Giuseppe Mazzini
Il pensiero politico di Giuseppe Mazzini si colloca nella storia del Risorgimento e s’intreccia con il movimento che condusse l’Italia all’unificazione nazionale. Fondamentale fu il suo ruolo nel perseguire questo ideale, che – sebbene concretizzatosi in un’Italia unita sotto lo scettro sabaudo – aprì la via alla realizzazione della Repubblica. L’obiettivo, vissuto come missione politica con intenso afflato religioso, condizionò tutta la vita di Mazzini, che è oggi considerato l’artefice dell’unità nazionale. A differenza di Giuseppe Garibaldi, che per dare un assetto unitario all’Italia preferì le conquiste militari, o di Camillo Benso conte di Cavour, che ricorse alle alleanze diplomatiche, Mazzini scelse di agire sul carattere degli italiani, per rinsaldare i loro sentimenti patriottici e guidarli verso la creazione di una nuova nazione. Egli poté realizzare poco prima della morte il suo sogno di vedere Roma capitale, ma rimase deluso dal ruolo guida che assunse la monarchia sabauda nella costruzione dello Stato unitario.
Giuseppe Mazzini nacque a Genova il 22 giugno 1805, da Giacomo e da Maria Giacinta Drago. Il padre ebbe scarsa influenza nella sua formazione, mentre la madre gli trasmise un forte senso del proprio rigore morale, alimentato anche dalla rigida educazione ricevuta dai precettori, sacerdoti giansenisti. Nel 1819 s’iscrisse all’Università di Genova; dopo aver frequentato per breve tempo i corsi di medicina, scelse la facoltà di Giurisprudenza, dove si laureò il 6 aprile 1827. Più che verso gli studi giuridici, tuttavia, nutrì un vivo interesse per la letteratura: nel 1827 – come ha documentato Gaetano Salvemini (I primi scritti, in Galante Garrone 1981, pp. 410-22) – scrisse il saggio Dell’amor patrio di Dante, in cui elevò il poeta fiorentino a profeta della patria italiana; il saggio rimase inedito per un decennio, quando fu pubblicato da Niccolò Tommaseo nella rivista torinese «Il Subalpino. Giornale di scienze, lettere ed arti» (1837, 2, pp. 359-77).
Affiliatosi alla Carboneria genovese, fu arrestato nel novembre 1830 per la delazione di un infiltrato e venne recluso nel carcere di Savona. Nel gennaio 1831 fu posto davanti all’alternativa tra il confino e l’esilio: scelto l’esilio, soggiornò in varie città europee, stabilendosi infine a Marsiglia, dove nel luglio dello stesso anno fondò la Giovine Italia, con lo scopo di «restituire l’Italia in Nazione di liberi ed eguali, Una, Indipendente, Sovrana» (Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, 1831, ora in Scritti editi ed inediti, 2° vol., 1907, p. 45). La nuova associazione, alla quale Mazzini volle dare una forte impronta propagandistica, dal gennaio 1832 dispose anche di una rivista omonima, della quale fino al giugno 1834 uscirono sei fascicoli, diffusi clandestinamente.
Dopo il fallimento della spedizione in Savoia nel febbraio 1834, Mazzini fondò in aprile a Berna la Giovine Europa, con lo scopo di riunire i patrioti delle nazioni oppresse. Nel corso del 1836, le sterili polemiche sorte in tale organismo non aiutarono l’esule genovese in questo difficile periodo della sua vita, che vide gli insuccessi dei tentativi insurrezionali e la diffusione di un sentimento di sfiducia tra i militanti. Il rischio di essere espulso dalla Svizzera lo convinse a stabilirsi a Londra, città nella quale giunse nel gennaio 1837.
Dopo tre anni di inattività politica, nel marzo 1840 costituì l’Unione degli operai italiani, che ebbe come organo ufficiale l’«Apostolato popolare», pubblicato dal 10 novembre dello stesso anno al 30 settembre 1843 con lo scopo di elevare il sentimento patriottico dei suoi soci. Accanto a questa attività, svolta soprattutto in funzione antiaustriaca, egli costituì anche una scuola elementare per i bambini italiani che, inaugurata nel novembre 1841, rimase operativa fino al 1848 grazie al sostegno finanziario di alcuni esponenti cartisti e radicali come William Linton e William Lovett. L’impegno educativo verso gli operai e l’attività di alfabetizzazione a favore dei bambini non impedirono a Mazzini di collaborare ai periodici «Westminster review», «The northern star» e «The people’s journal» con recensioni e articoli rivolti alla propaganda patriottica e all’esposizione del suo pensiero politico.
Dopo l’esperienza della Repubblica romana (1849), Mazzini ritornò a Londra, dove nel gennaio 1851 contribuì alla costituzione della Società degli amici d’Italia (Morelli 1965, p. 112) per sensibilizzare l’opinione pubblica britannica alla causa italiana, e in luglio sottoscrisse un manifesto del Comitato centrale della democrazia europea indirizzato ai patrioti delle nazioni oppresse. Fino al 1868, ultimo anno di soggiorno nella capitale britannica, egli svolse un’intensa propaganda repubblicana: fondò il periodico «Pensiero e azione» (pubblicato dal 1° settembre 1858 al 22 maggio 1860) e il 21 febbraio 1859 sottoscrisse una dichiarazione di protesta contro la guerra all’Austria. Nel 1860 uscì il volumetto Doveri dell’uomo (raccolta di scritti già in parte pubblicati a partire dal 1841 sui periodici «Apostolato popolare», «Pensiero e azione» e «L’unità italiana»), destinato a una grande fortuna editoriale (Monsagrati 2009, p. 598). Dopo aver accettato l’ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli, si stabilì a Pisa, dove morì il 10 marzo 1872.
Il pensiero politico di Mazzini si coniuga con un programma di riforma della società italiana e di cambiamento della forma istituzionale dello Stato, ma non costituisce un blocco monolitico e omogeneo di idee che, formatesi negli anni giovanili, si siano mantenute inalterate durante la sua lunga e intensa attività rivoluzionaria. Infatti, dalle prime esperienze letterarie (1827) fino alla costituzione di un’Italia unita e indipendente (1861), il suo pensiero presenta un’evoluzione strettamente connessa allo studio degli scrittori politici e alla meditazione degli eventi a lui coevi.
Negli articoli pubblicati sui giornali «Indicatore genovese» (1828) e «Indicatore livornese» (1829-1830), Mazzini enuncia una visione letteraria laica, democratica e ispirata a una comune civiltà europea, da cui scaturisce il programma politico, che sin dalla costituzione della Giovine Italia (1831) pone l’ideale democratico come premessa per la liberazione dell’Italia dallo straniero, l’abbattimento della monarchia e la realizzazione della Repubblica. Questa sua fede inaugura così «una tradizione democratica sostanzialmente nuova», volta a superare il giacobinismo italiano e a proporre con forza un nuovo modello di organizzazione della società (Galasso 1974, p. 20). Democrazia parlamentare e principio di nazionalità costituiscono gli aspetti fondamentali del pensiero politico di Mazzini, la cui fede è animata da una forte tensione religiosa e alimentata da una decisa avversione verso la monarchia.
L’esaltazione dello Stato repubblicano e il rifiuto della monarchia come negazione della libertà sono – secondo Mazzini – dettati da una necessità storica, connessa con il progresso civile della società europea. Con il concetto di progresso, sviluppato grazie all’influsso delle teorie di Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794), e di Démosthène Ollivier (1799-1884), Mazzini definisce meglio il progetto graduale di palingenesi sociale «per spiegare la sua scelta repubblicana» (S. Mastellone, Introduzione a G. Mazzini, Pensieri sulla democrazia in Europa, 1997, p. 7). La nozione di repubblica, considerata l’unica forma costituzionale idonea a garantire i principi di uguaglianza e di libertà, è arricchita da alcune formulazioni dottrinali derivate dalle idee di Claude-Henri Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760-1825), e connesse ad aspetti specifici come l’assetto della proprietà, la trasmissione ereditaria dei privilegi, la funzione dei banchieri nella società presente e futura, l’indissolubilità tra spirito e materia, la libera concorrenza nel capitalismo e l’elevazione dell’associazione a fondamentale principio per il superamento di quest’ultimo.
Nella già citata Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine italia (1831), Mazzini elabora un programma che arricchisce di feconde ispirazioni culturali e nuovi spunti dottrinali maturati durante l’esilio in Francia. Oltre che dalle citate idee di Saint-Simon, tenute vive dai discepoli Saint-Amand Bazard (1791-1832) e Barthélemy-Prosper Enfantin (1796-1864), Mazzini rimane influenzato dalla lettura della «Revue encyclopédique» e del «Globe», i cui collaboratori pongono l’accento sulla sovranità popolare ed esortano i lettori a un impegno più diretto nella questione sociale.
L’influsso iniziale del pensiero di Filippo Buonarroti (1761-1837) e di Carlo Angelo Bianco, conte di Saint-Jorioz (1795-1843), l’uno promotore dell’ideologia rivoluzionaria giacobina e l’altro dell’insurrezione per bande, è da Mazzini meglio definito e trasformato in una più precisa «intuizione», dettata da una visione unitaria della questione politica, culturale e sociale (Galasso 1974, pp. 100 e 101). Dell’influsso di Buonarroti rimangono ferme la scelta repubblicana e l’avversione per il federalismo, considerato da Mazzini transitorio e deleterio per le sorti future dell’Italia. Infatti, sull’esempio di Buonarroti, che aveva espresso un giudizio negativo sul federalismo di tipo statunitense nell’opuscolo Riflessi sul governo federativo applicato all’Italia (1831), Mazzini assume un’analoga posizione critica nell’articolo Dell’Unità italiana («La Giovine Italia», 1833, 6, ora in Scritti editi ed inediti, 3° vol., 1907, pp. 259-302).
La presenza in Italia di due vizi intrinseci, quali la debolezza esterna nei confronti dei Paesi confinanti e quella interna nei confronti dell’aristocrazia, è ricondotta da Mazzini a una vicenda storica diversa da quella degli Stati Uniti, e collegata ad altri elementi, come la religione, il clima e la forma di governo. Il rifiuto del modello statunitense gli deriverebbe, secondo alcuni, da una memoria dell’inglese Henry Peter, barone di Brougham and Vaugh (1778-1868), pubblicata nel 1832 sul periodico «Westminster review» e conosciuta da Mazzini nella traduzione italiana dello stesso anno, Condizione politica ed economica degli Stati Uniti d’America. Convincono Mazzini che il sistema federale non è idoneo per l’Italia, inoltre, la lettura del saggio Notice sur l’Amérique («Revue encyclopédique», 1827) di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842), e dell’opera Storia dell’America (28 voll., 1820-1822) di Giuseppe Compagnoni (1754-1833), e le considerazioni di alcuni fautori del modello politico statunitense come Luigi Angeloni (1759-1842) e Saverio Salfi (1759-1832).
Il pensiero di Mazzini si sviluppa a contatto con la cultura francese degli anni Trenta, ma pone al centro della sua riflessione politica la questione della rivoluzione nazionale nel contesto delle esperienze più recenti della storia italiana. Per Mazzini, i movimenti rivoluzionari del 1820-21 e del 1831 si erano spenti per l’inerzia delle masse e la mancanza di dirigenti politici, privi di coraggio,
di scienza politica [e di fiducia] nelle moltitudini che reggevano, nella santa bandiera che inalberavano; poi di consiglio rivoluzionario, di spirito logico, e del segreto che suscita i milioni di difensori a una causa (D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia, «La Giovine Italia», 1832, 2 e 3, ora in Scritti politici, a cura di T. Grandi, A. Comba, 1972, p. 236).
Dopo gli eventi del febbraio 1834, Mazzini imprime un carattere religioso più evidente al suo pensiero politico, soprattutto per l’influenza del francese Félicité-Robert de Lamennais (1782-1854), che aveva invitato la Chiesa a fare propria la causa dei poveri, e del polacco Adam Mickiewicz (1798-1855), che considerava la Polonia come «nazione martire».
Come Lamennais, Mazzini invoca un rinnovamento della Chiesa gerarchica, e scorge tra le proprie idee e quelle del francese una coincidenza in merito alla visione etica della società, ai valori della tradizione religiosa e al culto per la democrazia quale forma di rappresentanza politica improntata a un forte senso morale e a un’elevata funzione pedagogica. Una comunione di ideali a cui aveva già accennato nella prefazione scritta per la versione italiana (1832) del saggio di Charles-Emmanuel-Nicolas Didier (1805-1864) Les trois principes. Rome, Vienne, Paris («Revue encyclopédique», 1832, pp. 59-61).
Di Mickiewicz, Mazzini accoglie l’idea di «nazione martire», che estende all’Italia, imprimendole un impulso fideistico e aggiungendovi un messaggio politico che dovrà tradursi nel «Vangelo della nazionalità» (Sarti 2000, p. 101). Questo principio, inteso come una realtà spirituale, dovrà essere diffuso dagli «Apostoli del popolo», che testimonieranno la loro fede con prontezza di sacrificio e con un conforme comportamento:
Il Popolo non è mai per coloro che stima deboli e da poco. Esso ama e segue i forti, e con i forti combatte. E i forti sono quelli che, in ogni circostanza, ad ogni momento, son presti a far testimonio, colla parola e colle opere, di tutta intera la fede dell’anima loro (Il popolo e i patrioti, 1835, ora in Scritti editi ed inediti, 4° vol., 1908, pp. 321-22, e in Sarti 2000, p. 101).
Nel periodo dell’esilio in Svizzera, il pensiero di Mazzini evolve verso forme più mature di elaborazione politica, che arricchiscono il concetto di governo repubblicano e lo collocano in una dimensione più vasta, sfociata nel 1834 nella costituzione della Giovine Europa. La decisione di costituire la nuova associazione è dettata da una serie di ragioni, tra le quali spiccano il dissidio con la Carboneria e la necessità di tenere vivo l’ideale repubblicano e di creare una santa alleanza dei popoli contro quella dei sovrani. Il patto costitutivo, redatto da Mazzini e denominato Atto di fratellanza della Giovine Europa, è firmato da diciassette membri, rappresentanti dell’esulato italiano, polacco e tedesco. Dei tre gruppi federati, il più attivo è quello della Giovine Germania, per la massiccia presenza di lavoratori tedeschi in territorio elvetico. Al centro della visione europeista mazziniana, tuttavia, c’è sempre la convinzione che non esiste alcuna gerarchia tra le nazioni e che tutte hanno un eguale valore morale. Alla stregua delle riflessioni di Johann Gottfried von Herder (1744-1803), Mazzini è convinto del contributo unico e insostituibile di ogni nazione verso l’umanità, ma del filosofo tedesco respinge l’enfasi posta su fattori prepolitici come la razza o le tradizioni di un popolo.
Tra il 1840 e il 1846, Mazzini, anche per la frequentazione di scrittori politici inglesi come Thomas Carlyle (1795-1881) e John Stuart Mill (1806-1873), rivolge particolare attenzione al concetto di democracy. Lo spunto gli è dato dal saggio Chartism (1840) di Carlyle, che collega la nascita del movimento cartista all’incapacità del governo di garantire i diritti sociali. Come risposta, Mazzini pubblica nel giugno 1840 l’articolo Chartism, it is a revolt or a revolution? («Tait’s Edimburgh magazine»), in cui rileva come l’azione sociale dei dirigenti cartisti si muova nell’ambito delle rivendicazioni economiche piuttosto che in quello della richiesta di partecipazione politica: una carenza imputabile alla struttura del Parlamento inglese, dove hanno la preminenza i rappresentanti della casta aristocratica, borghese e militare, arroccati su posizioni conservatrici e incapaci di guidare il progresso della società.
In otto articoli, pubblicati su «The people’s journal» tra l’agosto 1846 e il giugno 1847 sotto il titolo collettivo Thoughts upon democracy in Europe – riproposti nel volume antologico Scritti scelti (a cura di C. Cantimori, 1915, pp. 282-338) e in seguito tradotti in italiano con il titolo Pensieri sulla democrazia in Europa (a cura di S. Mastellone, 1997, 20052) –, Mazzini conclude il suo discorso sulla democrazia, pervenendo a una concezione della rappresentanza politica che resterà invariata negli anni successivi. Il rifiuto dell’utilitarismo di Jeremy Bentham (1748-1832) dev’essere connesso con il «moto ascendente delle moltitudini vogliose d’entrare partecipi nella vita politica» (I sistemi e la democrazia, 1867, ora in Scritti editi ed inediti, 34° vol., 1922, p. 92), ma finalizzato a una responsabilità etica dell’uomo. Sulla scia delle riflessioni espresse da Mill nell’articolo Pledges («The examiner», 15 luglio 1832, pp. 417-18) e nel libro The rationale of political representation (1835), Mazzini identifica l’essenza della democrazia con la sovranità popolare, ma a condizione che la rappresentanza politica sia scelta nell’ambito di persone oneste e qualificate dal punto di vista morale e intellettuale.
Il concetto mazziniano di democrazia (che presenta una dimensione etica e pedagogica, al contrario di quella strettamente giuridica di Brougham) si definisce come un movimento proiettato «verso l’emancipazione, il miglioramento, la cooperazione di tutti» (Pensieri sulla democrazia in Europa, cit., p. 95), nella convinzione che il suffragio universale sia l’opzione più idonea per designare le capacità dei cittadini chiamati alla gestione dell’amministrazione pubblica. La partecipazione democratica deve raggiungere un triplice scopo: sottrarre il potere politico «a una cerchia di privilegiati» (p. 82), costituire un «governo rappresentativo» e porre la sua direzione «sotto la guida dei migliori e dei più saggi» (p. 85). Nella scelta dei loro rappresentanti, i cittadini devono essere indirizzati a «un programma educativo» (p. 88), che valorizzi la circolazione delle idee, favorisca il sorgere dell’eguaglianza e diventi patrimonio comune del «partito democratico» (p. 85) e poi dell’intera società. Una concezione della storia limitata all’aspetto economico e allo sviluppo degli interessi materiali tra gli uomini dev’essere sostituita da un ideale più alto, una democrazia etica, l’unica in grado di fornire le idee fondamentali necessarie per l’avvenire dell’Europa e di tutti i popoli. Questo messaggio di liberazione, improntato a venature religiose che fanno riferimento allo spirito più genuino dell’insegnamento evangelico, deve sfociare in una democrazia rappresentativa garante dei diritti sociali, dei valori etici e del merito personale.
L’ideale repubblicano come leitmotiv del pensiero mazziniano assume un connotato specificatamente democratico durante l’esperienza della Repubblica romana (1849), per il rifiuto del comunismo come regime oppressivo e per l’appello a una Costituente italiana «come unica soluzione della questione nazionale» e «unico simbolo dell’Unità» (Programma, 1849, ora in Scritti editi ed inediti, 39° vol., 1924, pp. 95 e 96).
Su questi due aspetti fondamentali del suo pensiero politico, Mazzini sviluppa il discorso sull’associazione come nucleo costitutivo della società e sul sistema rappresentativo strutturato in comuni e regioni. Nel manifesto del Comitato nazionale italiano (1849) egli presenta il regionalismo come principio costitutivo del futuro sistema politico italiano, che è meglio svolto l’anno successivo nel programma dell’Associazione nazionale, laddove auspica che l’unità politica dell’Italia raggiunga il suo compimento
coll’esistenza di Regioni circoscritte da caratteristiche locali e tradizionali e colla vita di grandi e forti Comuni, partecipanti quanto è più possibile coll’elezione al Potere e dotati di tutte le forze necessarie a raggiunger l’intento dell’Associazione (in Scritti editi ed inediti, 43° vol., 1926, pp. 185-86).
Il sistema dell’ordinamento dello Stato, su cui egli ritorna con frequenza tra il 1851 e il 1861, è svolto con indicazioni precise sulle attribuzioni delle funzioni e con un progetto istituzionale contrario a un’eccessiva centralizzazione.
In Mazzini il pensiero politico è strettamente connesso con l’interesse per la questione sociale. Nei primi anni di attività, dal 1831 al 1835 circa, egli non effettua una sistemazione compiuta delle sue riflessioni teoriche, che raggiungono piena maturità solo a contatto con la cultura inglese. Tuttavia, fin dal suo esordio politico, il motivo conduttore è costituito dall’accento posto sulla distinzione di interessi tra le classi popolari e i ceti economicamente e socialmente più abbienti: come soggetto autonomo di bisogni, il popolo assume così nella sua visione etico-religiosa un ruolo privilegiato nella futura rivoluzione nazionale. Infatti, affinché il popolo diventi nuovo protagonista storico, la Giovine Italia deve tendere
a ravvicinare le classi, costituire il Popolo, ottenere lo sviluppo maggiore possibile delle facoltà individuali; a ottenere un sistema di legislazione accomodato ai bisogni; a promuovere illimitatamente l’educazione nazionale (Delucidazioni morali allo Statuto della Giovine Italia, 1833, ora in Scritti editi ed inediti, 2° vol., 1907, pp. 299-300).
Ancorato a un’impostazione ‘sociale’ della questione nazionale, Mazzini nel succitato testo del 1833 cerca di coinvolgere l’intero popolo in un’iniziativa rivoluzionaria volta a un «miglioramento delle classi più numerose e più povere» (p. 299), spronandolo all’azione e chiarendo i diritti e i vantaggi che esso potrebbe trarre dal nuovo assetto sociale. L’analisi delle prospettive rivoluzionarie spinge Mazzini a sensibilizzare il popolo verso una lotta che faccia leva sui suoi bisogni materiali, impostando la lotta nazionale contro lo straniero fuori dagli schemi consueti dei moti tradizionali, basati solo sull’amor patrio. A questa convinzione perviene per il fatto che
tutte le rivoluzioni sono nella loro essenza sociali, che l’ordinamento politico è la forma e non altro dei mutamenti, e che non s’ha diritto di chiamare i milioni al sagrificio della quiete e della vita, se non proponendo loro uno scopo di perfezionamento collettivo, di miglioramento morale e materiale comune a tutti, di educazione fraterna senza eccezione (Necessità dell’ordinamento speciale degli operai italiani, 1842, ora in Scritti politici, cit., p. 546).
In quest’ambito, Mazzini si batte per l’aumento dei salari e per la riduzione della giornata lavorativa, avanzando l’idea di istituire forme speciali di credito per gli operai, affinché siano facilitati nel loro accesso alla proprietà dei mezzi di produzione. I fenomeni negativi dell’economia europea sono indicati nelle ricorrenti crisi produttive, le quali si ripercuotono nelle retribuzioni salariali e determinano il progressivo peggioramento della vita dei lavoratori. La crescente integrazione dei mercati europei, piuttosto che contribuire al progresso economico dei vari Paesi, aggrava le condizioni di vita degli abitanti, impedendo la realizzazione di una più equa distribuzione della ricchezza e rivelando l’aspetto menzognero del libero scambio.
Nel suo duplice rifiuto del liberalismo e del comunismo, Mazzini è animato da una fede che sottomette gli interessi materiali ai principi, gli unici in grado di porre le basi di una nuova società. Gli interessi, siano essi individuali o collettivi, non possono provocare alcun mutamento sociale. Rispetto al liberalismo, volto solo a proporre libertà formali, Mazzini auspica una libertà reale che trasformi la dottrina dei diritti nella capacità di sviluppare le facoltà di ogni singolo individuo. Nei confronti del comunismo egli assume un atteggiamento ostile, respingendo la proposta, avanzata dai seguaci di questa corrente di pensiero, di abolire la proprietà privata e di porre l’economia sotto il controllo statale. Piuttosto che procedere verso l’abolizione della proprietà, che – qualora si realizzasse – soffocherebbe la libertà personale, vanificherebbe lo stimolo al lavoro e renderebbe inoperoso l’individuo, occorre creare le condizioni perché la maggioranza dei cittadini possa acquistarla: al pari della famiglia o della nazione, infatti, la proprietà è un istituto connaturato alla persona umana e, come tale, destinato a durare in eterno. Su questo aspetto fondamentale dell’uomo s’innestano tre distinte affermazioni, che sono colte da Giuseppe Galasso (1974, p. 70) nel
diritto-dovere [dell’uomo] di organizzare da sé la sua vita materiale, [nella] perfetta parificazione del lavoro manuale con quello intellettuale e con ogni altra manifestazione della vita spirituale, [nel lavoro inteso] come unica fonte legittima della proprietà.
L’unica forma di proprietà accettata da Mazzini è dunque quella che proviene dal lavoro, e per la cui tutela egli si batte affinché sia resa accessibile al maggior numero di cittadini: «Non bisogna abolire la proprietà, perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla» (Doveri dell’uomo, cit., p. 120). Ciò non esclude per lui l’imposizione di un’imposta progressiva in base all’entità del reddito, per evitare il formarsi di un eccessivo accumulo di ricchezze in cerchie ristrette. Da ciò Mazzini deriva la proposta di una riforma tributaria ispirata alla tassazione del superfluo, tramite l’intervento legislativo dello Stato, in grado di assicurare «ricompense» proporzionate al lavoro e di garantire l’occupazione anche con una politica di lavori pubblici (I collaboratori della ‘Giovine Italia’ ai loro concittadini, 1832, ora in Scritti editi ed inediti, 3° vol., 1907, pp. 63 e 67).
Gli anni compresi tra il 1850 e il 1860 si caratterizzano per una ripresa dell’attenzione di Mazzini alla questione sociale considerata come parte imprescindibile della rivoluzione nazionale, in un processo di liberazione in cui le disparità economiche devono essere superate dalla formula del «capitale e lavoro nelle stesse mani» (Doveri dell’uomo, cit., p. 125). Il pensiero sociale di Mazzini trova la conclusione pratica di uno sforzo ormai trentennale nei Doveri dell’uomo e nella parte finale del citato articolo del 1833 Dell’Unità italiana, allora rimasto incompiuto e arricchito nel 1861 da altre considerazioni politiche (ora in Scritti editi ed inediti, 3° vol., 1907, pp. 302-35). In un interessante passaggio dei Doveri, Mazzini afferma:
Ogni mutamento, ogni rivoluzione […] che non faccia corrispondere al progresso politico un progresso sociale, che non promova d’un grado il miglioramento materiale delle classi più povere […] si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima, è una menzogna ed un male (p. 111).
Nel decennio postunitario, successivamente alle enunciazioni espresse nei Doveri, Mazzini invoca un rivolgimento politico, che deve sfociare nell’avvento di uno Stato repubblicano capace di confiscare i beni della Chiesa, della Corona e, in qualche caso, dei Comuni per emancipare i lavoratori dalla tirannide del capitale. Nella sua visione solidaristica, Mazzini attribuisce l’unica garanzia di progresso all’associazione, che deve ricevere sostegno dallo Stato con agevolazioni di vario genere come la costituzione di un fondo nazionale e la concessione di crediti a basso tasso d’interesse (Dell’Erba 2010, p. 30). La soluzione più efficace per la questione sociale può derivare soltanto dal fermento rinnovatore rappresentato dall’associazione e dalla sua definizione in senso cooperativistico. In questa direzione assume grande rilievo l’impegno politico verso le «classi operose», che deve tradursi in uno sforzo organizzativo per la creazione di società di mutuo soccorso e per la loro politicizzazione in senso democratico. Su questa base Mazzini svolge un ruolo di primaria importanza, in polemica con Karl Marx e i marxisti, quando a Londra nel 1864 avviene la fondazione della Prima Internazionale operaia.
Su scala italiana, tra l’XI congresso delle società operaie (Napoli, ottobre 1864) e quello successivo (Roma, novembre 1871), Mazzini tenta di mettere in atto i principi fondamentali del suo pensiero politico, che – oltre a essere indirizzati a migliorare le condizioni dei ceti meno abbienti – devono ostacolare il sorgere del positivismo in Italia e il diffondersi delle tendenze materialistiche, per cui egli si trova anche in opposizione a Michail Bakunin.
Doveri dell’uomo, Londra [ma Lugano] 1860.
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