TERRENI, Giuseppe Maria
Nacque a Livorno il 19 giugno 1739 da Ranieri e da Anna Martelli (Livorno, Archivio diocesano, Collegiata, 27, c. 110v). Il padre era probabilmente quel Ranieri che il 13 ottobre 1737 denunciava di non avere proprietà, ma solo una bottega di pizzicagnolo «sul canto del ponte della Madonna», e che «non sia certo di guadagnare la sua giornata» (Archivio di Stato di Livorno, Comunità, 1224, c. 603v).
Della sua formazione artistica sappiamo poco: il canonico livornese Giuseppe Pierini (1747-1808), nei suoi Appunti per memoria, conservati presso la Biblioteca Labronica di Livorno, lo dice allievo di Ignazio Hugford (I, c. 512r). Le biografie di Francesco Pera (1867) e di Cesare Venturi (1933, p. 5) confermano questo alunnato, ma preceduto da un periodo da autodidatta. Possiamo oggi affermare che questo primo periodo di formazione, databile agli anni Sessanta del Settecento, avvenne negli ambienti delle stamperie livornesi, allora attivissime nel dare alla luce i volumi più importanti della cultura illuminista, corredati di tavole, testine e frontespizi eseguiti da abili incisori. Le Opere di Francesco Algarotti (1764) e il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1765), ad esempio, hanno frontespizi incisi da Giovanni Battista Lapi, artista attivo come orafo, pittore e incisore in Livorno almeno dal 1730 al 1786, e la cui bottega fu frequentata sicuramente dal giovane Terreni. Lo testimonia la sua prima opera conosciuta: l’acquaforte datata 1759, riproducente la pala con il Martirio di s. Bartolomeo, opera attribuita a Francesco Bianchi Buonavita e conservata nella chiesa livornese di S. Giovanni Battista. Le firme in limine ci dicono che a Terreni spetta il disegno e a Lapi l’incisione (Biblioteca Labronica di Livorno, Minutelli, n. 551). L’anno seguente questi due stessi artisti eseguirono testate e finalini del componimento Venere placata di Marco Coltellini. Altra prova del rapporto di Terreni con Lapi è il disegno con le Tre Grazie danzanti che Lapi incise per le opere del conte Algarotti, edite da Coltellini nel 1763. Il disegno si trova nell’album di schizzi di Terreni conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (n. 92665; Dal Canto, 1992, p. 7). Nel 1763, per l’editore Coltellini, Terreni disegnò 21 delle 83 tavole dell’edizione italiana del Gazzettiere americano, enciclopedia del Nuovo Mondo. Le altre tavole appartengono a incisori fiorentini come Andrea Scacciati, Veremondo Rossi e altri.
Concluso l’alunnato presso Lapi, l’8 luglio 1764 Terreni venne iscritto all’Accademia delle arti del disegno di Firenze. Le tasse d’iscrizione sono confermate negli anni seguenti, e il 24 settembre 1785, infine, egli fu eletto professore (Firenze, Accademia delle arti del disegno, Catalogo 1785-1811, c. 70, anche in rete, nel sito istituzionale). Oltre all’Accademia frequentò sicuramente gli atelier fiorentini, e particolarmente quello di Hugford, con cui probabilmente lavorò a commessi in pietre. Furono gli anni in cui Terreni iniziò a cimentarsi nelle vedute. Nel maggio del 1766, su commissione della nazione olandese di Livorno, dette alle stampe due incisioni relative al palio organizzato dalla nazione stessa, in occasione della visita fatta a Livorno dal granduca Pietro Leopoldo e dalla consorte: la Veduta della corsa in darsena e il Gran loggiato eretto sulla sponda del molo di Livorno il dì 21 maggio 1766. Ambedue portano le firme «Ant. Baggiani inv.» e «G.M. Terreni del. et sculp.». Risalgono a questi anni anche i primi affreschi in ville, ricordati sempre dal canonico Pierini e oggi perduti.
Nel marzo del 1771 Terreni fu chiamato dal comitato dei benefattori a sovraintendere ai lavori di ampliamento e sistemazione del santuario di Montenero a Livorno, tenendo contatti in particolare con Cosimo Siries, «capomastro delle Gallerie di Firenze», il quale con l’architetto romano Domenico Caroti si occupò della raggiera dell’altare maggiore, e con Bartolomeo Boninsegni, marmista di corte. Il comitato, inoltre, gli presentò una lista di pittori, allora attivi a Firenze nella villa di Poggio Imperiale, da cui scegliere quello cui affidare l’affresco della cupola. Terreni si rivolse a sua volta ad Anton Raphael Mengs, allora a Firenze, che indicò Giuliano Traballesi. Per parte sua Terreni eseguì gli ornati delle volte e del tamburo con simboli mariani (Dal Canto, 1992, p. 8). La conclusione dei lavori, l’8 settembre 1774, fu un evento eccezionale, cui parteciparono i regnanti toscani, e ambasciatori e personalità illustri (Gazzetta Toscana, 1774, n. 37, p. 148). Connessa ai festeggiamenti per il santuario è la tela con la Festa sul sagrato del Santuario di Montenero dell’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, variamente attribuita, ma che potrebbe rientrare nel corpus delle opere di Terreni (Dal Canto, 2000).
L’impegno continuo a Montenero fece apprezzare ancor più Terreni dalla corte fiorentina. Nel 1773 fu chiamato a decorare una stanza nell’ala di ponente della villa del Poggio Imperiale, andata perduta nelle successive sistemazioni. Senza dubbio l’opera lasciò soddisfatti i committenti, perché subito dopo gli fu affidato l’affresco della sala attigua con Ercole coronato dalla Gloria. Il tema mitologico, secondo il gusto classico che primeggiava allora nella residenza di Pietro Leopoldo, fu svolto da Terreni in maniera gioiosa e leggiadra, ancora in chiave rococò. Sempre per la residenza leopoldina eseguì nel 1778 la decorazione del grande salone delle Quattro stagioni, coadiuvato da Giuseppe del Moro. Qui affrescò, senza soluzione di continuità, le pareti con giardini e paesaggi e la volta a tutto cielo con le Quattro stagioni, secondo il gusto neocortonesco diffuso allora a Firenze. Il successo ottenuto gli procurò nuove importanti commesse da parte della corte granducale. Il piccolo Autoritratto su pergamena conservato agli Uffizi, e databile a questi anni, mostra tutta la sua sicurezza e felicità del momento. Gli Uffizi conservano un altro Autoritratto su tela ovale, di una decina di anni più tardo, e un ancor più tardo ritratto dipinto dal pittore francese François-Xavier Fabre (S. Meloni Trkulja, in Il corridoio vasariano agli Uffizi, a cura di C. Caneva, Cinisello Balsamo 2002, p. 258). Dal 1778 al 1781 Terreni collaborò al rifacimento delle campate del corridoio di ponente degli Uffizi, andate distrutte nell’incendio del 1762. A lui spettano sicuramente nove delle diciassette volte del corridoio (Pellegrini, 1982), ma il confronto con alcuni suoi schizzi dell’album citato spinge ad attribuirgli anche le volte con l’Agricoltura e l’ultima con Livorno e Pisa (Dal Canto, 1992, pp. 31 s.). Sarebbero poi giunti altri incarichi ufficiali al seguito della corte: affreschi in palazzi, come le sale del Buonumore dell’Accademia dei Georgofili, oggi conservatorio Luigi Cherubini (1798 circa).
Nel 1778 Terreni lavorò nella sua città alla decorazione delle perdute cappelle del Lazzeretto S. Leopoldo (G. Mazzanti, Opere d’arte nell’Accademia navale, in Liburni Civitas, IV (1931), pp. 285-292). Nel 1781 dedicò al granduca la serie di stampe con vedute di Livorno, replicate poi in edizioni successive. L’attività di vedutista continuò negli anni seguenti. Nel 1785 fu a Pisa per immortalare le feste organizzate per la visita dei reali di Napoli, in quattro tempere. Ebbe ancora l’incarico di riprodurre i momenti più gioiosi del ritorno in Toscana di quegli stessi sovrani nel 1791, in una serie di sei tempere dedicate alle feste nel parco fiorentino delle Cascine, in cui nei notturni si apprezzano tocchi protoromantici (70 pitture e sculture del ’600 e ’700 fiorentino (catal.), a cura di M. Gregori, Firenze 1965, p. 66). Ambedue le serie sono conservate a Palazzo Pitti, ove si trova anche la Veduta di Firenze da Bellosguardo, firmata e datata: «Giuseppe Maria Terreni Livornese disegnò e dipinse l’anno 1789» (G. Fanelli, Firenze, Firenze 1980, pp. 122, 273).
A Livorno nel 1782 progettò le pitture per i tre altari (Assunta, S. Lucia, S. Matteo) della chiesa di S. Matteo, perduti per l’ampliamento negli anni Settanta del secolo scorso. Di questo intervento rimangono i bozzetti allegati a una lettera del 21 gennaio 1782 inviata al governatore della città (Archivio di Stato di Livorno, Governatore, 24, lettere civili, c. 123r) e il malconcio affresco con il santo titolare. L’anno seguente firmò il contratto per gli affreschi e la pala della cappella del Rosario nella chiesa di S. Caterina nel quartiere della Venezia in Livorno, con la pala spedita dal suo studio in via Larga a Firenze (Dal Canto, 1992, pp. 9 e 33): i recenti restauri ne hanno restituito solo in parte la briosità cromatica. Briosità e leggerezza si vedono invece esaltate negli affreschi della cappella del Rosario che Terreni fu chiamato a eseguire nella chiesa della certosa di Calci dal 1793 al 1794, mentre più freddo e monumentale egli risulta nella cappella di S. Giuseppe eseguita l’anno dopo per la stessa sede. Di questi anni sono gli interventi in altre residenze granducali, come la decorazione in Palazzo Pitti nella sala delle Nicchie (aiutato da Giuseppe Castagnoli) e in quella della Musica negli appartamenti invernali. Nel 1784 Terreni pubblicò a Livorno, senza autorizzazione, l’album di venti tavole con le Rovine del Palazzo di Diocleziano che Robert Adam aveva stampato nel 1764 (I. Gordon Brown, Spalatro redivivus. An Italian reworking of Robert Adam’s plates of Diocletian’s Palace, in Apollo, CXLVII (1998), 431, pp. 32-35).
L’artista ebbe un rapporto epistolare e di amicizia con il celebre incisore Raffaello Morghen. Ne curava il commercio di stampe, gli inviava del pesce e anche il suo colore verde, un verde particolare che i tintori di Prato chiamavano appunto «verde Terreni» (G.C., I dialoghi con gli artigiani, in La Gioventù, II (1862), 1, p. 9). Dal carteggio con Morghen (Biblioteca nazionale Centrale di Firenze, Gonnelli, nn. 124-149) apprendiamo che Terreni aveva due fratelli, Piero e Giovanni Santi, e che in questi anni si divideva tra Firenze, dove aveva studio in via Larga, e Livorno, dove esistevano le case dei Terreni nel luogo ove sorse la villa Mimbelli, considerate l’abitazione di Giuseppe e dei probabili parenti Antonio e Jacopo Terreni, incisori e pittori, anche se non abbiamo nessuna conferma da documenti (Piombanti, 1903).
Nel 1796, per l’arrivo dei francesi a Livorno, Terreni fuggì a Pisa per qualche mese. Tornato a Firenze, dipinse un Transito di s. Giuseppe per la certosa di Calci, dove però non giunse mai: è forse quello oggi nel convento dei Cappuccini a Livorno (Dal Canto, 1992, p. 36). Nel 1798 terminò l’affresco dell’Apoteosi dell’Eucarestia nella cappella del SS. Sacramento del duomo livornese, considerato da Plinio Nomellini il suo capolavoro (Venturi, 1933, pp. 19 s. e 31-35), ma sciaguratamente distrutto nel 1944, e di cui resta il bozzetto nella chiesa di S. Giulia. Sono invece salve le quattro tele firmate e datate 1799, con i Quattro Dottori della Chiesa, ricollocate nella ricostruita cappella (Dal Canto, 2007). Dell’ultimo periodo rimangono forse i due monocromi Diana e Callisto e Zefiro e Flora nella villa Perti a Livorno, mentre sono perduti altri affreschi fatti nello stesso periodo (nel palazzo comunale di Livorno, nel teatro degli Avvalorati).
Morì per un colpo apoplettico il 9 novembre 1811 (Giornale del Dipartimento dell’Arno, 9 novembre 1811), lasciando una discreta eredità alla moglie Maria Antonia Mugnaini e ai suoi cinque figli: Ranieri, Francesco, Giovanni, Angiolo e Giulia (Venturi, 1933, p. 19). È sepolto nella cappella del cimitero comunale di Livorno.
F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, p. 266; G. Piombanti, Guida storica ed artistica della città e dei dintorni di Livorno, Livorno 1903, p. 105; C. Venturi, Pittori livornesi: G.M. T., in Liburni Civitas, VI (1933), pp. 5-42; L. Servolini, T., G.M., in Enciclopedia Italiana, XXXIII, Roma 1937, s.v.; Id., T., G.M., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, XXXII, Leipzig 1938, s.v.; L. Pellegrini, La Galleria degli Uffizi in età neoclassica: alcuni documenti inediti nell’Archivio di Stato di Firenze, in Paragone, XXXIII (1982), 387, pp. 81-96; F. Dal Canto, G.M. T. La vita e la produzione artistica (1739-1811), Livorno 1992; Id., Festa davanti al Santuario di Montenero, dipinto della Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, in F. Dal Canto - P. Castignoli, Festa al Santuario livornese di Montenero. Il dipinto della Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. Le immagini della devozione popolare, a cura di P. Castignoli, Pontedera 2000, pp. 11-41; Id., Gli affreschi settecenteschi. L’intervento di G.M. T. nella cappella del Santissimo Sacramento, in Duomo di Livorno. Arte e devozione, a cura di M.T. Lazzarini - F. Paliaga, Pisa 2007, pp. 79-84.