MELCHIORRI, Giuseppe
– Nacque a Roma il 2 marzo 1796, primogenito del marchese Pietro e di Ferdinanda Leopardi, sorella del conte Monaldo.
Apparteneva a una nobile famiglia recanatese di solidi sentimenti papalini che si era distinta nel XVI secolo con Girolamo, vescovo di Macerata, governatore di Bologna e quindi prefetto della Segnatura; Francesco, oratore e poeta lodato da G.B. Guarini, e Tommaso, poeta e musicista ricordato come mecenate dal cavalier G.B. Marino. Il padre, membro nel 1782 del Consiglio della Comunità recanatese, all’arrivo dei Francesi, nel febbraio 1797, subì, al pari di altre famiglie, pesanti requisizioni. Secondo il catasto gregoriano del 1833 non era tra i maggiori proprietari fondiari della zona.
Le perdite economiche subite dal padre spinsero il M. a entrare nelle guardie nobili pontificie. Contestualmente si dedicò allo studio dell’antichità classica e iniziò a descrivere i monumenti cittadini nelle Effemeridi letterarie di Roma, che però nel dicembre 1823 cessò le pubblicazioni; allora il M., insieme con Luigi e Clemente Cardinali e P.E. Visconti, fondò nel 1824 le Memorie romane di antichità e belle arti. A fare conoscere il M. contribuirono alcuni studi, tra cui l’Esame del saggio d’osservazione sopra Pausania del sig. Antonio Nibby (Roma 1822) e In veterem Demetrii Superistae inscriptionem commentarium (ibid. 1823). Sempre nel 1824 fu chiamato a collaborare alla fiorentina Antologia.
In realtà la proposta di riferire sull’attività letteraria e scientifica dello Stato pontificio era stata fatta il 15 genn. 1824 da G.P. Vieusseux al cugino del M., Giacomo Leopardi, che però aveva rifiutato affermando di non potersi aggiornare sulle novità culturali; di conseguenza, l’incarico fu affidato al M. che nel 1825 pubblicò nell’Antologia le Lettere archeologiche.
Intimo del conte B. Borghesi e dei più insigni archeologi italiani e stranieri, il M. vantò altolocate relazioni nella Curia e nel patriziato romano, come pure nei circuiti culturali: amico di A. Canova e del cardinale E. Consalvi, fu di casa in palazzi come quello dei Vera, frequentati da nobili quali i Boncompagni Ludovisi principi di Piombino, i conti Cenci, gli Odescalchi e da diplomatici come il danese B.G. Niebuhr e C. von Bunsen, che si alternarono nel ruolo di incaricati di affari del Regno di Prussia presso la corte romana. In particolare, il M. intrattenne per anni un rapporto molto confidenziale con il cugino Giacomo che, peraltro, non ebbe grande stima della sua cultura, prevalentemente erudita e storico-archeologica, e dei suoi meriti letterari. Tuttavia la corrispondenza tra Leopardi e il M. copre un decennio (1822-32) e rivela diversi spunti di interesse.
La parte più vivace della corrispondenza si concentra nel triennio 1822-25. Diverse lettere aiutano a comprendere la poetica di Leopardi e alcune idee centrali della sua esistenza; altre informano sul soggiorno romano (autunno 1822 - primavera 1823) del poeta che, in una lettera al padre, tracciò questo ritratto del M.: «veramente non è un cattivo giovane, anzi è più di tre volte buono, e smaniosamente infatuato della letteratura assai più di quello che sia mai stato io medesimo» (Roma, 29 nov. 1822: cfr. Leopardi, 1983, p. 1130). Dal canto suo il M. introdusse il cugino nei salotti romani e gli aprì la cerchia dei frequentatori suoi e di casa Antici. Ancora, nelle sue lettere Leopardi tratta i temi dell’amore (Giacomo al M., Recanati, 19 dic. 1823: ibid., p. 1175), dell’ispirazione e del metodo poetico (Recanati, 5 marzo 1824: ibid., p. 1180), di estetica, del disprezzo verso la cultura letteraria italiana, ritenuta superata e accademica («non si sa altro che far sonetti, e letterato e sonettista son sinonimi»; Bologna, 18 genn. 1826: ibid., p. 1234), dei problemi della vita quotidiana. Il M. fu anche amico e corrispondente di A. Ranieri.
Nel 1837 la vita privata del M. fu segnata dalla morte dell’unico figlio maschio, chiamato Giacomo per amore del cugino, scomparso anch’egli pochi mesi prima. Animato da un forte desiderio di emergere in campo culturale, il M. predilesse studi e ricerche di archeologia e storia romana che gli fruttarono la nomina a socio dell’Accademia Romana e l’ingresso nella magistratura capitolina. Aggregato all’Accademia di S. Luca come socio onorario, fu cooptato dall’Istituto archeologico e, il 21 sett. 1838, designato dal Senato romano a presiedere «perpetuamente» il Museo capitolino.
Proprio una relazione del M., in data 30 dic. 1847, ci informa che il presidente aveva la responsabilità e la direzione dell’ente, teneva un archivio apposito, sorvegliava gli impiegati, concedeva i permessi di studio e accompagnava i personaggi di sangue reale nelle visite al Museo, mentre le restanti attribuzioni spettavano alle magistrature cittadine. Con gli inizi del 1848, in seguito al motu proprio di Pio IX del 1°ott. 1847 sulla riforma dell’amministrazione comunale, il presidente del Museo aggiunse ai suoi compiti la cura della Pinacoteca e della Protomoteca.
Il M. continuò l’opera di arricchimento delle raccolte archeologiche e si distinse per una solerte attività di promozione culturale; tra i suoi maggiori lavori negli anni della Restaurazione vanno segnalati la Guida metodica di Roma e suoi contorni (Roma 1834), considerata «guida sapiente» e la «prima che rappresentasse veramente la città eterna compiutamente», che avrebbe conosciuto ben sei edizioni nel successivo trentennio e una traduzione in francese nel 1837-38, e le Memorie intorno alla disfida di Barletta (ibid. 1836), sollecitate dal romanzo di M. Taparelli d’Azeglio, nelle quali fece conoscere molti documenti, tra cui non pochi inediti, ignoti allo stesso Azeglio; tra le altre opere, che godettero di un certo successo, si rammentino, inoltre, Le decadi epigrafiche, pubblicate nel Saggiatore, nelle quali annunciò nel 1844 il vasto lavoro compiuto con la collaborazione di A. Gennarelli sulle iscrizioni marmoree dei due più celebri porti romani, Ostia e Porto.
Inoltre, il M. fece parte negli anni Quaranta – con il marchese R. Muti e G. Piccolomini – della commissione dei conservatori capitolini che lavorò a una nuova edizione del Libro d’oro capitolino: concluso nel 1842 e affidato alla legatura nel 1844, fu poi presentato, il 27 luglio 1847, alla congregazione della Camera capitolina.
L’opera, terminata inserendo dei fogli appositamente bianchi «per le aggregazioni successive al 1847», costituì una significativa raccolta delle famiglie nobiliari romane, con la quale si potevano ripercorrere «le linee della politica nobiliare post-napoleonica» (Arcangeli, p. 138).
Nel gennaio 1846 la decisione del commissario delle Antichità P.E. Visconti di non far visitare il Museo capitolino all’imperatore di Russia Nicolò I provocò imbarazzo nell’Accademia archeologica e fu considerata uno sgarbo nei confronti del M., tanto da indurre Gregorio XVI, per compensazione, a decorarlo dell’Ordine di commendatore.
Nel 1846 il M. lasciò per qualche anno gli studi di archeologia per dedicarsi ai progetti delle prime reti ferroviarie nello Stato pontificio. Entrò nella Società Pia Aurelia la quale, sottoscritta il 9 dic. 1847 e rappresentante in realtà la Società generale d’imprese industriali negli Stati d’Italia sorta nel 1846 a Firenze, fu autorizzata, il 25 nov. 1848, dal ministero dei Lavori pubblici a costruire la linea ferroviaria da Roma a Ceprano; il 25 genn. 1849 la Commissione provvisoria di governo approvò la nuova Società Pia Latina e relativo statuto.
Negli ultimi anni il M. riprese i prediletti studi archeologici ed eruditi, come testimonia la sua opera postuma Appendice agli Atti e monumenti de’ Fratelli Arvali (Roma 1855).
Il M. morì a Roma il 14 febbr. 1855.
Fonti e Bibl.: A. Gennarelli, Necrologio romano, in Arch. storico italiano, n.s., 1857, t. 6, parte 2ª, pp. 38-46; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di M.L. Trebiliani, I, Roma 1972, pp. 96, 159; G. Leopardi, Tutte le opere, a cura di W. Binni, I, Firenze 1983, ad ind.; M. Leopardi, Annali di Recanati, Loreto e Portorecanati, a cura di F. Foschi, Recanati 1993, p. 368; A. Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, a cura di R. Bertazzoli, Milano 1995, ad ind.; A. Bravi, Recanatesi illustri, Recanati 1874, pp. 65 s.; A. Bettini, Storia di Recanati, Recanati 1961, pp. 192, 201, 238; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana, Roma 1971, II, pp. 320, 375; III, p. 254; M. Franceschini, La presidenza del Museo capitolino (1733-1869) e il suo archivio, in Boll. dei Musei comunali di Roma, n.s., I (1987), pp. 63-72; M. Moroni, Recanati negli anni del Leopardi. Nobili e borghesi in una città di provincia nel primo Ottocento, Recanati 1989, ad ind.; Id., La rinascita urbana di Recanati tra Sette e Ottocento, in Proposte e ricerche, XXVI (1991), p. 198; G. Arcangeli, Notazioni di araldica romana nella Restaurazione, in Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX…Atti del Convegno, Roma…1995, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma-Freiburg i.B.-Wien 1997, pp. 136, 138; V. De Caprio, Il classicismo del «Giornale Arcadico» di fronte alla letteratura moderna, ibid., p. 671; F. Fredi, «In nome del nostro Giacomo»: saggio di edizione del carteggio Ranieri - Melchiorri, in «Feconde venner le carte»: studi in onore di Ottavio Besomi, a cura di T. Crivelli, I-II, Bellinzona 1997, pp. 506-528; M. Panconesi, Le ferrovie di Pio IX. Nascita, sviluppo e tramonto delle strade ferrate dello Stato pontificio (1846-1870), Cortona 2005, ad ind.; G. Moroni, Diz. d’erudizione storico-ecclesiastica, XXXVII, p. 169; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, Appendice, II, pp. 314 s.; Diz. biografico dei Marchigiani, a cura di G.M. Claudi - L. Catri, Ancona 2002, p. 334.
M. Severini