RAFFO, Giuseppe Maria
RAFFO, Giuseppe Maria. – Secondo le tradizioni familiari il padre, Giambattista (1747-1823), nativo di Chiavari (vicino a Genova), fu rapito nel 1770 dai corsari barbareschi nelle acque della Provenza e venduto come schiavo a Tunisi. Notato dal bey Ali II ibn Husayn (1759-1782) venne trasferito al Palazzo del Bardo con mansioni di interprete, che continuò a svolgere, una volta affrancato, anche per conto di Hammuda ibn Ali bey (1782-1814) e dei successori fino ad al-Husayn II ibn Mahmud bey (1824-1835). In ogni caso, risulta che Giambattista si fosse ben integrato nella fiorente colonia di mercanti liberi tabarchini (liguri di Tabarca, da generazioni residenti nel Paese e considerati tunisini a tutti gli effetti), genovesi e marsigliesi, che nella seconda metà del XVIII secolo deteneva già un ruolo importante nell’economia locale. Sposatosi nel 1773 con Marie-Anne Terrasson, a sua volta appartenente a una famiglia mercantile, ebbe da lei undici figli, tre soli dei quali sopravvissero, Elena Grazia (1784), Maria Cattarina (1797) e Giuseppe Maria, nato al Bardo il 9 febbraio 1795.
Giuseppe, oltre a fruire delle relazioni paterne, poté contare per la propria ascesa politica sul legame stabilitosi con la casa regnante tunisina quando Elena, abbracciata la religione islamica, divenne una delle mogli del fratello di Husayn bey, Mustafa, salito a sua volta al trono nel 1835: sotto il cognato, Raffo, che durante il regno di Husayn aveva detenuto ruoli secondari nel cerimoniale di corte, divenne primo interprete e consigliere di Stato per gli affari esteri. Morto Mustafa nel 1837 gli successe Ahmad I, il figlio avuto nel 1806 da una ex schiava tabarchina, sul quale Raffo, che nel frattempo aveva ampliato le attività imprenditoriali del padre, esercitò una grande influenza, arrivando in breve a dirigerne la politica estera. Con la fine della guerra di corsa (1815), la Tunisia, schiacciata tra la presenza francese in Algeria (1830) e la rinnovata ingerenza turca in Tripolitania, aveva iniziato un processo di apertura nei confronti del mondo occidentale, tentando di mantenere l’indipendenza rispetto al sultano, di cui i bey husaynidi erano formalmente vassalli, senza per questo entrare in maniera diretta nella sfera d’influenza delle potenze europee.
Questo progetto fu portato avanti con particolare determinazione da Ahmad I (1837-1855), influenzato dal rinnovamento avviato in Turchia con le Tanzimât e ispirato dalla figura e dall’opera di Mehmet Ali in Egitto. A dispetto del carattere ambizioso, Ahmad riuscì a portare avanti il suo programma con la collaborazione di un gruppo di abili ministri tra i quali Raffo, esponente di una vera e propria lobby di mercanti e imprenditori tabarchini, genovesi, ebrei livornesi (qrâna, tra i quali il suo intendente generale Isaac Cesana) e marsigliesi. Fin dalle prime missioni in Europa, Raffo riuscì a moderare gli appetiti francesi avvicinandosi in varie occasioni alla Gran Bretagna e mantenendo un rispetto formale dell’alta sovranità ottomana. Influenzato tuttavia dalla cultura francese, al punto da trascorrere periodi sempre più lunghi a Parigi (dove avrebbe fatto educare i suoi figli), coinvolto per le sue attività finanziarie con gli ambienti affaristici d’Oltralpe, Raffo fu particolarmente vicino alla corte di Luigi Filippo, presso la quale nel 1846 organizzò una visita ufficiale di Ahmad bey, la prima in Europa di un sovrano musulmano. Proprio in questa occasione il gruppo dirigente tunisino si accreditò come interlocutore affidabile agli occhi delle potenze occidentali.
A tale scopo, Raffo, rimasto sempre fervente cattolico, ispirò una serie di iniziative volte a confermare dal punto di vista sociale e religioso l’apertura del beylicato nei confronti della modernità, promuovendo il rinnovamento dell’esercito sotto la guida di istruttori europei (tra i quali l’italiano Luigi Calligaris), l’istituzione della scuola politecnica per la formazione di ufficiali e quadri amministrativi, la presenza di missionari cattolici nel Paese, e appoggiando con il sostegno dei consoli europei l’abolizione della schiavitù (1846) con due anni di anticipo rispetto alla Francia e molto prima di altri Paesi, compresi gli Stati Uniti.
Uomo ambizioso, amante di titoli e riconoscimenti, Raffo, insignito delle principali onorificenze tunisine, dell’ordine napoletano di San Ferdinando, della Legion d’onore e della commenda pontificia di San Gregorio Magno, ottenne anche, in virtù delle origini genovesi, il titolo di barone (1849) e poi di conte (1851) del Regno di Sardegna, Stato dal quale risultava ‘protetto’ fin dal 1832 e che cominciava a nutrire disegni di espansione politica ed economica in Tunisia. In buoni rapporti con il governo sabaudo, ebbe tuttavia come proprio segretario personale il mazziniano genovese Gaetano Fedriani (1811-1881), attraverso il quale sostenne indirettamente l’attività di Giuseppe Garibaldi, che fu per un breve periodo (1834) alle dipendenze della marina militare tunisina.
Negli ultimi anni del regno di Ahmad, Raffo accrebbe ulteriormente i suoi interessi in Europa, in disaccordo con la conduzione delle finanze da parte di Mustafa Khaznadar (1817-1879), favorito e cognato del bey, contro il quale strinse un’alleanza politica con Khayreddin pascià (1822-1890), un altro ministro illuminato insieme al quale tentò di arginare il dissesto economico del Paese: oltre alla cattiva gestione e agli interessi privati dell’entourage di Khaznadar, furono le spese personali di Ahmad bey e la partecipazione alla guerra di Crimea (1855) a indebolire il bilancio tunisino, avviando il Paese alla bancarotta che avrebbe portato all’intervento francese e all’istituzione (1881) del protettorato. Alla morte di Ahmad i tentativi di modernizzazione furono sostenuti da Raffo ancora sotto il regno di Muhammad II (1855-1859), suo cugino e successore, con il quale il ministro era a sua volta imparentato: tra le consorti del bey vi era infatti la sorella della sua prima moglie, dalla quale Raffo aveva avuto due figli. Pur vedendo ridimensionato il proprio ruolo, Raffo contribuì quindi alla promulgazione del ‘patto fondamentale’ del 1857 (che proclamava la libertà di coscienza, l’uguaglianza di tutti i sudditi davanti alla legge e negli obblighi tributari e che rappresentò il nucleo della costituzione promulgata nel 1861, la prima di un Paese islamico). Alla morte di Muhammad (1859), dovette però assistere al definitivo trionfo politico di Khaznadar, che ne decretò la sostituzione con il figlio Felice (1825-1872).
Ritiratosi a vita privata (nel 1855 aveva intanto sposato in seconde nozze la nobile piemontese Leonia Maria Ripa di Meana), Raffo si spense a Parigi il 2 ottobre 1862.
L’anno successivo la sua salma venne traslata a Tunisi con tutti gli onori.
Gli eredi si ritrovarono così a gestire un ingente patrimonio, rimasto leggendario al punto che il detto «pare il conte Raffo» rimase fino al Novecento a indicare a Tunisi una persona particolarmente munifica. Infatti a Raffo va riconosciuto un sincero attaccamento ai destini del suo Paese e della dinastia, ma non si può negare che egli trasse dall’attività politica ingenti profitti, servendosi della propria influenza per agevolare la penetrazione economica in Tunisia di soci d’affari europei.
I suoi interessi inizialmente legati alla pesca e al commercio del tonno (grazie allo sfruttamento dell’importante pescheria di Sidi Daud, in concessione alla famiglia dal 1826 e fino ai primi del Novecento), si allargarono successivamente all’attività mineraria, alle costruzioni navali, all’agricoltura, all’esportazione dell’olio e all’alta finanza, attraverso i prestiti allo Stato e la partecipazione alle speculazioni sull’apertura del Canale di Suez. Raffo promosse anche i trasporti marittimi entrando in affari con la compagnia di Raffaele Rubattino (di cui era rappresentante a Tunisi il suo segretario Fedriani) e favorendo l’apertura di collegamenti diretti con Genova e Cagliari. Inoltre Raffo gestiva un ingente patrimonio immobiliare: il suo palazzo di Tunisi era il centro della vita sociale degli europei residenti e dei viaggiatori stranieri, ospitati anche nella grande villa della Marsa, circondata da celebri giardini.
Protettore della comunità cattolica di Tunisi, Raffo fece rinnovare o costruire i luoghi di culto, donando tra l’altro i terreni sui quali sarebbe sorta la cattedrale, appoggiò l’attività filantropica dei cappuccini e finanziò iniziative di beneficenza e pubblica assistenza anche in Europa, soprattutto in Francia e in Liguria, terra alla quale fu sempre particolarmente legato in memoria delle proprie origini: già nel 1836 aveva finanziato l’orfanotrofio di Chiavari, la città d’origine che visitò in svariate occasioni, sostenendovi tra l’altro, l’edificazione del maestoso pronao della cattedrale.
Personaggio poliedrico e complesso anche per i risvolti della sua vita privata, Giuseppe Maria Raffo rappresenta un caso interessante di politico e imprenditore capace di favorire l’incontro tra le culture di cui era permeato: quella europea che andò progressivamente recuperando a mano a mano che si intensificarono le sue relazioni con la sponda settentrionale del Mediterraneo, e quella arabo-berbera del Paese di nascita. Sotto la sua influenza un sovrano ‘illuminato’ come Ahmad I fu protagonista dei processi che posero le fondamenta della Tunisia moderna; d’altro canto, egli riuscì a conciliare questi ideali di integrazione e dialogo con la cura intelligente dei propri affari. La diaspora familiare, l’avvento del protettorato francese, il radicalizzarsi dei nazionalismi e lo stesso orizzonte transnazionale in cui Raffo si mosse hanno poi contribuito a eclissare la memoria di questa figura che ebbe un notevole rilievo nel panorama delle relazioni afro-europee dell’Ottocento.
Fonti e Bibl.: C. Monchicourt, Documents historiques sur la Tunisie. Relations inédites de Nyssen, Filippi et Calligaris (1788, 1829, 1834), Paris 1929; E. de Leone, La colonizzazione dell’Africa del Nord, I, Algeria e Tunisia, Padova 1957; J. Ganiage, Les origines du protectorat français en Tunisie, Paris 1959; Id., Une entreprise italienne de Tunisie au milieu du XIXe siècle. Correspondance inédite de la thonaire de Sidi Daoud, Paris 1961; J.-C. Winckler, Le comte R. à la cour de Tunis, Berlin 1967; L.C. Brown, The Tunisia of Ahmad Bey, 1837-1855, Princeton 1974; E. de Leone, Un ligure alla corte del bey di Tunisi: G.M. R., in Annali della facoltà di scienze politiche di Cagliari, IX (1983), pp. 293-302.