MAZZONI, Giuseppe
– Figlio di Niccolò e di Anna Bottari, nacque a Prato il 16 dic. 1808.
Il padre aveva condiviso gli ideali giacobini e nel 1799, quando era maire della città, aveva promosso l’innalzamento di un albero della libertà. Il suo impegno nell’ambito politico-amministrativo era proseguito anche in età napoleonica, quando aveva ricoperto la carica di presidente della Camera consultiva di arti e mestieri e, fra il 1808 e il 1811, nuovamente quella di maire.
Il M., dopo aver mosso i primi passi nello studio seguendo le lezioni del canonico G. Silvestri, frequentò il collegio Ferdinando di Pisa, da cui fu espulso nel 1824 per aver fatto parte di una setta segreta, gli «Intrepidi di Dante», che professava ideali patriottici e antireligiosi. Laureatosi in giurisprudenza nell’ateneo pisano, compì il suo tirocinio a Firenze presso lo studio dell’avvocato G. Venturi, il quale, affiliato alla Giovine Italia e attivo cospiratore, lo avvicinò alle idee mazziniane. Il M. entrò ben presto a far parte di quei cenacoli culturali e politici che a Prato s’impegnavano per diffondere i principî liberali e per promuovere iniziative umanitarie e filantropiche. Così, nel 1835, divenne membro dell’Accademia degli Infecondi, insieme con A. Vannucci, col quale cercò di dar vita, peraltro con scarsa fortuna, a un asilo infantile sul modello di quello fondato nel 1829 a Cremona da F. Aporti.
Convinto che non potesse «sorgere un popolo libero e indipendente dalla testa dei principi» (cit. in Adami, p. 63), nel 1847 guardò con grande diffidenza al movimento riformatore avviato da Pio IX. Nondimeno, promulgata anche da Leopoldo II, granduca di Toscana, la legge che introduceva una sia pur limitata libertà di stampa, il M. nel giugno 1847 fu tra i fondatori a Firenze del giornale L’Alba, dalle cui colonne sostenne gli ideali democratici e patriottici. Il 22 marzo 1848, allo scoppio della prima guerra d’indipendenza, si aggregò alla colonna di volontari che, partiti dalla Toscana alla volta della Lombardia, furono invece diretti a Modena, dove la città si era ribellata al duca Francesco V e dove il M. si adoperò invano per l’instaurazione di un governo repubblicano.
Rientrato a Prato, divenne l’animatore del Circolo del popolo, che raccolse gli elementi democratici di orientamento repubblicano ed elaborò un programma politico molto avanzato, in cui figuravano la richiesta del suffragio universale, della libertà di parola e di associazione, di vaste autonomie municipali e di un insieme di riforme sociali volte a risolvere i problemi del lavoro e a migliorare le condizioni delle classi popolari.
Sulla base di questo programma, nel giugno 1848 il M. fu eletto deputato al Consiglio generale della Toscana, nel cui seno si batté per riprendere la guerra contro l’Austria e per una estensione delle libertà statutarie. Sostenne le sue posizioni anche sulle pagine de L’Inflessibile, un giornale il cui primo numero apparve l’8 luglio 1848 e alla cui fondazione il M. concorse insieme con F.D. Guerrazzi e altri esponenti dello schieramento democratico. Il 28 ott. 1848, quando G. Montanelli fu chiamato dal granduca alla guida del governo, il M. ebbe il dicastero di Grazia e giustizia e degli affari ecclesiastici e il 20 novembre seguente fu rieletto all’Assemblea toscana, dove peraltro i democratici non riuscirono a ottenere la maggioranza. Dopo la partenza di Leopoldo II da Firenze, l’8 febbr. 1849, e la sua decisione di rifugiarsi a Gaeta, il M. entrò a far parte, con Montanelli e Guerrazzi, del governo provvisorio che resse le sorti dello Stato e, come primo atto, indisse per il 13 marzo le elezioni di un’Assemblea costituente, cui rinviò l’eventuale proclamazione della Repubblica. Quando l’Assemblea si aprì, il 25 marzo 1849, il Triumvirato rimise il suo mandato alla Costituente, che concesse poteri straordinari al solo Guerrazzi. Questi, contrariamente al desiderio popolare e ai propositi di Montanelli e del M., si rifiutò di proclamare la Repubblica e di legare le proprie sorti a quelle della Repubblica Romana. La «dittatura» guerrazziana, tuttavia, ebbe vita breve: infatti il 12 apr. 1849 l’esercito austriaco varcava l’Appennino e riportava sul trono Leopoldo II.
Per il M. si aprì inevitabilmente la strada dell’esilio: riuscito a sfuggire alle ricerche della polizia, riparò a Marsiglia e di qui a Parigi, dove giunse sul finire del giugno 1849. Membro attivo della folta comunità di patrioti italiani rifugiatisi in Francia, il M. prese parte al dibattito che si sviluppò sul fallimento dei moti rivoluzionari del 1848 e della prima guerra d’indipendenza. In un primo tempo, fino al colpo di Stato del 2 dic. 1851, che di fatto pose fine all’esperienza repubblicana francese e alle speranze di quanti guardavano a Parigi per rilanciare la rivoluzione in Europa, partecipò attivamente anche ai progetti per dare un’organizzazione più stabile al movimento patriottico italiano. Poi, specialmente dopo il fallimento dei moti mazziniani del 1853, prevalse lo scoramento e il M., mentre si dibatteva nelle difficoltà quotidiane dell’esperienza di esule (resa definitiva dalla condanna all’ergastolo inflittagli nel 1853 nel processo celebrato a Firenze contro i membri del decaduto governo provvisorio), non risparmiò le critiche contro chiunque, a cominciare appunto da G. Mazzini, si ostinava a promuovere sussulti insurrezionali destinati inevitabilmente a concludersi nella sconfitta.
Negli anni trascorsi in Francia il M. venne affinando la propria concezione della democrazia e molto gli giovò in tal senso l’amicizia che strinse con F. de Lamennais, già conosciuto a Prato nel 1832, e con P.-J. Proudhon. Dal primo, al quale il M. fu assai vicino fino alla morte, avvenuta nel marzo 1854, trasse importanti spunti di riflessione sul tema della libertà di coscienza, sul problema dei rapporti fra Stato e Chiesa e sui diritti inviolabili del cittadino. Di Proudhon condivise l’idea del valore sociale del lavoro e il conseguente impegno per arrivare gradualmente, senza scosse violente, a una società più egualitaria e progressista. Ma soprattutto mutuò da Proudhon l’impostazione antiautoritaria e l’avversione per ogni forma di accentramento statalistico, cui oppose sempre, pur senza approdare a una visione compiutamente federalistica, il concetto, caro alla cultura politica toscana, di uno Stato basato su una forte autonomia dei poteri locali e sulle più ampie libertà individuali.
Nel settembre 1858 il M., che tre anni prima era stato raggiunto a Parigi dalla moglie e dai figli e versava in condizioni economiche disagiate, si trasferì a Madrid, dove gli era stato offerto un impiego ben retribuito di precettore. Di qui assistette scettico e disincantato alle iniziative della Società nazionale di G. Pallavicino e G. La Farina, convinto che nessun repubblicano avrebbe dovuto aderire al programma «Italia e Vittorio Emanuele». Neppure la rivoluzione pacifica del 27 apr. 1859, che segnò la fine della dinastia lorenese in Toscana, valse a vincere il suo atteggiamento di distaccato riserbo. Rientrò a Prato soltanto il 2 ag. 1859 per rispondere positivamente all’appello dei democratici della sua città natale, che lo avevano candidato all’Assemblea nazionale, il nuovo Parlamento toscano che iniziò i suoi lavori a Firenze l’11 agosto seguente e pochi giorni dopo votò a larga maggioranza l’annessione al Piemonte sabaudo. Il M., fedele ai suoi principî repubblicani, manifestò la sua contrarietà disertando la seduta.
Analoga decisione fu assunta da Montanelli, il quale perorava la formazione di uno Stato centrale d’Italia, la soluzione caldeggiata da Napoleone III, cui più tardi si avvicinò anche il M., convinto che essa potesse rappresentare una sorta di male minore, ritardando i plebisciti e facendo riaffiorare l’idea, a lui cara, di un’assemblea costituente che si pronunciasse sulla forma istituzionale del nuovo Stato italiano.
Nel 1860 il M. fu attivo nella raccolta di fondi per la spedizione garibaldina in Sicilia e sul finire dell’anno fu tra i fondatori a Firenze della Fratellanza artigiana, un’associazione destinata a giocare un ruolo importante nella storia del movimento operaio italiano. Fu in questo ambito, e più in generale nelle vicende delle organizzazioni democratiche e repubblicane, che il M. profuse le sue energie migliori negli anni immediatamente successivi, presiedendo il IX congresso delle società operaie italiane che si tenne a Firenze nel settembre 1861 e dando vita sempre a Firenze nel febbraio 1862, insieme con G. Dolfi e A. Martinati, alla Società democratica.
Di tendenze radicali, essa ebbe come portavoce il giornale La Nuova Europa, il cui primo numero apparve il 14 apr. 1861 e si distinse, nella sua breve ma battagliera esistenza (cessò le pubblicazioni nell’ottobre 1863), per la clamorosa polemica con Mazzini. Il M. e gli altri collaboratori del giornale, fra i quali si segnalò soprattutto A. Mario, proposero infatti l’«inversione della formula» mazziniana «unità-libertà», sostenendo la necessità per il movimento democratico di anteporre alla lotta per l’unità nazionale la battaglia per le riforme civili e politiche e per il decentramento amministrativo.
Rispetto a Mario e agli altri democratici fiorentini, il M. evidenziava una maggiore attenzione per la questione sociale, che si rafforzò notevolmente dopo il suo incontro con M. Bakunin, nel 1864, quando questi arrivò a Firenze e individuò proprio nel M. uno degli interlocutori privilegiati per la realizzazione dei suoi progetti politici. E in effetti il M. divenne uno fra gli uomini di maggior spicco delle organizzazioni segrete costituite da Bakunin per perseguire le sue finalità rivoluzionarie e sovvertire gli assetti sociali e politici esistenti: nel 1864 aderì alla Fratellanza internazionale, nel novembre 1868 all’Alleanza internazionale della democrazia socialista e nel febbraio 1869 alla sezione di Ginevra dell’Associazione internazionale dei lavoratori. Con il trascorrere degli anni, comunque, il M. prese gradualmente le distanze dalle posizioni più estremistiche assunte da Bakunin, di cui non condivideva la deriva nichilista e l’accentuato antistatalismo. Alcuni incontri fra i due, avvenuti a Prato fra il marzo e l’aprile del 1871, proprio nei giorni in cui si consumava la sanguinosa esperienza della Comune di Parigi, non valsero a ricucire un rapporto che si era ormai irrimediabilmente deteriorato.
Il M., attestatosi su una linea più moderata, ricopriva da qualche mese la carica di deputato, a cui era stato eletto nel dicembre 1870 nel collegio di Prato. Confermato nelle elezioni politiche del 1874 e del 1876, alla Camera sedette a sinistra, ma non si distinse per una presenza particolarmente attiva nelle discussioni. Il 17 marzo 1879 fu nominato senatore e prestò giuramento il 17 giugno successivo. Nel ventennio postunitario, inoltre, fu costantemente presente nel Consiglio comunale di Prato e dal 1865 in quello provinciale di Firenze.
L’ultimo decennio della sua vita fu caratterizzato, oltre che dall’attività parlamentare, dalla militanza nella massoneria, cui era stato iniziato nel 1849 nella loggia Saint-Jean d’Écosse di Marsiglia. Regolarizzato nel 1869 nella loggia Universo di Firenze, nel maggio di quel medesimo anno il M. fu eletto gran maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia, l’obbedienza massonica che dal settembre 1870, dopo le dimissioni del gran maestro L. Frapolli, guidò come reggente e della quale fu poi gran maestro effettivo dal 27 genn. 1871 fino alla morte. Fra gli atti più significativi che il M. compì nel suo decennio alla guida del Grande Oriente vanno ricordati il trasferimento della sede a Roma nel 1871, la fusione con il Supremo Consiglio del rito scozzese di Palermo nel 1872 (che pose fine al dissidio fra le logge che praticavano il rito simbolico e quelle di rito scozzese, per lo più ubicate nel Mezzogiorno e di spiccata intonazione democratico-repubblicana), la fondazione nel 1877 della loggia Propaganda massonica, capeggiata in prima persona dal gran maestro e destinata ad accogliere gli esponenti più in vista del mondo politico, economico e culturale.
Il M. morì a Prato l’11 maggio 1880.
I solenni funerali, celebrati in forma civile il 14 maggio, videro un’immensa partecipazione di folla, di istituzioni, scuole, associazioni, e rappresentarono per la città di Prato la più grandiosa manifestazione pubblica del secondo Ottocento. Il Grande Oriente d’Italia rese onore al suo gran maestro, presenziando alle esequie con tutti i suoi maggiori dirigenti e con alcune centinaia di affiliati, ognuno rivestito delle insegne massoniche, in modo da rompere il segreto che avvolgeva l’istituzione liberomuratoria e da dare grande visibilità alla sua crescente volontà di protagonismo nella sfera pubblica. Nel gennaio 1885 i resti mortali del M. vennero esumati, trasportati a Roma, e qui, dopo essere stati inceneriti nel tempio crematorio, collocati in quella parte del cimitero del Verano che era stata acquistata dalla massoneria grazie al contributo finanziario di A. Lemmi e destinata da allora ad accogliere le spoglie dei grandi maestri.
Fonti e Bibl.: Le carte del M. si conservano a Pistoia presso la Biblioteca comunale Forteguerriana (cfr. Inventario delle carte di G. M., con introd. di G. Savino, Prato 1975: estr. da Arch. stor. pratese, XLIX [1973], pp. 164-288). Un notevole apporto alla conoscenza del percorso biografico del M. è venuta dalla pubblicazione delle sue memorie, conservate a Prato presso l’archivio privato della famiglia Cipriani-Berti: G. Adilardi, Memorie di G. M. (1808-1880), I, L’uomo, il politico, il massone (1808-1861), Pisa 2008. Fra i nuclei dei suoi carteggi pubblicati si vedano: Lettere inedite di G. M. ex triumviro del governo provvisorio toscano ad Atto Vannucci, a cura di F. Rosso, Torino 1905; F. Fiorelli, Lettere di G. M. a Carlo e Diego Martelli, in Arch. stor. pratese, XXV (1949), pp. 3-20; Quattro lettere inedite di Bakunin a G. M., a cura di G. Cerrito - P.C. Masini, in Movimento operaio, III (1951), pp. 617-622; F. Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l’Unità (1860-1900), Firenze 1990, pp. 219-250 (17 lettere del M. a F. Campanella). Un’esauriente rassegna critica degli studi sul M. e una ricca selezione di suoi scritti e discorsi si trova in G. Adami, G. M. un maestro di libertà, Firenze 1979. Fra i contributi apparsi successivamente si segnalano: C. Ceccuti, Prato nel Risorgimento e nell’Italia unita, in Storia di Prato, III, Prato 1980, pp. 138 s., 157, 161, 164 s., 168, 173-175, 189, 195, 198, 200 s.; Prato, storia di una città, diretto da F. Braudel, III, Il tempo dell’industria (1815-1943), a cura di G. Mori, Prato-Firenze 1988, ad ind.; F. Riccomini, Prato e la massoneria, 1870-1923, Roma 1988; A.A. Mola, Storia della massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Milano 1992, ad ind.; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli «anni francesi» all’Unità, Torino 1993, pp. 347, 359, 391 s., 394; La provincia di Firenze e i suoi amministratori dal 1860 ad oggi, a cura di S. Merendoni - G. Mugnaini, Firenze 1996, pp. 11-24; F. Conti, L’Italia dei democratici. Sinistra risorgimentale, massoneria e associazionismo fra Otto e Novecento, Milano 2000, ad ind.; Id., Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, ad ind.; F. Lucarini, Governare il Municipio. Poteri locali e dinamiche istituzionali a Prato da Depretis a Giolitti (1880-1901), Macerata 2004, pp. 31, 35, 38, 57, 65, 112, 130, 183-185, 197; A. Chiavistelli, Dallo Stato alla Nazione. Costituzione e sfera pubblica in Toscana dal 1814 al 1849, Roma 2006, pp. 272 s., 328, 341.