavia), Maddalena (nata nel 1756, sposò un Sannazzaro) e Maria (moglie di C. Mozzoni di Varese). L'abate D. Soresi cercherà di far risorgere l'Accademia per una seconda volta, ma senza successo: i veri continuatori (certo con ben maggior rigore) furono i fondatori de Il Caffè e della Società dei Pugni, molti dei quali erano stati Trasformati.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9276, pp. 493-500; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, Mediolani 1745, p. 47; G. Baretti, Poesie piacevoli, Torino 1750, cap. IV; F.S. Quadrio, Istoria e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1752, p. 66; G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, IV, parte II, Brescia 1773 (sulla Bicetti); L. Ricci, De vita et scriptis comitis I., Brixiae 1773; G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi e moderni, nelle arti e nelle lettere illustri, Modena 1784, p. 382; M. De Castro, Milano nel Settecento, giusta la poesia, le caricature e altre testimonianze dei tempi, Milano 1887, pp. 210-223; C. Cantù, L'abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Milano 1892, passim; P. Buzzetti, I conti Imbonati a Cavallasca, Como 1896, pp. 16-35; M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, V, Bologna 1927, pp. 338-342; C.A. Vianello, La giovinezza del Parini, Milano 1933, pp. 65-71; Edizione nazionale delle opere di G. Carducci, XVI, Bologna 1937, pp. 78-82; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960, pp. 19, 163; G. Savoca, Studi su Giuseppe Parini. Il Parini minore, in La letteratura italiana. Storia e testi, VI, 1, Il Settecento: l'Arcadia e l'età delle riforme, a cura di G. Compagnino - G. Nicastro - G. Savoca, Roma-Bari 1974, p. 413; M.L. Astaldi, Baretti, Milano 1977, pp. 68, 184; A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800, Roma 1977, pp. 125, 260; Storia di Milano, XII, L'età delle riforme (1706-1796), Milano 1959, pp. 571 n. 3, 577 n. 2 (sulla Bicetti), 577 s., 600, 982 (alle pp. 579 s. due ritratti dell'Imbonati).