ORLANDINI, Giuseppe Maria
ORLANDINI, Giuseppe Maria. – Nacque a Firenze il 4 aprile 1676, figlio di Andrea e di Virginia Lombardi.
Per molto tempo ritenuto erroneamente bolognese, anche sulla sua data di nascita ci sono state incertezze: nell’Archivio di S. Maria del Fiore, sotto lo stesso nome, esiste un altro atto di battesimo datato 19 marzo 1675; potrebbe riferirsi a un fratello morto prima della nascita del compositore.
Nessuna conferma trova la notizia (risalente a Fétis) che avesse studiato con Domenico Scorpione; la sua formazione musicale dev’essere avvenuta nello stesso ambiente fiorentino dove avviò la carriera componendo gli oratori Il martirio di san Sebastiano (libretto di Alessandro Ghivizzani, 1695) per la Compagnia di S. Sebastiano, e I fanciulli babilonesi (1696) per la Congregazione dell’oratorio di S. Filippo Neri. Di altri due oratori, La costanza trionfante nel martirio di santa Lucia (Bernardo Colzi, 1705) e Il figliuol prodigo (Benedetto Pamphili, 1712), i Ricordi della Compagnia del Nicchio, dove furono eseguiti, documentano lo straordinario successo (cfr. Kirkendale, 1993, pp. 489 s., n. 96, 495-497, n. 99). Nell’ambito operistico esordì con l’Artaserse (dramma di Apostolo Zeno e Pietro Pariati), rappresentato a Livorno nel 1706 sotto il patrocinio del principe ereditario Ferdinando de’ Medici, grande appassionato di musica e promotore di spettacoli musicali. Dal 1711 il nome di Orlandini si trova accompagnato dal titolo di maestro di cappella di Gian Gastone de’ Medici, principe e poi (dal 1723) granduca di Toscana: al titolo non dovette tuttavia corrispondere un effettivo servizio a corte. In questi anni infatti l’attività del compositore è documentata soprattutto al di fuori della Toscana: a Genova, a Roma e nei teatri emiliani e romagnoli, dove tra le altre si affermano le opere La fede tradita e vendicata (Genova 1709; Roma e Bologna 1712, con musica in parte di Francesco Gasparini; Modena 1714) e Carlo re d’Alemagna (Bologna e Forlì 1713, qui col titolo La Giuditta di Baviera; Parma 1714), entrambe su libretto di Francesco Silvani. A Bologna entrò in rapporti col vivace mondo dell’impresariato operistico della città, collaborando in particolare col costumista-impresario Cesare Bonazzoli. A Bologna inoltre deve essersi stabilito poco prima del 1717, anno in cui risulta ammogliato con la cantante Maria Maddalena Bonavia.
La Bonavia era stata un soprano di successo tra la fine del Sei e i primi del Settecento; secondo le cronache coeve (cfr. Ghiselli, LXXXIX-XC), aveva conseguito una discreta fortuna anche grazie ai favori del viceré di Napoli, il duca di Medinaceli. Dal matrimonio nacquero due figli, un maschio e una femmina, la quale prese il velo nel monastero bolognese di S. Maria Nuova (1736).
Nel 1719 Orlandini fu aggregato come compositore all’Accademia Filarmonica; da questa data figura fra gli accademici che fornirono regolarmente musiche per la festa del patrono, s. Antonio da Padova, e fra quelli estratti a ricoprire diverse cariche (fu primo consigliere nel 1721 e nel 1722, censore nel 1726 e nel 1730, ma rifiutò due volte la nomina a principe dell’accademia, 1724 e 1729). Che fosse un personaggio di spicco nella vita musicale bolognese appare anche dalla testimonianza, peraltro malevola, del Teatro dell’amara rimembranza, un’operetta satirica databile intorno al 1732.
Durante gli anni della residenza bolognese toccò l’apice della celebrità: le sue opere si affermarono, oltre che a Bologna, nei grandi centri del Nord, a Venezia in primis, a Torino, a Milano; solo nel 1722 tornò a Roma per dare al teatro Capranica il Nino, su libretto di Ippolito Zanella (in quell’occasione compose, per la notte di Natale del 1721, la tradizionale cantata da recitarsi durante la cena dei cardinali nel Palazzo Apostolico). A Bologna Orlandini era attivo quando non impegnato altrove per il carnevale: al teatro Formagliari furono date La Merope (Zeno) nell’autunno 1717, Lucio Papirio (Antonio Salvi) nell’estate 1718, Il Farasmane (Domenico Lalli) nell’autunno 1720, e al Malvezzi Ormisda (Zeno) nella primavera 1722.
A Venezia Orlandini esordì nel 1718 al S. Cassiano con un’opera di grande successo, Antigona su libretto di Benedetto Pasqualigo (ripresa nel 1721 e nel 1724), cui fecero seguito, al S. Giovanni Grisostomo, Ifigenia in Tauride (Pasqualigo) nel 1719, Paride (Francesco Muazzo) nel 1720 e Nerone (Agostino Piovene; facsimile a cura di F. Giuntini - R. Strohm, Venezia-Milano 2013) nel 1721. Queste opere, tolto il Paride, appartengono al sottogenere della «tragedia per musica», nel quale Orlandini si era già distinto intonando Amore e maestà (anche Arsace) di Antonio Salvi (dal Comte d’Essex di Thomas Corneille), rappresentato dapprima a Firenze nel 1715 al teatro del Cocomero, e ripreso innumerevoli volte, l’ultima ancora al Cocomero nel 1749. All’estremo opposto dello spettro dei generi operistici, alla collaborazione con lo stesso drammaturgo fiorentino, Salvi, si devono alcuni degli intermezzi più acclamati del Settecento tradizionalmente attribuiti a Orlandini: L’artigiano gentiluomo, Il malato immaginario (da Molière, come quelli della Preziosa ridicola su testo del marchese Trotti) e Il marito giocatore e la moglie bacchettona (anche Il giocatore e Serpilla e Bacocco; facsimile a cura di H.M. Brown, New York - London 1984; ed. moderna, Serpilla e Bacocco ovvero Il marito giocatore e la moglie bacchettona, a cura di G. Giusta - A. Mattio, Bologna 2003), i cui primi interpreti furono i celebri cantanti buffi Rosa Ungarelli e Antonio Ristorini.
La massiccia presenza di Orlandini sulle scene veneziane potrebbe giustificare un’allusione al compositore («alla Porta del Palazzo d’Orlando») nel frontespizio del Teatro alla moda di Benedetto Marcello (1720); è tuttavia altrettanto probabile che l’autore del libello intendesse riferirsi alla cantante Chiara Orlandi, impegnata al teatro di S. Angelo come altri artisti inequivocabilmente presi di mira (Antonio Vivaldi in primis).
Orlandini tornò al S. Giovanni Grisostomo nel 1725 con Berenice (Pasqualigo), ma dovette aspettare il 1731 per rappresentarvi il Massimiano (Zeno-Pariati), scalzato dalla concorrenza dei «napoletani» (Leonardo Vinci, Niccolò Porpora, Leonardo Leo), che nel 1729 relegò al S. Cassiano la sua Adelaide (Salvi). A Torino fu una prima volta nel 1720 con Il carceriero di sé stesso (Lodovico Adimari, da Thomas Corneille, rielaborato da Salvi); poi nel 1722, per le nozze del principe di Piemonte, con Semiramide (si tratta del Nino già rappresentato a Roma), e quindi per il carnevale del 1726 e del 1727 con nuove versioni dei suoi cavalli di battaglia, Arsace e Antigona. Quest’ultima, col titolo cambiato La fedeltà coronata, fu riproposta con gran successo nell’estate del 1727 a Bologna, dove cantò un cast d’eccezione (Antonio Bernacchi, Antonia Margherita Merighi, Nicolino Grimaldi e il Farinelli). A Milano, sempre per il carnevale, andarono in scena nel 1723 Alessandro Severo (Zeno), nel 1724 L’Oronta (Claudio Nicola Stampa), e nel 1728 un’altra Berenice (Antonio Maria Lucchini), diversa dal dramma omonimo di Pasqualigo.
Nel 1730 Scipione Maffei lo invitò a Verona e lo ospitò in casa propria perché musicasse il suo dramma pastorale La fida ninfa, che doveva inaugurare il nuovo teatro Filarmonico; lo spettacolo tuttavia non ebbe luogo, proibito dalle autorità veneziane (il teatro fu poi inaugurato nel 1732 con lo stesso dramma musicato da Vivaldi).
Orlandini ritornò a Firenze nel 1732, nominato maestro di cappella in S. Maria del Fiore, carica alla quale era associata per consuetudine anche l’altra di maestro di cappella a corte. La carica gli fu riconfermata dal nuovo granduca Francesco Stefano di Lorena, dopo la morte dell’ultimo Medici (1737). In segno di ringraziamento allestì con grande sfarzo nel 1738 alla Pergola la cantata Le nozze di Perseo e d’Andromeda (Damiano Marchi). Oltre che in duomo Orlandini risulta impegnato in altre chiese e oratori fiorentini: dal 1734 al 1757 fornì regolarmente musica per determinate festività annuali a S. Michele degli Antinori (detto anche S. Gaetano), mentre per la Congregazione di Gesù, Maria e Giuseppe e della Ss. Trinità (Ospizio del Melani) compose a partire dal 1735 una serie di oratori da cantarsi il giorno di s. Giuseppe: Jaele (Marchi, 1735), Davidde trionfante (Giuseppe Maria Medici, 1738), Tobia (Zeno, 1749), oltre ai metastasiani Gioas re di Giuda (1744), Giuseppe riconosciuto (1745) e Isacco figura del Redentore (1752). I nuovi impegni non lo distolsero dall’attività operistica, nella quale fu per anni indiscusso prim’attore in Firenze. Dal 1732 al 1738 collaborò assiduamente col marchese Luca Casimiro degli Albizzi, impresario alla Pergola, e in questo teatro fu attivo anche negli anni successivi come direttore e arrangiatore di opere, tra le quali tuttavia solo l’Ifigenia in Aulide (Zeno, 1732) e Il Temistocle (Metastasio, 1737) recano il suo nome come compositore. Nell’altro teatro fiorentino, il Cocomero, continuò a cimentarsi nel genere comico, musicando per la compagnia di Pietro Pertici le due commedie La Fiammetta (1743) e Lo scialacquatore (Borghesi, 1744). Furono queste le ultime composizioni di Orlandini a varcare i confini di Firenze: riprese a Venezia rispettivamente nel 1744 e nel 1745, contribuirono all’affermarsi del nuovo genere del dramma giocoso.
Dopo il 1753 Orlandini non lavorò più per i teatri, e da questa data risulta sempre più spesso sostituito anche negli incarichi in S. Michele e in S. Maria del Fiore. L’ultima composizione nota è l’oratorio La deposizione dalla croce di Gesù Cristo Signor Nostro (Giovanni Claudio Pasquini) eseguito all’Ospizio del Melani l’anno stesso della morte, avvenuta a Firenze il 24 ottobre 1760.
Orlandini fu tra gli operisti italiani famosissimi della prima metà del Settecento. Non soltanto le sue opere venivano eseguite nei principali teatri e da cantanti di grido: alcune di esse ebbero larga diffusione anche fuori d’Italia. L’Arsace, per dire, fu ripreso nel 1721 a Londra nell’adattamento di Paolo Rolli e con arie aggiunte di Filippo Amadei; di qui passò l’anno successivo ad Amburgo dove, ulteriormente rielaborato da Johann Mattheson, entrò stabilmente in repertorio insieme al Nerone, l’altra tragedia di Orlandini che Mattheson allestì nel teatro del Gänsemarkt nel 1723. A Londra la musica di Orlandini fu conosciuta anche grazie a Händel, che inserì diverse sue arie nei ‘pasticci’ Elpidia (1725), Ormisda (1730) e Venceslao (1731), tutti drammi dello Zeno. Gli intermezzi buffi ebbero una diffusione perfino più ampia e duratura delle opere serie. Va menzionato in particolare il caso del Marito giocatore e la moglie bacchettona, che nella versione veneziana del 1719 fece il giro di tutt’Europa. A Parigi giunse una prima volta all’Académie Royale de Musique nel giugno 1729 (i due buffi Ungarelli e Ristorini arrivavano da Bruxelles; il successo parigino fu tale che i comici Pier Francesco Biancolelli, detto Dominique, e Giovanni Antonio Romagnesi ne fecero una parodia); fu riproposto tra il 1752 e il 1754, insieme ad altri tra cui La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi, dalla compagnia di Eustachio Bambini, alimentando la cosiddetta ‘querelle des bouffons’. L’importanza della musica di Orlandini è inoltre testimoniata dal giudizio lusinghiero dei contemporanei: spicca quello di Charles Burney, cui le opere di Orlandini sembrarono «more dramatic and elegant than those of any master in the Italian school, anterior to Hasse and Vinci» (1789).
Fonti e bibl.: Firenze, Archivio del Duomo, Registri Atti battesimali del fonte di S. Giovanni di Firenze, Maschi, 1676, Lettera G, c. 39v; Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 770: A. Ghiselli, Memorie antiche manuscritte di Bologna,LXXXIX-XC (anno 1723), cc. 17v-18r; Ibid., Museo internazionale e Biblioteca della Musica, misc. Martini, I.45.10, I.45.11: Teatro dell’amara rimembranza, passim; Carteggi, I.2.66a: Lettera di N. Valenti a G.B. Martini (25 ottobre 1760); Firenze, Archivio del Duomo, Suppliche Rescritti e Ordini del Governo, filza anno 1719-1737, c. 264; G.B. Martini, Serie cronologica dei principi dell’Accademia de’ Filarmonici di Bologna, Bologna 1776; Ch. Burney, A general history of music from the earliest ages to the present period, IV, London 1789, p. 535; C. Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII, Bologna 1888, ad ind.; R. Strohm, Italienische Opernarien des frühen Settecento (1720-1730), in Analecta musicologica, XVI (1976), 1, pp. 35-37; 2, pp. 189-197; R.L. Weaver - N.W. Weaver, A chronology of music in the Florentine theater, 1590-1750, Detroit 1978, ad ind.; C.E. Troy, The comic intermezzo: a study in the history of eighteenth-century Italian opera, Ann Arbor 1979, pp. 44-46, 143-151; G. Folena, «Prima le parole, poi la musica»: Scipione Maffei poeta per musica e ‘La fida ninfa’, in Vivaldi veneziano europeo, a cura di F. Degrada, Firenze 1980, pp. 205-233 (anche in Id., L’italiano in Europa.Esperienze linguistiche del Settecento, Torino 1983, pp. 235-261); R. Strohm, Die Tragedia per Musica als Repertoirestück: zwei Hamburger Opern von G. M. O., in Hamburger Jahrbuch für Musikwissenschaft, V (1981), pp. 37-54; J.W. Hill, Oratory music in Florence, III: The confraternities from 1655 to 1785, inActa musicologica, LVIII (1986), pp. 146, 151, 157, 162, 164-166, 171, 173-177; P. Weiss, La diffusione del repertorio operistico nell’Italia del Settecento: il caso dell’opera buffa, in Civiltà teatrale e Settecento emiliano, a cura di S. Davoli, Bologna 1986, pp. 241-256; W.C. Holmes, Opera observed: views of a Florentine impresario in the early eighteenth century, Chicago 1993, ad ind.; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the Principate of the Medici, Firenze 1993, pp. 455-537 (col catalogo completo delle opere di Orlandini); H.J. Marx - D. Schröder, Die Hamburger Gänsemarkt-Oper. Katalog der Textbücher, Laaber 1995, ad ind.; La «Querelle des Bouffons» dans la vie culturelle française du XVIIIe siècle, a cura di A. Fabiano, Paris 2005, ad ind.; E. Pozzi, Antonio Vivaldi, Palermo 2007, pp. 240-253; E. Selfridge-Field, A new chronology of Venetian opera and related genres, 1660-1760, Stanford 2007, ad ind.; F. Giuntini, Sulla tessitura orchestrale nell’aria del primo Settecento. Il «Lotario» di Händel a confronto con l’«Adelaide» di O., in Chigiana, XLVI (2013), pp. 347-369; The new Grove dictionaryof Opera, III, 1992, pp. 754-756, The New Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XVIII, pp. 703 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XII, coll. 1420-1422.