Giuseppe Messina
Giuseppe Messina fu uno dei primi giuristi italiani ad abbandonare il metodo esegetico a favore di quello 'tecnico-giuridico' praticato dalla dottrina pandettistica (Mengoni 1976, rist. 1985, p. 19), differenziandosi da quest’ultima per il fatto che adottò una concezione ormai integralmente statalista del diritto (secondo Messina, «ogni effetto giuridico non può essere creato se non dalla norma giuridica»: Diritti potestativi, 1938, rist. in Scritti giuridici, 5° vol., 1948, p. 53). Egli condensò la sua impostazione metodologica affermando che «a noi sembra che tanto nei riguardi dell’interpretazione delle leggi quanto rispetto alla loro applicazione, né il puro indirizzo logico costruttivo, né quello esclusivamente teleologico della valutazione degli interessi siano sufficienti, ma che si debba venire ad una teoria monistica, la quale conservando la costruzione logica come elemento formale sfrutti l’apprezzamento degli interessi quale base materiale della prima» (Negozi fiduciari, 1910, rist. in Scritti giuridici, 1° vol., 1948, p. 100).
Nato a Naro, in provincia di Agrigento, il 20 febbraio 1877, Messina compì gli studi medi e universitari a Sassari, dove aveva seguito il padre ingegnere. All’università strinse amicizia con un altro studente, Antonio Cicu. Si laureò nel 1898 con una tesi (pubblicata l'anno successivo) su un tema scelto da lui stesso, La promessa di ricompensa al pubblico, che rappresentò una
esemplare monografia nella quale nessuno potrebbe riconoscere un lavoro giovanile, tanto è già piena e robusta la maturità del pensiero, tanto è ricca e varia l’informazione, tanto sono sapienti e rigorosi l’ordine della trattazione e il metodo della ricerca (Furno 1951, p. 501).
Non ebbe maestri, ma frequentò assiduamente Flaminio Mancaleoni e la sua ricca biblioteca. Quale modello ideale scelse invece Giacomo Venezian (Cicu 1947, p. 106).
Nel 1902 vinse il concorso per la cattedra di diritto civile all’Università (allora 'libera') di Perugia, e l’anno successivo passò a quella di Macerata. Nel 1911 venne chiamato dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo per la cattedra di procedura civile; passò poi a quella di diritto civile, quando Leonardo Coviello fu chiamato a Napoli. A Palermo, dove ritrovò Salvatore Riccobono (suo professore a Sassari nel 1897), iniziò a esercitare la professione di avvocato. Nel 1934 fu chiamato dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma per la cattedra di diritto civile, e dedicò la sua prolusione, purtroppo non pubblicata, al tema Il diritto civile giurisprudenziale; a Roma divenne anche membro del Consiglio superiore forense. Nell'università, oltre all’amico Cicu, ebbe due allievi 'diretti': anzitutto Gioacchino Scaduto, che sposò la sua figlia maggiore, e poi Mario Allara.
All'inizio del secolo Messina frequentò «gli ambienti ove il riformismo dell’età giolittiana avrebbe dovuto dare il meglio di sé» (Romagnoli 2008, p. 22). Nel 1903, su proposta dell’economista Giovanni Montemartini (direttore dell'Ufficio del lavoro, appena istituito presso il ministero di Agricoltura, Industria e Commercio), gli venne affidato dal Consiglio superiore del lavoro (corpo consultivo di alto livello costituito nel 1902) il compito di «elaborare il materiale concordatario, che originariamente era stato raccolto per studiare un progetto di legge sul contratto di lavoro» (Vano 1986, p. 134). Egli partecipò poi, in qualità di esperto e su designazione del ministero, ad alcune sedute del Consiglio del lavoro indette per elaborare una specifica proposta di legge. Nella sua relazione La personalità giuridica delle associazioni professionali (1907) si oppose in modo vigoroso alla proposta del delegato della Lega nazionale delle cooperative, il socialista Gino Murialdi, di riconoscere la personalità giuridica alle associazioni sindacali (Pellegrini, in Il Consiglio superiore del lavoro, 1988, pp. 169 e segg.; la vicenda è ben ricostruita in P. Passaniti, Filippo Turati giuslavorista, 2008, pp. 164-75); riteneva infatti che sarebbe stato opportuno concentrarsi, più che sui soggetti sindacali, sull’attività sindacale (Per il regolamento legislativo dei concordati di tariffa, 1907).
Oltre all’attività giuridica, Messina svolse anche attività politica. Nel 1919 aderì al Partito popolare italiano, appena fondato da Luigi Sturzo, che «lo spinse a occuparsi attivamente di politica e lo volle candidato, senza successo, alle elezioni per il Parlamento» del 16 novembre di quell'anno (Palazzo 1994, p. 257 nota 23). Dieci anni dopo, ormai in pieno regime fascista, Messina fu eletto in Parlamento nella XXVIII legislatura, e svolse la sua attività di deputato dal 20 aprile 1929 al 19 gennaio 1934 (Camera dei deputati, Indice generale dell'attività parlamentare dei deputati, legisl. XXVIII, pp. 240-41). Sennonché, dall’attività politica «presto si ritrasse non senza amarezza» (Maroi 1947, rist. 1956, p. 568). Vero è che la sua «dirittura morale […] costituì un ostacolo a pervenire nella vita politica ad una posizione di primo piano» (Cicu 1947, p. 107).
Messina ebbe, infine, una notevole «attitudine a legificare», specie in materia agraria (Cicu 1947, p. 107); non a caso fu amico intimo del giurista Ageo Arcangeli, specialista tra l'altro di diritto agrario, che egli commemorò a Roma (Ageo Arcangeli, in Scritti giuridici in memoria di Ageo Arcangeli, 1937, p. 15). Scrisse su tutte le principali questioni di diritto agrario: dalle migliorie alla locazione dei fondi rustici, ai contratti collettivi in agricoltura, alla bonifica, agli usi civici; e molti di questi temi li riprese come parlamentare.
Partecipò, come consigliere tecnico della delegazione italiana, alla Conferenza internazionale del lavoro del 1933 a Ginevra e soprattutto, negli anni successivi, ai lavori per la preparazione del 'libro delle obbligazioni' del codice civile (Ministero di Grazia e Giustizia, Lavori preparatori del codice civile (anni 1939-1941): progetti preliminari del libro delle obbligazioni, del codice di commercio e del libro del lavoro, 5 voll., 1942). Morì a Roma il 25 aprile 1946.
Riguardo alle opere di Messina sul diritto civile e processuale, rimandiamo anzitutto a quanto già detto riguardo a La promessa di ricompensa al pubblico e alle opere di diritto agrario.
Devono poi essere rammentati gli scritti dedicati ai diritti potestativi: Sui così detti diritti potestativi (1906) e Diritti potestativi (1938). Si trattava di una categoria importata in Italia da Giuseppe Chiovenda, e che Messina difese «dalle più insidiose o seducenti o abbaglianti obbiezioni, da quelle del Rocco e del Coviello a quelle del Ferrara» (quest'ultimo fu da lui accusato di usare petizioni di principio: Sui così detti diritti potestativi, cit., rist. 1948, p. 22 nota 80), per finire con quelle di Francesco Carnelutti (Maroi 1947, rist. 1956, p. 572). Nel 1938 pubblicò Diritti facoltativi, contribuendo a far scomparire dal codice civile del 1942 questa ambigua espressione.
La serie di tre articoli La simulazione assoluta (1907-1908) si rivolse contro la seconda edizione (1905) del libro Della simulazione dei negozi giuridici di Francesco Ferrara, il suo «competitore» (Cicu 1947, p. 107), che ingaggiò subito con lui una cruenta polemica (in La simulazione assoluta, «Rivista di diritto commerciale», 1908, 5 e 6, pp. 460-82 e 550-73). La controversia ebbe peraltro il merito di perorare e preparare la riforma della materia (Fulvio Maroi parlerà poi di «dissidio per amore della scienza»: 1947, rist. 1956, p. 577). Con Ferrara, Messina fu invece d’accordo riguardo all’ammissibilità del negozio fiduciario anche nel diritto italiano.
Al 1902 risale il denso scritto intitolato Contributo alla dottrina della confessione, pubblicato come nota a sentenza sul «Foro sardo» e in cui Messina condensò uno studio che aveva progettato in tre volumi (Cicu 1947, p. 106).
Da processualista egli patrocinò «l’accoglimento dell’oralità del giudizio» (Sulla riforma del codice di procedura civile, 1933).
Infine, i civilisti contemporanei riconoscono unanimemente che al suo studio incompiuto sull’interpretazione del contratto (L'interpretazione dei contratti. Studi, 1906) risale la tesi, oggigiorno pacifica, sul carattere vincolante delle regole legali su questo tema (cfr. L. Bigliazzi Geri, L’interpretazione del contratto. Artt. 1362-1371, 1991, p. 31 nota 57).
Messina fu il primo autore italiano che riconobbe la necessità di tener conto della disparità di forza contrattuale tra le parti del rapporto di lavoro e, di conseguenza, di favorire lo sviluppo di normative inderogabili di contratto collettivo. Il suo studio giuslavoristico più citato è senz’altro quello sul concordato di tariffa (oggigiorno si parla di contratto collettivo), I concordati di tariffe nell'ordinamento giuridico del lavoro (1904), «tuttora fondamentale e ineguagliato per la profondità di analisi dogmatica e fecondità di risultati» (Mengoni 1978, p. 449).
Anzitutto, Messina argomentò l'«obbligatorietà giuridica dei concordati di tariffa», ignorati pochi anni prima da Lodovico Barassi (in Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, 1901). Tale soluzione contrattuale venne adottata anche dalla giurisprudenza probivirale.
Quanto all'effetto esercitato da tale concordato di tariffa sui futuri contratti di lavoro, Messina fu il primo autore italiano a superare la teoria atomistica, secondo la quale il contratto collettivo rappresenterebbe un 'semplice' contratto cumulativo di tanti contratti individuali quante sono le coppie di individui rappresentati dalle associazioni stipulanti (così A. Ascoli, Sul contratto collettivo di lavoro, «Rivista di diritto commerciale», 1903, 1, pp. 99 e segg.), e a confrontarsi con la teoria della rappresentanza di Philipp Lotmar. Orbene, su questo punto Messina affermò che
si deve ammettere che le parti si scambino la promessa d’intender trasfuso nelle contrattazioni individuali il contenuto delle tariffe, quando non l'abbiano richiamato espressamente. Non è esatto sostenere l’assenza di un tale impegno iniziale riducendo le tariffe a servire di base di fatto pei futuri contratti se nella conclusione di questi, e non prima, le parti vi si riferiscono esplicitamente o presuntivamente tralasciando di regolare i punti previsti dalle tariffe [...]. Il solo fatto che nella pratica s’incontrano delle resistenze alla partecipazione ai concordati è la migliore prova che si sente quell'impegno iniziale e che avviene lo scambio di quella promessa» (I concordati di tariffe, rist. in Scritti giuridici, 4° vol., 1948, p. 38).
Come si vede, Messina risolse il problema dell’efficacia delle clausole collettive sui rapporti di lavoro facendo ricorso all’obbligo di considerarle parti dei contratti individuali nei quali, per così dire, si incorporano 'fisicamente'. L’assunzione di tale obbligo passava, secondo lui, attraverso il rapporto di rappresentanza con i soggetti che hanno stipulato il contratto collettivo:
Per comodità pratica [...] il concordato si fissa con l’opera di rappresentanti, [e] in quanto agli effetti della rappresentanza non c'è che riferirsi ai principi di diritto comune (pp. 26-27).
Proprio il rapporto di rappresentanza comportava, infine, «che le parti sono dispensate nella conclusione dei contratti di lavoro dal manifestare nuovamente la loro volontà sui patti regolati dal concordato» (p. 39).
Messina, pur prendendo le mosse dalla teoria della rappresentanza, tentò peraltro di fornire una spiegazione «non atomistica ma organicamente unitaria dei voleri dei membri componenti del gruppo» (p. 67; v. anche Mengoni 1978). Il contratto di lavoro e il concordato «sono rapporti giuridici sostanzialmente diversi». In tal modo, la deroga individuale poteva essere considerata alla stregua di una violazione dell’obbligazione precedentemente assunta e aprire la strada almeno a un’azione di danni.
Messina respinse poi la prospettazione della natura inderogabile della regola collettiva: tutte le limitazioni alla libertà di contrattare «che non discendono dalla legge» – affermò in uno dei suoi passaggi più frequentemente citati – «non possono avere che efficacia obbligatoria, non – per così dire – reale» (p. 43). Pertanto, «le finalità» che avevano fatto «sorgere» la contrattazione collettiva non potevano essere tutte «raggiunte» da un diritto positivo che permetteva di riconoscere al «concordato di tariffe» la sola efficacia obbligatoria. Il legislatore avrebbe dovuto «intervenire per dare una virtù automatica [...] al concordato» (così Messina in Ufficio del lavoro, Atti del consiglio superiore del lavoro, IX sessione, giugno 1907, 1907, p. 41).
Messina prese, infine, in considerazione anche l'ipotesi che un «sindacato operaio» esistesse come persona giuridica e che avesse, quindi, «contratto una stipulazione in proprio nome» (I concordati di tariffe, cit., p. 28); tuttavia egli ritenne che questa eventualità non meritasse neppure di essere approfondita, visto il dogma, allora imperante, secondo cui la personalità giuridica era il solo criterio di attribuzione della soggettività giuridica autonoma ai soggetti collettivi.
Secondo quanto riferisce Adolfo Ravà (1946, p. 34), Messina partecipò alla gestazione della l. 3 aprile 1926 nr. 563 (dubbi vengono invece espressi in Romagnoli 2008, p. 23). Vero è che egli godeva della stima di Alfredo Rocco (di cui v. La scienza del diritto privato in Italia negli ultimi conquant’anni, «Rivista di diritto commerciale», 1911, p. 1). A ben vedere, poi, la soluzione escogitata da Messina – e, quindi, fatta propria da Barassi – in ordine al problema dell’efficacia del contratto collettivo nei confronti di quello individuale, fu adottata nella citata legge dal 5° comma dell’art. 10, il quale si limitava a prevedere che
i datori di lavoro e i lavoratori, che non osservano i contratti collettivi e le norme generali a cui sono soggetti, sono responsabili civilmente dell’inadempimento, tanto verso l´associazione dei datori di lavoro, quanto verso quella dei lavoratori, che hanno stipulato il contratto.
Si tenga infine presente che Messina fu anche uno dei consulenti contattati dal ministero delle Corporazioni durante l’elaborazione della Carta del lavoro (R. De Felice, Mussolini, 1° vol., Mussolini il fascista, t. 2, L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, 1968, rist. 1995, p. 291). In conclusione, si può convenire che durante il ventennio fascista Messina scivolò «su posizioni scolorite» (U. Romagnoli, Prefazione a P. Passaniti, Filippo Turati giuslavorista, cit., p. XI).
La promessa di ricompensa al pubblico nel diritto privato, Girgenti 1899.
Contributo alla dottrina della confessione: cod. civ. art. 1358/1 e 1360/2-3, «Foro sardo», 1902, fascc. 5 e 6, pp. 85 e seguenti.
I concordati di tariffe nell'ordinamento giuridico del lavoro, «Rivista di diritto commerciale», 1904, 1, pp. 458 e segg.; rist. in Scritti giuridici, 4° vol., Milano 1948, pp. 4 e segg.
L'interpretazione dei contratti. Studi, Macerata 1906.
Sui così detti diritti potestativi, in Scritti giuridici in onore di Carlo Fadda pel XXV anno del suo insegnamento, 6° vol., Napoli 1906, pp. 279-330.
La personalità giuridica delle associazioni professionali, in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Ufficio del lavoro, Atti del Consiglio superiore del lavoro, IX sessione, giugno 1907, Roma 1907, pp. 188-206.
Per il regolamento legislativo dei concordati di tariffa, in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Ufficio del lavoro, Atti del Consiglio superiore del lavoro, IX sessione, giugno 1907, Roma 1907, pp. 143-67; rist. in «Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali», 1986, pp. 113-60.
La simulazione assoluta, «Rivista di diritto commerciale», 1907, 1 e 2, pp. 393-410 e 500-26, 1908, fasc. 3, pp. 10-45.
Negozi fiduciari: introduzione e parte prima, s.l. 1910.
I contratti collettivi in agricoltura nelle discussioni di Ginevra, «Politica sociale», 1933.
Usura e negozio usurario, «Il foro della Lombardia», 1937.
La competenza sulle controversie da piccola affittanza, «Foro italiano», 1939.
Tutti gli scritti di Messina sono stati raccolti in Scritti giuridici, 5 voll., Milano 1948.
Le opere che si occupano della figura di Messina possono essere distinte in quattro gruppi: i necrologi; le recensioni sui suoi Scritti giuridici; gli studi sul suo ruolo nel contesto della scienza giuridica italiana; gli studi sulla sua attività giuslavoristica.
I necrologi:
F. Carnelutti, Giuseppe Messina, «Rivista di diritto processuale», 1946, p. 197.
R. Ravà, Giuseppe Messina, «Diritto fallimentare», 1946, pp. 32-35.
A. Cicu, Giuseppe Messina, «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1947, pp. 106-07.
F. Maroi, Giuseppe Messina, «Rivista italiana di scienze giuridiche», n.s., 1947, 1, pp. 158 e segg.; rist. in Id., Scritti giuridici, 2° vol., Milano 1956, pp. 563-84.
Le recensioni sugli Scritti giuridici:
G. Scaduto, In memoria di Giuseppe Messina, in G. Messina, Scritti giuridici, 1° vol., Milano 1948, pp. V-VI.
V. Andrioli, recensione in «Rivista di diritto processuale», 1949, pp. 162-63.
G. Furno, recensione in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1951, pp. 499-501.
Gli studi sul suo ruolo nel contesto della scienza giuridica italiana e, più in generale, sul suo metodo tecnico-giuridico:
P.L. Mengoni, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, «Jus», 1976, pp. 3 e segg.; rist. in Id., Diritto e valori, Bologna 1985, pp. 11-58.
Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, 1860-1950, Milano 2000, p. 79.
P. Grossi, La cultura del civilista italiano, Milano 2002, pp. 47-48, 55-57.
Il rilevante contributo giuslavoristico di Messina fu riscoperto anzitutto da U. Romagnoli in una serie di saggi storici della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, poi raccolti in Lavoratori e sindacati tra vecchio e nuovo diritto, Bologna 1974, pp. 123-86; Romagnoli è tornato su questo argomento anche in I concordati di tariffa secondo Giuseppe Messina, «Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali», 1986, pp. 107-12, e (rivedendo parzialmente il proprio pensiero) in Giuristi del lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto, Roma 2008, pp. 19-29.
Il saggio più acuto su questo tema è comunque quello di L. Mengoni, Il contributo di Giuseppe Messina allo sviluppo del contratto collettivo nel diritto italiano, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, 2° vol., Milano 1978, pp. 443-59.
Sul tema si soffermano anche:
G. Vardaro, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli 1984.
G. Vardaro, Contratti collettivi e rapporti individuali di lavoro, Milano 1985.
C. Vano, Riflessione giuridica e relazioni industriali fra Ottocento e Novecento: alle origini del contratto collettivo di lavoro, in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1986, pp. 127-56.
Il Consiglio superiore del lavoro, a cura di G. Vecchio, Milano 1988 (in partic. G. Pellegrini, Il Consiglio del lavoro ed i problemi del tempo: dibattiti e risoluzioni, pp. 99-179).
A. Palazzo, Luigi Sturzo e Giuseppe Messina: alle origini del diritto sindacale europeo, «Bollettino dell'Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», 1994, 2, pp. 248-66.
A. Palazzo, I patti di Corleone e le origini della contrattazione collettiva in agricoltura, in Agricoltura e diritto. Scritti in onore di Emilio Romagnoli, 1° vol., Milano 2000, pp. 175-91.
G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto del lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2007.