Montanelli, Giuseppe
Patriota (Fucecchio, Firenze, 1813 - ivi 1862). Laureatosi in giurisprudenza nel 1831 a Pisa, si trasferì per il tirocinio a Firenze dove entrò in contatto con Vieusseux. Iniziò poco dopo a collaborare all’«Antologia», al «Nuovo giornale dei letterati» di Pisa e al «Progresso» di Napoli. Ai primi anni Trenta risale anche la sua adesione alla scuola sansimoniana di cui egli fu in Italia uno dei primi seguaci. Nel 1840 fu nominato professore di Diritto civile e commerciale all’università di Pisa e negli anni successivi il suo impegno politico crebbe. Avvicinatosi al movimento evangelico promosso a Pisa da Carlo Eynard, aderì poi al neoguelfismo diventando un entusiasta sostenitore di Gioberti. Si impegnò in questi anni in un’intensa attività di pubblicista, inizialmente clandestina, a sostegno dell’introduzione di riforme liberali nel Granducato di Toscana. Dopo la concessione della libertà di stampa, il 6 maggio 1847, partecipò alla fondazione del periodico «L’Italia». Scoppiata la guerra contro l’Austria, assunse il comando della colonna dei volontari pisani, fu ferito a Curtatone, fatto prigioniero e condotto a Innsbruck. Liberato e tornato in patria, fu eletto all’Assemblea toscana e successivamente fu mandato a Livorno come governatore. Da Livorno, lanciò l’appello per una Costituente italiana, già proposta da Mazzini su «L’Italia del Popolo», ma il carattere spiccatamente rivoluzionario della proposta venne in gran parte attenuato quando assunse, insieme a Guerrazzi, la guida del governo (ottobre 1848). Dopo la fuga del granduca Leopoldo II, rimase al potere con Guerrazzi e Mazzoni e, schieratosi con i democratici, si pronunciò in favore della proclamazione della Repubblica toscana e della sua unificazione con la Repubblica romana. Sciolto il triumvirato e dati dall’assemblea toscana i pieni poteri a Guerrazzi, Montanelli si recò in Francia con la missione di raccogliere forze militari e prepararvi l’opinione pubblica a favore della Toscana; ma la caduta di Guerrazzi e il ritorno del granduca resero vana la sua opera, costringendolo a trasformare il volontario soggiorno in esilio. Coinvolto nel processo di lesa maestà per i fatti del 1849, fu condannato in contumacia all’ergastolo. Negli anni dell’esilio pubblicò alcuni scritti tra cui: Introduzione ad alcuni appunti storici sulla rivoluzione d’Italia (1851) e Memorie sull’Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850 (1853), analisi del moto rivoluzionario italiano, nei quali prendeva le distanze da Mazzini e, insistendo sulla necessità di dare un contenuto sociale alla rivoluzione nazionale italiana, delineava un programma politico incentrato sul federalismo e sul socialismo. Si faceva sentire nelle sue opere l’influenza di Proudhon e di Lamennais, con il quale aveva stretto una salda amicizia. Non credendo all’immediata possibilità dell’unificazione e sopravvalutando l’iniziativa e l’apporto francese, favorì per qualche tempo il movimento murattiano. Tornato in Italia nel 1859 per partecipare alla seconda guerra di indipendenza, si arruolò nei Cacciatori delle Alpi. Fu poi eletto deputato dell’Assemblea toscana e, ribadendo i suoi ideali autonomisti e federalisti, votò contro l’annessione immediata e senza garanzie al Piemonte. Poco prima della morte fu eletto deputato al Parlamento italiano.