Giuseppe Montalenti
Giuseppe Montalenti è stato uno degli eredi più rappresentativi della tradizione naturalistica italiana, sviluppando grandi interessi che spaziano dalla zoologia sistematica, alla citologia, all’embriologia sperimentale, alla genetica di popolazioni. Da fortunato testimone e protagonista dei grandi progressi della scienza, seppe integrare le nuove conoscenze nella più ampia cornice dell’evoluzionismo. Animato da viva coscienza civile, e studioso di profonda cultura non solo scientifica, ma anche umanistica, cercò di coniugare le due culture, sempre polemico verso quelle posizioni neoidealistiche che riducevano la scienza a disciplina secondaria e strumentale.
Giuseppe Montalenti nacque ad Asti il 13 dicembre 1904. Era figlio di un alto magistrato, piemontese di vecchio stampo, e per quanto vi abbia vissuto pochi anni della sua vita, ossia fino al 1909, quando il padre venne trasferito a Torino, rimase sempre molto legato alla terra natale. Amava dire di aver ereditato il gene che lo predisponeva agli studi biologici dal nonno notaio, appassionato naturalista, dal quale sentì parlare di uno strano signore inglese di nome Darwin, dalla lunghissima barba bianca.
Compiuti gli studi liceali presso il Regio liceo-ginnasio Massimo d’Azeglio, si iscrisse nel 1922 alla facoltà di Scienze naturali. Con il trasferimento della famiglia a Roma nel 1925 entrò come allievo interno nel Laboratorio di anatomia comparata diretto da Giovanni Battista Grassi. Nel 1926 conseguì la laurea in scienze naturali.
Dopo la morte di Grassi, avvenuta nel maggio del 1925, venne assunto come assistente straordinario presso l’Istituto di zoologia diretto da un altro grande biologo, Federico Raffaele, cui successe Edoardo Zavattari, uno dei firmatari del manifesto della razza. Per incomprensioni politiche con il nuovo direttore, nel 1938 Montalenti si trasferì a Bologna come aiuto dell’Istituto di zoologia, diretto da Alessandro Chigi; poco dopo si recò a Napoli per coprire il posto di capo del reparto di zoologia presso la Stazione zoologica. Durante gli anni trascorsi a Roma e Bologna gli vennero affidati incarichi di insegnamento di zoologia, embriologia e genetica, discipline di cui si dimostrò profondo cultore.
Negli anni Trenta del Novecento, mentre era grande il fermento in Italia nell’ambito degli studi di fisica, non lo era altrettanto in quelli di biologia, il che spinse Montalenti a recarsi frequentemente all’estero. Nel 1930 ottenne una borsa di studio della Fondazione Rockefeller con la quale si recò prima a Chicago, nel Laboratorio di Frank Lillie, e poi al Marine biological laboratory di Woods Hole.
Alla fine degli anni Trenta, Montalenti si cimentò con i concorsi per professore universitario. Nel 1940 entrò nella terna per la cattedra di biologia e zoologia generale della facoltà di Medicina dell’Università di Siena. Ma essendo celibe dovette fare i conti con le leggi demografiche del fascismo, che prescrivevano che i titolari di cattedra fossero coniugati.
Con la fine del fascismo, nel 1943, Montalenti venne chiamato alla cattedra di biologia e zoologia generale della facoltà di Medicina dell’Università di Ferrara. Nel 1944 la facoltà di Scienze dell’Università di Napoli ottenne il suo trasferimento alla cattedra di genetica, prima cattedra di questa disciplina istituita in Italia.
Tra i numerosi riconoscimenti conseguiti per la sua statura scientifica, sono da ricordare, in particolare, la presidenza dell’International union of biological sciences (1958-61) e la presidenza dell’Accademia nazionale dei Lincei (1981-85), di cui era socio dal 1951. Come presidente dell’Accademia promosse importanti iniziative, con particolare impegno, nei campi dei diritti dell’uomo e del controllo degli armamenti, e per la diffusione in Italia della museografia naturalistica e della coscienza ambientalistica, sviluppando in tal modo un’azione precedentemente avviata nel Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Si spense in Roma il 2 luglio 1990.
Il contributo di Montalenti alla sistematica zoologica iniziò con le ricerche sul differenziamento delle caste dei termitidi (Sul differenziamento delle caste nel Termes lucifugus, 1929) e continuò nel periodo trascorso alla Stazione zoologica di Napoli con le funzioni di capo del reparto di zoologia, dove pubblicò la monografia Uova, larve e stadi giovanili di Teleostei (1937), rivelandosi un profondo conoscitore di gruppi zoologici come pesci e crostacei. Le famiglie oggetto di studio comprendono le Maenidae, le Mullidae, le Sciaenidae, le Cepolidae.
Esemplare è l’insieme dei lavori sui Cimotoidi, un singolare gruppo di crostacei isopodi in quanto ectoparassiti. In diversi lavori Montalenti ne studiò la sistematica, la biologia, la sessualità, la riproduzione (Studi sull’ermafroditismo dei Cimotoidi, 1941). Le ricerche citologiche dimostrarono che durante la fase parassitaria, apparentemente necessaria per la maturazione e la deposizione delle uova nel mare aperto, il volume – ma non il numero – di ogni singola cellula delle ghiandole salivari di ciascun parassita aumenta marcatamente attraverso un complesso processo di moltiplicazione del corredo cromosomico normale che da diploide diventa poliploide fino alla produzione di nuclei 50-100ploidi quasi visibili a occhio nudo (A new type of poliploid nucleus in gland cells of Cymotoid (Crust. Isop.) and its cyclic modifications during the phases of activity of the cell, 1949). Attraverso l’uso di metodi istochimici elaborati da Jean Brachet, a quel tempo ospite della Stazione zoologica di Napoli, concluse che le variazioni quantitative osservate suggerivano: la presenza di DNA esclusivamente nei nuclei (quantitativamente variabile con il grado di ploidia delle singole cellule; la discontinua presenza nei nuclei di RNA (a quel tempo appena classificabile nelle due sottoclassi di RNA nucleolare e RNA citoplasmatico); la correlazione inversa tra RNA e la comparsa di proteine citoplamatiche. Le conclusioni derivate da queste osservazioni furono riassunte nello schema seguente:
DNA cromatinico→RNA nucleolare→RNA citoplasmatico→Proteina enzimatica
che è in pieno accordo con il cosiddetto dogma centrale ipotizzato un decennio dopo con la rivoluzionaria descrizione di James Watson e Francis Crick sulla struttura a doppia elica del DNA e sul suo preciso meccanismo regolativo della sintesi proteica propriamente detta.
Importanti i rapporti di Montalenti con la Stazione zoologica, fino ad allora l’istituto scientifico italiano più noto sul piano internazionale. Alla fine degli anni Trenta la Stazione zoologica cercava uno scienziato per il ruolo di capo del Reparto di zoologia. Montalenti aveva le necessarie competenze in zoologia e biologia marina, e possedeva una buona conoscenza del tedesco, dell’inglese e del francese, ed egli quasi rinunciò alla carriera universitaria quando venne chiamato dal direttore Rinaldo Dohrn (figlio di Anton e suo successore nella direzione dell’Istituto) a far parte di quella istituzione di grande prestigio. Fu infatti profondamente legato alla Stazione zoologica, di cui si prese generosa cura durante la Seconda guerra mondiale e l’occupazione prima tedesca e poi alleata di Napoli. Rileggendo la sua relazione sulle vicende della Stazione zoologica in quegli anni drammatici, si può avvertire la sua profonda devozione per l’istituto (Vicende della Stazione zoologica negli anni di guerra, 1945). Ne fu consigliere di amministrazione per molti anni e venne nominato vicepresidente dopo l’approvazione del nuovo statuto, carica che conservò fino alla sua scomparsa.
Le ricerche embriologiche dalla fine dell’Ottocento ebbero anche in Italia un notevole sviluppo, anche per le suggestive prove che venivano prodotte a sostegno della teoria darwiniana. Nel 1930, con una borsa di studio del Fondo Treccani, concessagli dalla R. Accademia dei Lincei, Montalenti si recò per un mese nel Laboratorio di Eugène Bataillon a Montpellier per apprendervi i metodi della partenogenesi sperimentale. Durante tale soggiorno ebbe modo di studiare i problemi relativi alla fisiologia della fecondazione e dell’attivazione sperimentale delle uova di Anfibi e di Echinodermi, e di estendere le sue conoscenze sulle più recenti conquiste dell’embriologia sperimentale.
Attratto da tale indirizzo s’interessò di vari problemi come quello della partenogenesi sperimentale della lampreda, della separazione dei blastomeri e della posizione del primo solco di segmentazione rispetto al piano di simmetria dell’embrione. Pubblicò alcuni lavori sulla partenogenesi della lampreda ottenuta con un primo trattamento delle uova con vapori di cloroformio, seguito da un secondo con acqua di mare ipertonica. In questo modo scopriva un’analogia con quanto avviene negli invertebrati come il riccio di mare (Sviluppo partenogenetico di uova di Lampreda sottoposte all’azione di agenti chimici, 1932).
Particolarmente interessanti e predittive furono le ricerche sulle potenzialità dei primi due blastomeri di lampreda. Montalenti ne studiò separatamente lo sviluppo, e osservò che nel 64% dei casi si ottengono due embrioni normali, cioè uno da ciascun blastomero, mentre nel 36% dei casi uno dei due produce un embrione normale, mentre dall’altro si sviluppano mostruosità, cioè embrioni che non riescono a gastrulare. Montalenti spiegava il fenomeno osservando che il primo piano di segmentazione compone con il piano di simmetria dell’uovo un angolo variabile rispetto al piano di simmetria dell’embrione, per cui solamente se il primo piano di segmentazione ripartisce un ipotetico organizzatore in porzioni sufficienti per ciascun blastomero, da ciascun blastomero separato si svilupperanno embrioni normali (G. Montalenti, A.M. Maccagno, Analisi della potenza dei primi blastomeri dell’uovo di lampreda, 1935). A quell’epoca non si aveva peraltro notizia di un organizzatore dello sviluppo in lampreda, che venne scoperto due anni dopo da altri scienziati.
Interessanti anche le ricerche embriologiche sugli ibridi interspecifici tra Anfibi anuri, di cui descrive minuziosamente le malformazioni osservate, giungendo alla conclusione che si tratta di anomalie non specifiche, ma analoghe a quelle ottenute con vari agenti inibitori dello sviluppo e specialmente con l’azione del radio sui gameti o sugli zigoti (Sull’embriogenesi degli ibridi fra Bufo vulgaris e Bufo viridis, 1932). Successivamente pubblicò i cambiamenti della struttura della membrana dell’uovo di riccio di mare che avvengono alla fecondazione o all’attivazione partenogenetica. Tali cambiamenti, rilevati per mezzo di osservazione microscopica a luce polarizzata, si ripetono ciclicamente in coincidenza con due fasi della mitosi (G. Montalenti, A. Monroy, Cyclic variations of submicroscopic structure of the cortical layer of fertilized and parthenogenetic sea urchin eggs, 1946). Si tratta di una prima intuizione dell’esistenza di cambiamenti ciclici della struttura molecolare dello strato corticale dell’uovo che quarant’anni dopo avrebbe portato Timothy Hunt (n. 1943) alla scoperta della ciclina grazie alla quale ottenne nel 2001 il premio Nobel per la fisiologia o la medicina.
I primi approcci di Montalenti alla genetica risalgono al 1931 con le ricerche di fisiogenetica sullo sviluppo del disegno delle penne nei polli, compiute nel laboratorio di Lillie a Chicago. Queste ricerche costituivano il primo tentativo di interpretare il meccanismo fisiologico con cui i geni della pigmentazione del piumaggio mettono in atto le proprie potenze (Analisi del disegno delle penne dei polli Barred Plymouth Rocks, 1932). Queste ricerche sugli ibridi interspecifici degli Anfibi anuri, oltre ad avere attinenza con problemi embriologici, hanno carattere più propriamente genetico. Montalenti osservò che la fecondazione di uova di Bufo viridis con sperma di Bufo vulgaris dà origine a malformazioni di vario grado, mentre la fecondazione reciproca, cioè di uova di Bufo vulgaris con sperma di Bufo viridis, produce larve normali. Interpretò questi risultati come dovuti probabilmente alla differenza dei ritmi mitotici tra le due specie, sì che la fecondazione di uno spermio della specie a sviluppo più lento risulta dannosa rispetto alla fecondazione con uno spermio della specie a sviluppo più rapido (L’ibridazione interspecifica degli anfibi anuri, 1938).
L’insieme di queste ricerche, la frequentazione di laboratori stranieri e il particolare interesse per il neodarwinismo portarono Montalenti a concentrare i suoi interessi sulla genetica. Egli fu il primo ad attirare l’attenzione su questa disciplina in Italia, dove era allora quasi sconosciuta, introducendola tra le materie di insegnamento nel corso di laurea in scienze naturali. Fu suo il primo testo di genetica pubblicato in Italia (Elementi di genetica, 1939). La sua conversione alla genetica umana e in particolare a quella popolazionistica fu la conseguenza della richiesta presentatagli, verso la fine degli anni Quaranta, di una consulenza genetica da parte di due clinici ematologi, Ezio Silvestroni e Ida Bianco dell’Università di Roma, che studiavano la distribuzione della microcitemia o talassemia e del morbo di Cooley in Italia. Questi esprimevano riserve circa l’ipotesi di James V. Neel e William N. Valentine di un polimorfismo monofattoriale dove i microcitemici e i sofferenti di Cooley erano rispettivamente gli eterozigoti e gli omozigoti per la stessa mutazione, poiché la loro ricerca documentava un eccesso dell’incidenza di pazienti con morbo di Cooley nel totale delle famiglie studiate invece dell’atteso 25%. Tale disaccordo poteva essere interpretato come conseguenza di un effetto selettivo in favore di famiglie con ripetute nascite di figli affetti dal morbo di Cooley e come tali più facilmente indirizzate al laboratorio di Silvestroni e Bianco a Roma.
Montalenti suggerì di estendere l’analisi ematologica alla popolazione totale del Ferrarese, che presentava un’elevata incidenza di pazienti affetti dal morbo di Cooley. Il risultato fu eclatante non solo poiché confermava l’ipotesi monofattoriale della malattia talassemica di Neel e Valentine, ma anche per aver assodato che la mutazione del gene subletale in oggetto – che allo stato omozigote è responsabile del morbo di Cooley, mentre allo stato eterozigote causa la microcitemia – si eredita indipendentemente da tutti i geni dei gruppi sanguigni. Inoltre, veniva confermata l’ipotesi di John Burdon Sanderson Haldane secondo cui l’alta frequenza del gene subletale (oltre il 10%) poteva essere spiegata solo ammettendo che gli eterozigoti erano o erano stati premiati in regioni ad alta incidenza malarica, qual era il Ferrarese.
Infatti i microcitemici e i pazienti di morbo di Cooley sono resistenti alla malaria, in quanto il parassita malarico, come venne dimostrato successivamente, non penetra nei globuli rossi di questi individui, la cui emoglobina è diversa da quella degli individui normali. Si trattava quindi di un interessante caso di eterosi, che poneva fine alla vexata quaestio sull’improbabile ipotesi di una maggiore frequenza di mutazioni per spiegare l’alta frequenza di un gene subletale, che con il tempo avrebbe dovuto scomparire o comunque diminuire (The genetics of microcythaemia, 1954). Dopo un periodo di stretta collaborazione con Silvestroni e Bianco, Montalenti e i suoi collaboratori spostarono le ricerche dalla bassa Valle Padana alla Sardegna, dove l’incidenza della malaria, fino alla Seconda guerra mondiale, era altissima. Il lavoro svolto da Montalenti sulla talassemia venne definito da Haldane fondamentale per l’apporto recato alla conoscenza della genetica di popolazione umana. In questa regione le ricerche furono estese ad altre malattie genetiche, come il favismo dovuto alla deficienza dell’enzima glucosio-6-fosfatodeidrogenasi.
Montalenti cominciò sin da giovane a interessarsi di storia della scienza. Redattore capo di «Archeion», la maggiore rivista italiana nel campo, diretta da Aldo Mieli, pubblicò, nello stesso anno della tesi di laurea, un saggio su Il sistema aristotelico della generazione degli animali (1926), cui seguirono i lavori su Nicola Stenone (1928), su Lazzaro Spallanzani (1928, rist. 1981) e su Gabriele Falloppia (1932). Questa attenzione per la storia della scienza, legata alla sua profonda cultura umanistica e a interessi filosofici, si sviluppò parallelamente all’impegno nell’indagine sperimentale.
Tra i saggi più significativi vanno ricordati Da Linneo a Darwin (1958), Il metodo galileiano in biologia: da Redi a Vallisneri (1962), La scienza nella cultura moderna (1962), From Aristotle to Democritus via Darwin (1974), Le riflessioni sul caso Lisenko (1977), L’evoluzione del concetto di specie da Aristotele a Dobzhansky (1988). Il volume di Storia della biologia e della medicina (1962), di Montalenti nella Storia delle scienze coordinata da Nicola Abbagnano, resta uno dei testi di consultazione più importanti sullo sviluppo del pensiero biologico. L’ultimo suo lavoro fu dedicato alla filosofia della natura di Kant (La finalità dei fenomeni biologici e la sua interpretazione causale, 1990).
Montalenti fu molto interessato alla teoria darwiniana, alla sua storia e alla sua divulgazione in Italia. Ciò avveniva in un’epoca di scetticismo sulla validità del darwinismo da parte di sociologi, filosofi e anche di molti biologi, e in cui Benedetto Croce affermava che «l’immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell’umanità non solo non vivifica l’intelletto, ma mortifica l’animo» (La natura come storia senza storia da noi scritta, 1938, pp. 141-47). In questo clima culturale, l’adesione di Montalenti al darwinismo andava invece rafforzandosi, nella speranza che proprio la genetica potesse recare sostegno alla fondatezza della teoria.
La teoria sintetica dell’evoluzione, legata ai nomi di John S. Haldane, Ronald Fisher, Sewall Wright, Thomas H. Huxley, George Gaylord Simpson, Theodosius Dobzhansky, Ernst Mayr e altri, si giovò infatti proprio dei risultati della genetica. Al tema dell’evoluzione Montalenti dedicò numerose pubblicazioni, tra cui un volume per le edizioni RAI (L’evoluzione, 1953), che ebbe un grande successo tanto da avere nuove edizioni ampliate presso Einaudi (1965, 1967 ecc.), come anche la cura delle traduzioni di On the origin of species (1859; trad. it. 1967), The descent of man, and selection related to sex (1871; trad. it. 1982) e altri scritti di Darwin, tra cui Autobiography (1887; trad it. 1962).
Montalenti collaborò sin dal 1930 con l’Istituto della Enciclopedia Italiana, contribuì alla Enciclopedia Italiana di scienze lettere ed arti e alla direzione e organizzazione di altre opere dell’Istituto, del cui Consiglio scientifico fu membro dal 1975 fino alla morte. Nell’ambito della sua presidenza dell’Accademia nazionale dei Lincei, diede impulso agli studi storici sulla fase antica dell’Accademia, fondata nel 1603 da Federico Cesi, promuovendo ricerche e convegni e una grande mostra documentaria dedicata al tema.
Sul differenziamento delle caste nel Termes lucifugus, «Bollettino dell’Istituto di zoologia della Regia Università di Roma», Roma 1929, pp. 108-28.
Analisi del disegno delle penne dei polli Barred Plymouth Rocks. I. Velocità di accrescimento delle penne e ampiezza della striatura. II. Il ritmo di formazione delle striscie bianche e nere. III. Il dimorfismo sessuale, «Bollettino della Società italiana di biologia sperimentale», 1932, 7, pp. 1475-85.
Sull’embriogenesi degli ibridi fra Bufo vulgaris e Bufo viridis, «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti, classe di scienze fisiche, matematiche e naturali», s. VI, 1932, 15, pp. 994-1000.
Sviluppo partenogenetico di uova di Lampreda sottoposte all’azione di agenti chimici, «Archivio di zoologia italiano», 1932, 17, pp. 345-63.
G. Montalenti, A.M. Maccagno, Analisi della potenza dei primi blastomeri dell’uovo di Lampreda, Lampetra (Petromyzon fluviatilis), «Archivio italiano di anatomia embriologica», 1935, 35, pp. 69-96.
Maenidae, Mullidae, Sciaenidae, Cepolidae, in Uova, larve e stadi giovanili di Teleostei, «Pubblicazioni della Stazione zoologica di Napoli», 1937.
L’ibridazione interspecifica degli anfibi anuri, «Attualità zoologiche», 1938, 4, pp. 157-213.
Elementi di genetica, Bologna 1939.
Studi sull’ermafroditismo dei Cimotoidi. 1: Ementha andonimi M.Edw. e Anylocra physoides L., «Pubblicazioni della Stazione zoologica di Napoli», 1941, 18, pp. 337-94.
Vicende della Stazione zoologica negli anni di guerra, «Pubblicazioni della Stazione zoologica di Napoli», 1945, 20, pp. 75-89.
G. Montalenti, A. Monroy, Cyclic variations of submicroscopic structure of the cortical layer of fertilized and parthenogenetic sea urchin eggs, «Nature», 1946, 158, p. 239.
A new type of poliploid nucleus in gland cells of Cymotoid (Crust. Isop.) and its cyclic modifications during the phases of activity of the cell, Proceedings of the 6th International congress of experimental cytology, Stockholm 1949, pp. 123-28.
L’evoluzione, Torino 1953, ed. ampliata 1967.
The genetics of microcythaemia, «Caryologia», 1954, 6, suppl., pp. 554-58.
La finalità dei fenomeni biologici e la sua interpretazione causale, Atti del Convegno ‘Kant e la finalità della natura’, Padova (23-24 novembre 1989), Padova 1990.
Giuseppe Montalenti: ‘il nocchier ch’entra in navillo con timone e bussola’, «Tempo medico», 1981, 23, pp. 70-79.
M. Ageno, Ricordo di Giuseppe Montalenti: un maestro di concretezza, «Sapere», 1990, p. 52.
E. Battifoglia, Ricordo di Giuseppe Montalenti, «Sapere», 1990, p. 49.
P. Omodeo, Ricordo di Giuseppe Montalenti: uno stile e una scelta culturale, «Sapere», 1990, pp. 53-54.
V. Somenzi, Ricordo di Giuseppe Montalenti: per orientarsi, «Sapere», 1990, p. 51.
E. Alleva, Giuseppe Montalenti padre della genetica italiana, «Le scienze», 1995, p. 11.
G. Chieffi, La vita e l’opera scientifica di Giuseppe Montalenti, in Biologia evoluzionistica, a cura di M. Luzzatto, P. Maggiora, F. Scalfari, Napoli 1995, pp. 7-17.
P. Montalenti, Ricordo di Giuseppe Montalenti, in Biologia evoluzionistica, a cura di M. Luzzatto, P. Maggiora, F. Scalfari, Napoli 1995, pp. 3-6.
E. Capanna, Montalenti Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 75° vol., Roma 2011, ad vocem.