MATTEI, Giuseppe
MATTEI (Mattei Orsini), Giuseppe. – Nacque a Roma nel 1604 da Mario, signore di Paganica, e da Prudenza di Ludovico Cenci, entrambi esponenti del più antico patriziato romano.
Alla morte del padre, nel gennaio 1621, solo il fratello primogenito Gaspare, avviato alla carriera curiale, era maggiorenne. Il M. e gli altri fratelli più giovani, Fabio e Carlo, furono seguiti e protetti dalla parentela materna – in particolare dagli zii di Prudenza Cenci, il cardinale Marcello e il marchese Marcantonio Lante, e dai cugini primi della donna, il cardinale Gregorio e Bernardino Naro –, piuttosto che da quella paterna, che pure contava i potenti Mattei di Giove. Le sorelle del M., invece, erano già sistemate: Porzia come moglie di Federico Pappacoda, marchese di Pisciotta, Lucrezia, Maria Drusilla e Aurora nel convento dei Ss. Domenico e Sisto.
Dopo un soggiorno a Perugia, avvenuto probabilmente per ragioni di studio dopo il 1621, come molti giovani del suo rango il M. si dette al mestiere delle armi. Malgrado la tradizione militare dei nobili romani, per il ramo di Paganica si trattava di una novità, che proprio col M. la famiglia seppe affrontare con successo.
Il M. ebbe il suo primo impegno di rilievo durante la fase svedese della guerra dei Trent’anni (1630-35), nel reggimento di cavalleria di Ottavio Piccolomini.
Dopo quasi un anno di permanenza tra il Piemonte e la Lombardia, siglata la pace di Cherasco nel marzo 1631, alla fine di maggio il M. partì per raggiungere il campo imperiale. Furono mesi di campagna durissima, «che doppo che è guerra in Germania dicono questi soldati vecchi che non è stata una campagna simile a questa» scriveva egli stesso (Arch. di Stato di Roma, Arch. Santacroce, b. 480, cc. n.n., 26 dic. 1631). Il 17 settembre prese parte alla battaglia di Breitenfeld (presso Lipsia), dove l’esercito imperiale, sotto il comando di Jan T’serclaes conte di Tilly e di Gottfried Heinrich conte di Pappenheim, fu messo in rotta da quello svedese. Il M. si salvò, ma molti suoi compagni perirono e lo stesso Ludovico – detto Luigi – Mattei, marchese di Giove, fu ferito e fatto prigioniero insieme con quasi un terzo dell’esercito. Un anno dopo, il 16 nov. 1632, partecipò alla violenta battaglia di Lützen, vinta dagli Svedesi ma nel corso della quale perì Gustavo Adolfo di Svezia. Secondo un resoconto assai dettagliato, in questo importante scontro militare si distinsero gli Italiani, e in particolare il reggimento in cui militava il M., che al comando di Ottavio Piccolomini aveva lanciato ben otto cariche contro la fanteria svedese. Il M., «ammazzatoli sotto il cavallo e passatovi sopra un regimento di cavalleria», sebbene «pesto» era tuttavia sopravvissuto (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 6352, c. 177). A Roma, quando si apprese la notizia della morte del re svedese, per tre notti vi furono fuochi d’artificio e luminarie. Al di là delle singole battaglie, le lettere del M. di questo periodo raccontano la difficoltà di ambientarsi e di confrontarsi con un’esperienza complessa: i rischi reali di morte, le malattie contratte al campo per la vita stentata, le spese ingenti che ricadevano sulla famiglia e la lontananza logistica lo esposero a momenti di vivo scoraggiamento, da cui si riprese tuttavia grazie alla sincera adesione alla carriera intrapresa e ai riconoscimenti ricevuti. Nel 1633, infatti, l’imperatore gli concesse il titolo ducale, per quanto solo dal 1664 i Mattei di Paganica poterono fregiarsene.
Dai campi tedeschi il M. tornò a metà del decennio per assumere immediatamente incarichi nell’esercito pontificio: era aiutato dalla posizione di prestigio del fratello Gaspare che, dopo essere stato vicelegato a Urbino, era stato promosso governatore di Perugia e dell’Umbria, e dal favore che entrambi godevano presso i Barberini. Nel 1636, infatti, fu nominato governatore delle Armi del Patrimonio, con la sovrintendenza su Civitavecchia, una carica di maggiore riposo ma non disprezzabile per la possibilità che offriva di mettersi in luce presso la Curia e la famiglia papale. La conservò per qualche anno, risiedendo soprattutto nella più salubre Tolfa.
Intanto, nel 1638, col patrocinio del cardinale Francesco Barberini, sposò Lucrezia, figlia del marchese romano Massimo Massimo. Dall’unione nacquero Prudenza (1639-83), Mario (1641-90) e Laura (1648-84). Col matrimonio, il fratello Gaspare richiamò il M. all’assunzione delle responsabilità di capofamiglia cui spettavano ormai la cura e l’amministrazione del patrimonio, in virtù della primogenitura istituita dal padre, consistente in affitti e rendite derivanti da casali nella Campagna romana, fuori porta Portese, da proprietà immobiliari urbane, dal feudo abruzzese di Paganica.
In occasione della guerra di Castro (1641-44), che i Barberini mossero contro Odoardo Farnese rivendicando il piccolo Ducato, il M. avrebbe potuto aspirare al comando generale, ma proprio a ridosso dell’inizio delle operazioni fu ferito in un agguato nei pressi di Castro e, con rammarico del papa Urbano VIII, gli fu preferito Ludovico Mattei. Partecipò, in ogni caso, alle congregazioni per la difesa di Roma e a missioni di coordinamento nel territorio di guerra, finché, nel 1643, con l’offensiva delle milizie pontificie e lo spostamento del fronte tra il Modenese e il Po, il M. fu preposto a presidiare Ferrara, di cui era divenuto governatore delle Armi.
Nel ragguagliare con frequentissime missive i superiori sul proprio operato e sullo stato delle truppe e delle strutture difensive, il M. si mostrava estremamente professionale e conscio delle responsabilità dell’incarico. Rarissimi, nel carteggio d’ufficio, sono i riferimenti personali o familiari: anche di fronte alla notizia, giunta dalla Germania in marzo, della quasi fatale indisposizione che aveva colpito il fratello Gaspare, nunzio a Vienna presso l’imperatore Ferdinando III, trovò occasione per confermare e rinnovare ai Barberini la fedeltà sua e dei fratelli (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 9672, c. 177).
Il pontificato di Innocenzo X non modificò la posizione del Mattei. Da cardinale, Giovanni Battista Pamphili aveva pure assistito alle nozze del M., e Gaspare, durante il conclave, aveva guidato il partito dei cardinali romani, fomentando l’ostilità contro il candidato Sacchetti. Il M. pertanto rimase al suo posto a Ferrara, tanto più che si aprì una seconda, breve fase della guerra di Castro.
In questa circostanza ebbe luogo l’episodio che meglio mise in luce le qualità militari del M.: la battaglia di San Pietro in Casale, il 13 ag. 1649, tra l’esercito del duca di Parma, comandato da Jacopo Gaufrido, e quello pontificio, guidato da Ludovico Mattei, che sbaragliò gli invasori e li costrinse a ritirarsi oltre confine. Nell’«inventario della guardarobba» del cardinale Gaspare, risulta un ritratto «grande, depinto in tela con una figura grande al naturale a cavallo che è l’effigie del signor barone col bastone da comando con figure piccole che rappresentano la battaglia di S. Pietro in Casale» (Arch. di Stato di Roma, Arch. Santacroce, b. 704, cc. n.n.). A Roma la notizia del successo fu accolta con viva soddisfazione come dimostrano tanto gli avvisi quanto la corrispondenza dei Mattei, nella quale l’unico elemento di rammarico è la ferita leggera riportata dal M. stesso.
Morto il fratello Gaspare nel 1650, una volta tornato a Roma il M. si occupò della famiglia: le figlie, indirizzate precocemente alla vita religiosa, presero entrambe il velo nel monastero dei Ss. Domenico e Sisto a Magnanapoli, l’una come Angela Caterina il 3 apr. 1654, l’altra come Felice Perpetua il 21 sett. 1660. Invece per Mario il M. combinò il 20 apr. 1656, quando cioè il figlio era appena sedicenne, l’unione con Anna Francesca Vigevani, un’orfana di poco più grande. Pochi mesi dopo, nell’agosto 1656 il M. strinse un nuovo legame con la consuocera, la nobile ternana Paola Sciamanna, che divenne la sua seconda moglie.
Nel dicembre 1656 acquisì dagli Orsini il dominio di Montenero in Sabina, nel Reatino, che il figlio Mario provvide a consolidare con numerose compravendite dopo il 1671.
Il M. morì a Roma nell’autunno 1660; fu, secondo le sue volontà, sepolto senza sfarzo presso i Cappuccini della Ss. Concezione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Arch. Santacroce, bb. 374, 388-389, 391, 408-409, 480, 704, cc. n.n.; Cartari Febei, 75, cc. 220v-221r; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 6352, cc. 176r-177v; 9672 (lettere del M.); Arch. segr. Vaticano, Arch. Ruspoli-Marescotti, div. 1, arm. T, tt. 650; 669, cc. 194, 196 (inventari dei beni del padre Mario, 16 genn. 1621); 670, cc. 230 (contratto dotale), 247, 273; 671, cc. 275-276; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma…, XIII, Roma 1879, p. 234, n. 489; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Roma 2003, ad ind.; S. Feci, I Mattei di Paganica: storia di una famiglia romana tra XV e XVII secolo, in Palazzo Mattei di Paganica, a cura di S. Ricci (in corso di stampa).