MIRABELLI, Giuseppe
– Nacque il 13 maggio 1817 a Calvizzano (Napoli), da Domenico e da Maria Anna De Criscio.
Compì i suoi studi secondari nel seminario di Pozzuoli. A quel tempo, infatti, la buona borghesia napoletana indirizzava i propri figli in quel tipo di scuole non solo per iniziarli al sacerdozio, ma anche per prepararli alle professioni. La maggior parte della classe dirigente meridionale ebbe una formazione simile. Sacerdoti molto colti nelle lettere greche e latine studiarono nei seminari e poi divennero insegnanti. Lo stesso abate Antonio Mirabelli, fratello del M., insegnò il latino e formò molte generazioni.
Si dedicò poi allo studio del diritto e si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Napoli, dove ottenne poco dopo l’abilitazione all’insegnamento privato. Nel 1841 tentò il concorso in magistratura e conseguì con lode il posto di giudice di seconda classe nel mandamento di Rogliano, in provincia di Cosenza. Qui conobbe l’avvocato C. Marino, estensore di uno dei più importanti manuali di diritto civile. Sempre a Rogliano, nel maggio 1845, sposò Vincenza Domanico. Tornato a Napoli nel 1848 con il ruolo di giudice istruttore, si segnalò per la convinta partecipazione ai rivolgimenti politici che scoppiarono quell’anno e che lo misero in cattiva luce nei confronti dell’amministrazione ristabilita. Accusato insieme con G. Miraglia di essere un elemento sovversivo, affiliato a partiti rivoluzionari, e seriamente pericoloso per le istituzioni vigenti, fu con decreto di Ferdinando II posto fuori servizio «in attenzione di destino». D’altra parte, comprendendo i rischi maggiori che avrebbe potuto correre, il M. preferì ritirarsi a vita privata e dal 1849 al 1860 esercitò a Napoli la professione di avvocato, impartendo anche lezioni di diritto.
Con la nascita del nuovo Stato unitario tornò in magistratura e, nominato giudice della gran corte civile, fu prima destinato alla corte di Catanzaro e poi a quella di Napoli. In seguito al primo riordinamento della magistratura, che ebbe luogo sotto il governo di U. Rattazzi, il 6 apr. 1862 fu promosso procuratore generale presso la corte di appello dell’Aquila.
Qui il M. poté fare l’esperienza della nuova istituzione della sezione d’accusa presso ciascuna corte d’appello, che prima invece era in ogni provincia ed era rappresentata dalle stesse corti criminali in camera di consiglio. Egli pose quindi in evidenza, nelle proprie relazioni all’apertura degli anni giudiziari, la bontà del nuovo metodo che distingueva accuratamente il magistrato dell’accusa da quello del giudizio finale.
All’Aquila il M., memore che nel precedente Stato meridionale la giustizia era stata amministrata dai soli giudici di circondario, verificò come con il nuovo Stato unitario il Meridione avesse acquisito molte più garanzie rispetto a prima. Convinto, però, che anche le province meridionali fossero rientrate in quell’«eccesso di garenzia» che vi era stato in precedenza nel resto d’Italia grazie all’amministrazione della giustizia correzionale affidata ai tribunali di circondario, il M. stigmatizzò il prima e il dopo dichiarando che ciò voleva dire: «più che duplicata la spesa per la lontananza delle parti, e dei testimoni dalla sede dei Tribunali, insufficienti i Tribunali di Circondario a discutere tutte le cause; giudizi lentissimi, esecuzione della pena dopo dimenticato affatto il reato!» (Girardi).
Dopo un anno, il 3 maggio 1863, venne nominato dall’amico guardasigilli G. Pisanelli procuratore a Napoli. Il 4 genn. 1864 pronunciò, quindi, il primo resoconto dell’amministrazione della giustizia innanzi all’assemblea generale di questa corte d’appello, presieduta allora da un altro insigne magistrato, G. De Horatiis (Relazione intorno all’amministrazione della giustizia per l’anno 1863 nel distretto della corte di appello di Napoli del procuratore generale del re Giuseppe Mirabelli, Napoli 1864).
Il M. parlò dell’azione da lui spiegata per estirpare i vecchi abusi e per far entrare nei costumi il segreto voluto dalla legge durante il periodo istruttorio. Accennò poi alla disputa insorta sulla comunicazione del processo in sezione d’accusa e alla necessità di una riforma. Si occupò inoltre della repressione dei reati di stampa, del cosiddetto «avvocato dei poveri» e della buona riuscita del giudizio per i giurati, che a suo avviso rendevano poco in dibattimenti durati più giorni. Proprio pochi giorni dopo questo discorso, il 23 febbraio, il M. fu colpito dalla perdita della moglie Vincenza.
Nell’introduzione al resoconto del 7 genn. 1865 egli si soffermò sull’amministrazione della giustizia correzionale sotto i Borboni. Secondo il M. uno dei motivi che l’aveva resa vana era da ricercarsi nei continui indulti e perdoni che il re Ferdinando II soleva elargire a ogni minima occasione costituente per lui un fausto evento. Nei suoi 29 anni di regno se ne contarono non meno di diciannove. Cosicché, secondo il M., poteva dirsi che le popolazioni si erano abituate a disprezzare le punizioni dei reati non gravi, perché si era certi che da un momento all’altro un indulto avrebbe abolito le conseguenze delle condanne pronunciate. In quel discorso il M. si dichiarò contrario alla divisione tra il foro civile e il foro penale e favorevole alla creazione di una Cassazione unica. Nel dar conto dell’amministrazione della giustizia si occupò poi del nuovo codice civile, del codice di procedura civile e del codice di commercio. Particolarmente efficace fu il suo riassunto delle disposizioni preliminari del codice civile relativamente al diritto internazionale privato, assai avanzato per l’epoca. Meno favorevole fu il suo giudizio sul codice di procedura civile. In realtà, il M. si dimostrò convinto della bontà di una legislazione che aveva unificato il paese e manifestò il suo favore sia nei confronti dell’accentramento istituzionale, sia verso codici che riteneva molto più moderni di quello napoleonico (Intorno all’amministrazione della giustizia per l’anno 1863 nel distretto della corte di appello di Napoli. Relazione del procuratore generale del re Giuseppe Mirabelli, ibid. 1865).
Nella relazione presentata il 7 genn. 1867 il M. parlò della guerra con l’Austria, che aveva portato all’Italia le province venete completando il processo d’indipendenza, e dell’applicazione di quei nuovi codici e ordinamenti accessori, che in un primo momento avevano dato luogo a delle difficoltà. «Si difende e si conserva l’unità e la libertà della Patria – concluse – colle armi e colle leggi, di cui noi siamo i ministri. Mantenendo inviolato il regno del diritto difenderemo e conserveremo la nostra libertà! Raccogliamo dunque riverenti la parola del Re e compiendo i nostri doveri risponderemo da parte nostra agli alti suoi intendimenti!» (Intorno all’amministrazione della giustizia per l’anno 1863 nel distretto della corte di appello di Napoli. Relazione del procuratore generale del re Giuseppe Mirabelli, ibid. 1867).
Il M. fu procuratore generale fino al 4 apr. 1868. Per gli importanti servizi resi all’amministrazione della giustizia fu allora nominato primo presidente della corte d’appello di Napoli e gli venne conferito il più alto grado di onorificenza dell’Ordine Mauriziano e della Corona d’Italia. Dopo sette anni, nell’aprile del 1875, pervenne al vertice della gerarchia giudiziaria, e cioè alla presidenza della Corte di cassazione di Napoli, dove rimase fino al giugno 1892, quando si ritirò per raggiunti limiti d’età. A fine carriera Umberto I lo insignì del titolo comitale.
Fu proprio negli ultimi anni di vita che produsse anche alcuni dei suoi lavori più importanti: Del diritto dei terzi secondo il codice civile italiano, I-III, Torino 1889-91; Della surroga legale secondo il codice civile italiano, Napoli 1890; Della prescrizione secondo le leggi italiane, ibid. 1893; Contratti speciali: comodato, mutuo, costituzione di rendita, contratto vitalizio, deposito e sequestro, pegno, anticresi, fideiussione, giuoco e scommessa, transazione, ibid. 1894.
La vita del M. fu interamente dedicata all’impegno in magistratura. Poté quindi partecipare poco alla vita politica e alle lotte di questa. Era sua convinzione, del resto, che la porta della Camera dei deputati, come quella dei Consigli comunali e provinciali, dovesse chiudersi ai magistrati di ogni grado. «Ogni ora – scrisse – che si sottrae al magistrato, è tolta allo studio delle cause e dei progressi giuridici, che non gli è lecito ignorare. Limitando la sua attenzione alla materia del proprio ufficio, pronunzierà sentenze giuste, le compilerà presto e dottamente» (L’inamovibilità della magistratura nel Regno d’Italia, ibid. 1880, p. 12). Tuttavia, alle elezioni politiche del 3 febbr. 1861, quando era giudice di Gran Corte civile, fu eletto deputato del collegio di Napoli II per la Destra. Dopo pochi mesi, però, dovette uscire dalla Camera per sorteggio (eccedenza dei magistrati) e il 21 giugno 1861 fu nominato, in sostituzione di P.S. Mancini, segretario generale per le province napoletane di Grazia e Giustizia. Nel maggio 1867 venne nominato senatore e fece parte di varie commissioni per leggi importanti, come quella sulle enfiteusi, sulla cassazione e sulla riforma del codice penale. Dal novembre 1873 al settembre 1874 ricoprì anche la carica di vice presidente del Senato.
Nel 1876, dopo l’ascesa al potere della Sinistra e la nomina a guardasigilli di Mancini, il M. pubblicò uno studio sull’indipendenza dei giudici e sull’inamovibilità della magistratura, con il quale intendeva confortare il governo nei suoi propositi di riforma orientati in tal senso (L’inamovibilità della magistratura nel Regno d’Italia, ibid. 1876). L’opera fu poi ristampata (ibid. 1879 e 1880), quando, subentrato come ministro della Giustizia D. Tajani, parve prevalere il principio contrario e nella Camera dei deputati si manifestò una nuova scuola, che, plaudendo all’opinione del ministro e andando più innanzi di lui, considerava l’ordine giudiziario come una dipendenza del governo, sotto il sindacato del Parlamento, al pari di qualunque amministrazione dello Stato. Contro questi principî, che attentavano all’indipendenza della magistratura, il M. protestò e non si stancò mai di reclamare una legge che garantisse ai magistrati con la sicurezza del loro stato la piena libertà dei giudizi, che determinasse i criteri per le nomine, le promozioni e i trasferimenti, i modi con i quali i consigli dell’ordine dovessero fare le proposte e i limiti dei poteri dei ministri della Giustizia.
Il M. morì a Napoli il 2 ag. 1901.
Altre opere: Intorno alla legge sull’asse ecclesiastico. Risposta di Giuseppe Mirabelli al senatore di Castagnetto nella tornata delli 8 ag. 1867, Napoli 1867; Relazione sulla statistica sommaria degli affari civili e penali trattati nel distretto della corte d’appello di Napoli nel quinquennio dal 1866 al 1870, ibid. 1874; Degli effetti dell’alienazione e dell’ipoteca della cosa comune non consentite da tutti i condomini, secondo il diritto romano e il codice civile italiano, ibid. 1886; Della cessione dei crediti e loro accessorii per atti tra vivi, a titolo gratuito, od oneroso, rispetto ai terzi, ibid. 1887; Dei principî fondamentali dell’istituto della trascrizione, secondo il codice civile italiano e delle conseguenze che ne derivano, ibid. 1887; Osservazioni sull’articolo 1003 del codice civile, ibid. 1891; Della vita e delle opere di Antonio Ciccone, ibid. 1896.
Fonti e Bibl.: F. Girardi, G. M., in Corriere di Napoli, 3 ag. 1901; Omaggio alla memoria del conte G. M., Napoli 1902; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori d’Italia dal 1848 al 1922, II, p. 208.
L. Musella