MENGONI, Giuseppe
– Nacque a Fontanelice, vicino Imola, il 23 nov. 1829 da Zaccaria e da Valeria Bragaldi, secondo di quattro figli.
Nel corso dei suoi studi al liceo di Imola si distinse come allievo degno di lode, particolarmente interessato alle lezioni di disegno. Nel 1847 la famiglia si trasferì a Bologna per consentire ai figli la prosecuzione degli studi. L’anno seguente il M. si arruolò come volontario nel battaglione dei Cacciatori dell’Alto Reno, comandato da L. Zambeccari. In novembre si iscrisse all’Accademia di Bologna (Ricci, p. 20), nonostante la smentita successiva dello stesso M. in una nota lettera indirizzata a E. Treves nel 1876 (L’architetto M.…). Molto importanti per lui furono i corsi di prospettiva di F. Cocchi, con il quale strinse saldi rapporti di amicizia, e le lezioni di architettura e ornato di F. Lodi, conoscitore dei moderni elementi da costruzione in ferro. Contemporaneamente iniziò gli studi presso la facoltà di fisica matematica dell’Università di Bologna, unendo conoscenze artistiche proprie dell’architetto con competenze tecniche e ingegneristiche, sempre più richieste dalla pratica costruttiva, soprattutto all’estero.
Laureatosi nel 1851 con una tesi in ottica, viaggiò in Germania, Francia e Inghilterra, soggiornando anche a Roma. Lo stesso anno partecipò al premio curlandese, sia per la sezione di prospettiva, con un disegno di Rovine di un’antica cattedrale (Verbania, collezione privata), sia per il concorso grande di architettura, con un progetto per una caserma. Pur vincendo, senza difficoltà, la prima competizione, nel secondo caso, sebbene risultasse favorito per ben due volte, a causa di discutibili manovre legali intraprese da un progettista rivale, il concorso venne annullato.
Nel 1852 perse il fratello diciottenne Giovanni e nel 1856 morì anche il padre.
Tra il 1857 e il 1859 collaborò alla progettazione della ferrovia Pracchia-Bologna, sotto la direzione dell’ingegnere J.L. Protche. Terminata questa esperienza, ricevette l’incarico per la sistemazione della piazza di Porta Saragozza. All’inizio del 1860 realizzò gli apparati cerimoniali per l’arrivo in città del re Vittorio Emanuele II. Intanto, il neoeletto ingegnere capo, C. Monti, assunse per sé l’incarico di piazza di Porta Saragozza, copiando in modo infelice il progetto del M., che inviò, nel 1861, ad alcuni importanti architetti italiani una copia delle due proposte rivali, suscitando vivaci reazioni, tra le quali spiccò quella indignata di P. Selvatico, e causando l’interruzione immediata dei lavori.
Lo stesso anno prese parte al secondo concorso per la risistemazione di piazza Duomo a Milano e realizzò a Bologna, con Cocchi e A. Muzzi, il catafalco commemorativo per la morte di C. Benso conte di Cavour. Nel 1862 intraprese la trasformazione dell’antico convento dei minori francescani di Castel Bolognese nel palazzo municipale, mentre la sua proposta per la nuova piazza Duomo venne giudicata la migliore, nonostante l’estrema fedeltà alle indicazioni della commissione e la semplicità degli ornati.
Non furono decretati vincitori. L’anno seguente fu costretto dai veti di Monti a rivedere il progetto per il bolognese palazzo Poggi, ottenendone comunque l’approvazione. Inoltre venne selezionato dal Comune di Milano, con G. Pestagalli e N. Matas (che declinò l’invito), per la presentazione di una nuova proposta per piazza Duomo, approvata in settembre, dopo numerose controversie, con la richiesta di alcuni miglioramenti. Intanto crebbero le polemiche attorno alla decisione di erigere una galleria coperta da intitolare al re, che avrebbe collegato il duomo alla Scala (e per la quale il M. sarebbe rimasto celebre), alimentate da giornalisti, opinione pubblica e dalla Società degli artisti che, con a capo C. Boito, ne aveva subito decretato l’inutilità. Lo stesso anno progettò il palazzo municipale di Malalbergo (poi demolito).
Nel 1864 il M. si scontrò nuovamente con Monti, che bocciò in modo irrevocabile il suo piano di ristrutturazione di palazzo Legnani. Intanto il Consiglio comunale di Milano approvò i progetti definitivi per piazza Duomo.
Erano previsti: una galleria vetrata di pianta cruciforme, con ottagono centrale sormontato da una cupola monumentale in ferro e vetro e ingresso principale ad arco di trionfo; un palazzo, detto dell’Indipendenza, prospiciente la cattedrale (ne furono gettate solo le fondamenta); una grande loggia reale simmetrica all’arco trionfale (mai realizzata); edifici porticati di raccordo a uso civile. Il 7 marzo 1865 venne posta la prima pietra della futura galleria Vittorio Emanuele II, alla presenza del re, con apparati celebrativi ideati dal Mengoni. I lavori vennero assunti dalla società inglese City of Milan Improvements Co., il cui direttore tecnico era M.D. Wyatt. L’elemento di profonda novità si trovava nel coronamento degli edifici in stile eclettico fiancheggianti la nuova via: una cupola metallica di 37,5 m di diametro, costruita in loco con elementi prefabbricati dalla ditta H. Joret di Parigi e rivestita con vetri di Saint-Gobain. Il M. risanò così un’area che, per quanto antica, era formata da una fitta rete di vicoli stretti e malsani, sviluppando in Italia la tipologia del passage (introdotta a Milano con la più modesta galleria De Cristoforis) su scala monumentale e con risultati tuttora pienamente validi (divenendo un modello per analoghe imprese a Napoli e Genova). Lo stesso anno presentò il progetto di ristrutturazione della copertura del gran salone del palazzo pubblico di Piacenza, tramite l’impiego di strutture metalliche e travi in legno.
Nel 1866 il re visitò i cantieri della galleria, nel tentativo di placare i dibattiti ancora accesi attorno a un progetto economicamente impegnativo (seppur finanziato con i ricavati di un’apposita lotteria) e tecnicamente nuovo nel panorama nazionale, e dando inizio alla serie delle visite celebri, da A. Manzoni (6 nov. 1866) a Napoleone III (11 giugno 1867). Nonostante l’imperversare in Italia, nel 1867, di un’epidemia di colera e le disastrate condizioni economiche della società inglese, la nuova via coperta venne solennemente inaugurata da Vittorio Emanuele II il 15 settembre. La sera, ai Milanesi entusiasti, fu offerto lo spettacolo degli interni completamente illuminati da fiammelle a gas. In seguito, lo scioglimento della giunta comunale e i gravi dissesti finanziari della società costruttrice portarono alla sospensione dei lavori. Nonostante le numerose vicissitudini di quell’anno, il M. terminò il teatro di Magione, con ampie strutture interne in legno, come pure le piante e i prospetti per il palazzo della Cassa di risparmio di Bologna. Nel 1869 la City of Milan vendette al Comune della città, che subentrò nella prosecuzione dei lavori, le aree adiacenti al duomo per 7.300.000 lire. Il M., sollevato dalla direzione dei lavori fino al 1873, venne nominato direttore artistico e affiancato da G. Chizzolini, a lui particolarmente ostile.
Nel 1870 il Consiglio comunale di Firenze approvò i progetti per i nuovi mercati coperti, ispirati al modello parigino delle Halles di V. Baltard. Se nelle due costruzioni succursali di S. Ambrogio e S. Frediano (ora distrutta) le strutture in ghisa e ferro furono lasciate a vista, in quella centrale di S. Lorenzo il M. impiegò il motivo neorinascimentale del bugnato con scopi monumentali, unendo, come in tutta la sua opera, materiali tradizionali e moderni. Presentò, inoltre, al Comune di Cesena una proposta di risistemazione del borgo Chiesa Nuova (in via di demolizione), con case operaie bifamiliari sul tipo inglese del cottage e mercato coperto in ferro, che non ebbe seguito. L’anno seguente si inaugurò, alla presenza del principe Umberto, il nucleo principale del palazzo della Cassa di risparmio di Bologna (al quale il M. aggiunse, successivamente, un elegante lato posteriore terrazzato), realizzato sul modello del palazzo rinascimentale, con fronte porticato, ornamentazioni di raffinati marmi policromi e l’impiego di moderni elementi strutturali in ferro.
Nel 1872 sposò Carlotta Bossi; l’anno successivo fu all’Esposizione universale di Vienna, dove vennero messi in mostra i modelli della galleria, del mercato centrale e della Cassa di risparmio e uno dei cancelli disegnati per l’edificio bolognese.
In luglio presentò il suo piano regolatore per la città di Roma (mai attuato), i cui punti principali erano: il collegamento tra la città vecchia e i nuovi quartieri di Prati e fuori porta del Popolo tramite una rete di grandi strade e quattro nuovi ponti; la costruzione di un politeama all’ingresso di villa Borghese; l’unione delle piazze Colonna e Montecitorio, dove far sorgere il gran teatro della capitale; la nascita di una galleria coperta, compresa tra la nuova piazza e la fontana di Trevi.
Nel 1875, a Milano, dopo il compimento dei palazzi settentrionali e meridionali di piazza Duomo, in occasione della visita dell’imperatore tedesco Guglielmo I, venne abbattuto in un giorno e una notte il vecchio isolato del Rebecchino che ancora ingombrava l’area del duomo, permettendo al M., la sera del 18 ottobre, di tracciarne, con un raffinato gioco di luci, la sistemazione definitiva.
L’anno seguente assunse come imprenditore i lavori per il monumentale arco della galleria Vittorio Emanuele II, che si conclusero il 30 dic. 1877, quando, con un giorno di anticipo rispetto alla data di consegna prevista, e proprio nel compiere l’ultimo sopraluogo, il M. morì cadendo da un’impalcatura.
Quarantottenne, iniziava a essere noto allora in Europa. Aveva già approntato un progetto per un politeama da erigere a Berlino.
Fonti e Bibl.: L’architetto M.. Autobiografia, in L’Illustrazione italiana, V (1878), 1, pp. 3-6; A.R. Willard, History of modern Italian art, New York-Bombay 1898, pp. 539-546, 549, 568; D. Joseph, Geschichte der Architektur Italiens…, Leipzig 1907, pp. 442-449; G. Ricci, La vita e le opere dell’architetto G. M., Bologna 1930; B. Zevi, Storia dell’architettura moderna, Torino 1950, pp. 694, 700 e passim (con bibl.); H.R. Hitchcock, Architecture. Nineteenth and twentieth centuries, Harmondsworth 1958, pp. 120, 146 s.; P. Sica, Storia dell’urbanistica, II, Roma-Bari 1977, pp. 452 s., 500-504; V. Fontana - N. Pirazzoli, G. M. 1829-1877, Ravenna 1987 (con bibl. sui singoli progetti); O. Selvafolta, Il contratto di costruzione della galleria Vittorio Emanuele II di Milano, in Il modo di costruire. Atti del Seminario internazionale,… 1988, a cura di M. Casciato - S. Mornati - C.P. Scavizzi, Roma 1990, pp. 433-446; E.W. Wolner, Galleria Vittorio Emanuele II, in International Dictionary of architects and architecture, a cura di R.J. van Vynckt, II, Detroit-London 1993, pp. 584-586; G. M. Ingegnere-architetto (1829-1877), a cura di B. Bonantini, Imola 1994; L. Gioeni, L’affaire Mengoni, Milano 1995 (con bibl.); La galleria Vittorio Emanuele e l’architetto M. (catal., Milano), a cura di G. Gresleri, Imola 1997; G. M. architetto d’Europa… (catal.), a cura di A.M. Guccini, Bologna 1998; A. M. Guccini, Alla scoperta del moderno: G. M. architetto d’Europa, in Parametro, XXIX (1998), 225, pp. 17-21; Norma e arbitrio… (catal., Bologna), a cura di G. Gresleri - P.G. Massaretti, Venezia 2001, pp. 132-143, 396 e passim (con bibl.); Storia dell’architettura italiana. L’Ottocento, a cura di A. Restucci, I, Milano 2005, pp. 74, 158, 214, 275, 282 e passim; La trasmissione del sapere, a cura di A.M. Guccini, in corso di stampa.
E. Piersensini