MONTANI, Giuseppe
– Nacque a Cremona nel 1786 (Roma, Arch. storico dei pp. barnabiti, Liber sextus professionum clericorum a die 20 mens. ianuar. 1760 ad diem 8 sept. 1858, c. 131; vi si legge che la professione religiosa del M. è del 26 apr. 1804, «aetatis suae anno […] 18°») da Lorenzo, ingegnere, e da Luisa Bondi.
Compì gli studi nel ginnasio cittadino dei chierici regolari di S. Paolo; il 26 apr. 1804 entrò nell’Ordine per volontà del padre e per le sollecitazioni di un monaco del collegio, frequentando le scuole di Monza, Milano e Pavia. Nel 1807 fu nominato maestro supplente di belle lettere a Pavia e l’anno dopo a Lodi. A seguito del decreto napoleonico del 25 apr. 1810 che sopprimeva le congregazioni religiose, abbandonò il chiostro e rimase prete secolare continuando a insegnare retorica e filosofia a Lodi fino al 1817, anno in cui tenne due corsi, uno su propri compendi di metafisica da autori francesi, l’altro sugli Elementi di filosofia di M. Gioia; ebbe anche l’incarico di esaminatore dei maestri del distretto. Nel dicembre 1819 smise di celebrare la messa e lasciò l’abito talare; quando, nell’aprile 1820, gli venne offerto da Ludovico di Breme l’incarico di assistente ecclesiastico per il culto cattolico presso l’istituto educativo di Hofwyl fondato nel cantone di Berna da Ph.E. von Fellenberg, motivò il rifiuto con il distacco da ogni forma di religione positiva.
La sua attività letteraria si orientò dapprima verso la novellistica morale, con una raccolta anonima di venti Racconti per la gioventù (Lodi 1814), e verso la poesia, con liriche d’occasione (Nelle nozze di Giuseppina Rovida con Alessandro Imbrici Visconti, Milano 1810; gli endecasillabi sciolti Per laurea straordinaria in matematica del conte Cesare Rovida, Piacenza 1817) e con due raccolte di canzonette di registro patetico-elegiaco pubblicate a Lodi nel 1817, ma stampate a Milano da G. Pirola (sei canzonette A Venere italica e ventiquattro anacreontiche I fiori, con dedica a I. Teotochi Albrizzi e ampia appendice di Schiarimenti, in cui si coglie una certa attenzione per i problemi della scienza). I due opuscoli furono riediti a Imola nel 1818 e ottennero gli elogi di circostanza di I. Pindemonte e di V. Monti; più tardi, G. Carducci li avrebbe definiti opera di «un canzonettista di terzo ordine».
Dopo la caduta di Napoleone e il ritorno degli Austriaci in Lombardia, il M. poté contare sull’aiuto di alcuni amici (G.B. De Cristoforis, G. Brugnatelli) per superare le difficoltà economiche in cui si era venuto a trovare. Compì qualche viaggio a Venezia, Padova e Parma, dove si entusiasmò alla vista delle opere del Correggio. Nel 1817 intervenne su Lo Spettatore in difesa dei propri versi giovanili e nella primavera 1818, in opposizione alla Biblioteca italiana diretta da G. Acerbi, tentò di dare vita a un periodico, la Biblioteca straniera, dapprima con P. Giordani e col letterato parmense M. Leoni, che poteva vantare un’esperienza giornalistica presso la redazione dei foscoliani Annali di scienze e lettere (e che già aveva dettato la prefazione alla raccolta poetica I fiori), poi con il trentino P. Zajotti, allora agli inizi della carriera di magistrato. Il progetto fu abbandonato quando pochi mesi dopo, a Milano, venne avviato Il Conciliatore, al cui gruppo promotore il M. subito si avvicinò; uno dei fondatori, S. Pellico, intenzionato a dedicarsi al teatro tragico, aveva destinato a succedergli il M., che però limitò la propria collaborazione a un solo articolo (Sopra alcune traduzioni d’Anacreonte, n. 16 del 25 ott. 1818, siglato G. M.; altri due, su G. Savonarola, F. Guicciardini e Lorenzino de’ Medici, furono bloccati dalla censura).
In quegli anni, durante i quali ampliò la cerchia delle amicizie (G. Compagnoni, L. Porro Lambertenghi, P. Giannone, L. di Breme) ottenendo anche l’incarico di precettore a Varese di T. Dandolo (figlio di Vincenzo, agronomo, esponente della illuminata aristocrazia lombarda), il M. lavorò soprattutto come collaboratore editoriale (l’almanacco Le donne, 1824, per l’editore O. Manini; il Gabinetto del giovane naturalista di Th. Smith, 1821-26) e traduttore: I martiri, ossia il trionfo della religione e Il genio del cristianesimo di F.R. de Chateaubriand, 1814-16; Utopia di Th. More, 1821; Viaggio intorno alla mia camera di X. de Maistre, 1823; Viaggio di Policleto a Roma del barone A. de Theis, 1824; la Vita del gesuita bergamasco G.P. Maffei scritta in latino da P.A. Serassi, 1821. La versione de I fanciulli o i loro caratteri di M. Edgeworth fu pubblicata a Firenze nel 1828 per cura di P. Bigazzi; quella de L’uomo singolare di A. Lafontaine apparve postuma a Milano nel 1846. Per l’Antologia morale, ascetica, oratoria pubblicata da P.M. Visai a Milano dal 1820 il M. curò fra l’altro Gli ufficii di s. Ambrogio, i Sermoni di s. Agostino, le Orazioni di G. Nazianzeno, le Omelie di G. Crisostomo, i Caratteri de’ più celebri oratori sacri del cardinale J.-S. Maury, i Pensieri sulla religione di B. Pascal, i Pensieri religiosi di J. Bernardin de Saint-Pierre, la cui filosofia della natura, influenzata da Rousseau, fu importante nella sua formazione, al pari del magistero vichiano di G.D. Romagnosi.
Nel 1820 il M. si innamorò della figlia di P. Verri, Fulvia, allora legata al maggiore G. Jacopetti, ex ufficiale napoleonico; la incontrò più volte a Firenze e intrattenne con lei un lungo carteggio. La vicenda gli ispirò un romanzo (Milano, Beccaria e Verri), perduto. Nel 1821, durante un viaggio in Toscana, per il tramite di M. Leoni conobbe l’intellettuale di origine ginevrina G.P. Vieusseux, che a palazzo Buondelmonti animava un gabinetto scientifico-letterario e che nel gennaio 1821 aveva fondato, con G. Capponi, l’Antologia, rivista scientifica, economica e letteraria, di ispirazione liberale. Fin dai primi momenti Vieusseux comprese che il M. avrebbe potuto diventare un importante collaboratore del giornale e gli commissionò alcuni articoli, cercando di favorire il suo trasferimento a Firenze.
Nel febbraio 1823 gli editori A.F. Stella e F. Fusi gli chiesero di dirigere la seconda Società tipografica dei classici italiani: malfermo in salute, il M. si vide costretto a spostarsi da Milano in Brianza e a soggiornare a Balbianello, sul lago di Como, presso C. Verri. Il 15 ag. 1823, a Milano, venne arrestato con l’accusa di essere stato in corrispondenza con i circoli carbonari; durante gli interrogatori l’abile inquisitore A. Salvotti lo indusse a rivelare qualche nome, tra cui quello di Fulvia Verri («l’angiolo»). Dopo alcuni mesi di detenzione fu rilasciato, ma un decreto governativo del 17 novembre lo obbligò a risiedere a Cremona.
Non risulta comunque che il M. fosse direttamente coinvolto nella cospirazione; il 5 dic. 1823, scrivendo al Vieusseux, imputava il proprio arresto alla scoperta da parte della polizia di alcune lettere inviate nell’estate 1819 a T. Dandolo, «sparse d’espressioni malinconiche, le quali poterono far supporre in me una forte avversione al Governo». Risale a questo periodo la distruzione di molte lettere in suo possesso (duecento di P. Giordani, una decina di U. Foscolo, altre di S. Pellico e di G. Perticari). Rivolgendosi il 23 nov. 1823 a C.G. Torresani, direttore di polizia, il M. faceva presente che, dopo aver ottenuto a Milano qualche notorietà in ambito letterario a prezzo di non poche fatiche, sarebbe stato per lui impossibile trarre profitto dagli studi in una città di provincia; chiedeva che, se il bando era immutabile, almeno gli fosse concesso di trasferirsi a Firenze.
Già dall’estate 1822, tramite il comune amico M. Leoni, si erano intensificati i contatti con Vieusseux, che nel febbraio 1823 aveva affidato al M. la gestione di una «Biblioteca d’educazione» dedicata alle famiglie, agli istitutori e ai maestri di scuola elementare; ma il progetto non fu portato a compimento. Nel marzo 1824, ancora grazie alla mediazione di Vieusseux che interessò alla pratica il conte H.F. di Bombelles, ministro austriaco in Toscana, il M. ottenne un salvacondotto e si trasferì a Firenze, in via dei Tintori (poi avrebbe abitato nei pressi di S. Maria Novella). Succedeva ai classicisti A. Benci e U. Lampredi nel ruolo di compilatore responsabile della sezione letteraria dell’Antologia, con regolare stipendio; un aspetto, quello della sicurezza economica, da lui sempre rivendicato (il suo incarico era in effetti ben remunerato: in dieci mesi, fra il settembre 1824 e il giugno 1825, ricevette un compenso di 1112 lire per 445 pagine di stampa di articoli originali).
Cominciava così lo stretto sodalizio del M. col cenacolo degli intellettuali riuniti intorno al Vieusseux (G. Capponi, P. Colletta, G. Poerio, F. Forti, G. Cioni, P. Capei); un impegno esclusivo, che non gli consentì di realizzare altri progetti editoriali, come una raccolta degli scritti di G.D. Romagnosi e l’annotazione per una nuova edizione delle Opere del Vasari, da lui avviata ma poi completata da G. Masselli e pubblicata a Firenze nel 1832-38. Nell’arco di dieci anni firmò sull’Antologia (con la sigla M.) oltre cinquecento articoli di economia, statistica, storia, diritto, scienze naturali, teatro, letteratura, dai semplici annunci librari (sotto la generica denominazione di Rivista letteraria erano spesso riunite decine di recensioni) ai nove articoli (fra il 1829 e il 1831) sul Cours de littérature française di A.-F. Villemain, dai cinque interventi (1829-30) sugli Atti dell’Accademia della Crusca (sulla questione della lingua il M. abbandonò le premesse antipuristiche degli anni milanesi per approdare all’affermazione risoluta della supremazia della parlata popolare toscana) alle otto Lettere (1829-32) sulla Storia generale di G.G. de’ Rossi (1505-64), vescovo di Pavia e governatore di Roma, del quale aveva rinvenuto i manoscritti nella libreria della villa del Barone, fra Montemurlo e Prato, di proprietà del marchese L. Tempi.
Spirito versatile (fece anche parte della Deputazione della Società filodrammatica fiorentina fondata nel 1828), il M., in piena sintonia con le idee del direttore Vieusseux, fu il collaboratore ideale dell’Antologia, che dovette molto a «questo suo mediocre e purtroppo fragile, ma alacre e onesto redattore» (C. Dionisotti). Dopo qualche tempo venne affiancato da N. Tommaseo, giunto a Firenze nell’ottobre 1827, che, dopo una fase che aveva privilegiato la presentazione di brani estratti da giornali in prevalenza stranieri, impresse all’Antologia una linea più marcatamente storica. Pienamente coinvolto in questa prospettiva (anche se i suoi rapporti con Tommaseo non furono sempre facili), il M. si dedicò alla stesura di articoli sui costumi patrii e su episodi significativi della storia italiana, riservando un’attenzione speciale agli scrittori dotati di particolari qualità letterarie; di qui il rilievo accordato agli storici (R. Malespini, D. Compagni, P. Paruta, C. Bentivoglio, P.F. Giambullari, C. Botta) e a Machiavelli come interprete dello spirito del Rinascimento e prodromo di alcuni caratteri dell’identità nazionale (aprile e settembre 1832, pp. 78-96 e 37-51). Fautore del rinnovamento politico e letterario, in una realtà socialmente avanzata come quella fiorentina, e interprete di istanze illuministiche di progresso, il M. assunse di frequente le vesti di critico militante. La stessa scelta delle opere da recensire o segnalare era funzionale a questo scopo, e divenne con frequenza il pretesto per affrontare temi di più vasta portata, per opporsi ai «cavalieri dello spegnitojo», cioè «i campioni dell’oscurantismo» (Antologia, marzo 1825, p. 106), per propagandare quelle idee romantiche che i precedenti redattori letterari del periodico avevano ridimensionato come fenomeno di importazione. In accordo con Vieusseux, il M. antepose tuttavia sempre le ragioni della modernità e del progresso etico-civile ai fondamenti propriamente estetici e letterari del movimento, cogliendone con grande chiarezza le implicazioni sociali e ideologiche.
Nella recensione del Sermone sulla mitologia di V. Monti (ottobre 1825, pp. 102-140) condannò il ricorso alle «favole antiche», proponendo per la moderna poesia temi socialmente utili di ambito storico, politico, scientifico: «Chiunque riguarda la letteratura come una cosa seria, non come un vano trastullo dello spirito, […] è irresistibilmente portato al romanticismo, vale a dire ad un sistema filosofico, il quale non per capriccio o per amore di novità rinuncia alla mitologia e alla servile imitazione degli antichi, ma perché nella mitologia e nella servile imitazione non trova più nulla che serva ai bisogni presenti» (p. 139). Monti, che già aveva manifestato qualche insofferenza per gli atteggiamenti del M. (gli rimproverava fra l’altro il tono eccessivamente adulatorio di alcune «melliflue letterine» a lui indirizzate anni prima), disse di aver provato più compassione che sdegno per quella «lunga predica dissennata», in cui a suo dire il M. aveva confuso maldestramente l’ufficio del poeta con quello del filosofo.
Il M. fu amico di C. Cattaneo, di S. Pellico, di G.B. Niccolini e P. Giordani, che gli indirizzò il 20 febbr. 1823 una importante lettera sulla scoperta, compiuta da A. Mai sul finire del 1819, di alcune parti del De Re publica di Cicerone in un palinsesto della Vaticana. Manzoni lo ebbe caro per il comune amore («forte, rabbioso») nutrito per la lingua toscana (così scriveva a Tommaseo sul finire del 1830 nella minuta di una lettera, poi non completata e mai inoltrata); ai Promessi sposi il M. dedicò un breve ma importante articolo sull’Antologia (agosto 1830, pp. 140-142), come omaggio alla bellezza «più morale che letteraria del romanzo» (già peraltro ampiamente recensito sul giornale da Tommaseo). Riservò un intervento assai più articolato (agosto 1825, pp. 61-91) anche all’edizione fiorentina, presso G. Molini, delle Tragedie, propugnandone la messa in scena (il teatro era visto dagli «antologisti» come strumento di crescita sociale) e illustrando sistematicamente le tesi della Lettre à M. Chauvet. Fu inoltre tra i primi a comprendere la grandezza di Leopardi, al quale era stato segnalato all’inizio del 1819 da P. Giordani e di cui il 5 maggio 1819 aveva lodato le «magnanime» canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante per gli accenti patriottico-civili; poi ne recensì nell’Antologia l’edizione bolognese delle Canzoni (dicembre 1824, pp. 76 s.), i Versi del 1826 (novembre-dicembre 1827, pp. 273-275), le Operette morali (febbraio 1828, pp. 158-161), l’edizione fiorentina dei Canti (aprile 1831, pp. 44-53), oltre all’edizione delle Rime del Petrarca (ottobre 1826, pp. 134-136) e ai due volumi della Crestomazia italiana (gennaio 1828, pp. 171 s., giugno 1829, pp. 119 s.). Dopo i primi scambi epistolari, l’amicizia fra i due si rinsaldò durante i soggiorni in Toscana di Leopardi, anche se al M. fautore di un progressivo incivilimento doveva rimanere estranea la concezione leopardiana di una inevitabile infelicità del genere umano.
Scomparso il padre nell’estate 1827, il M. non poté entrare in possesso dell’eredità, gravata di debiti; tuttavia nella stagione fiorentina visse in condizioni di relativa agiatezza, grazie ai proventi dell’attività giornalistica e, in seguito, alla vendita a G. Tassinari della propria raccolta libraria, in vista di un trasferimento progettato a causa di timori politici.
Il M. morì dopo breve malattia a Firenze il 19 febbr. 1833, «alle ore due e mezzo», come scrisse Vieusseux in una lettera inviata al Poligrafo di Verona; il direttore dell’Antologia (soppressa dalla censura granducale di lì a poche settimane) ricordava il M. come «prezioso amico ed eccellente collaboratore», notando che cinquecento persone «d’ogni grado e d’ogni maniera di professione e di studj» furono presenti alla tumulazione nel chiostro di S. Croce, dove R. Lambruschini tenne una breve orazione funebre.
Fonti e Bibl.: Necr. in: Il Nuovo Ricoglitore, XCVIII, febbr. 1833, pp. 219-221; Biblioteca italiana, XVIII, gennaio-marzo 1833, p. 127; Poligrafo. Giornale di scienze, lettere ed arti, XIII, febbr. 1833, pp. 354 s.; Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.T.L.V.5-8 (quattro volumi che riuniscono gli estratti a stampa di un gran numero di Articoli letterari e Riviste letterarie del M. per l’Antologia, con alcune correzioni a margine; quello intorno al Discorso sullo studio filosofico delle lingue del conte di Volney, nel fasc. di luglio 1828, pp. 124-141, reca a p. 124 la nota ms. «tutto mutilato»); Lodi, Bibl. comunale Laudense, Carteggio L. Anelli, XXXIV.B.11 (dieci lettere del M.); Cremona, Bibl. statale, BB.2.1. f. 6 (una lettera del 1812 a L. Bellò); Firenze, Arch. storico del Gabinetto Vieusseux, Copialettere, I, 16, 167, 217, 244, 258, 322, 510; II, 146, 192, 228, 245, 578; III, 156, 444, 474, 518, 536, 720 (carteggio con Vieusseux, 1822-23);Ibid., Biblioteca nazionale, Fondo Vieusseux, 72, 27, 40, 46, 49, 50-51, 122, 123-124; Fondo Tommaseo, 186, 6 e 198, V, 4 (carteggio con Vieusseux, 1822-23); [A. Vannucci], Memorie della vita e degli scritti di G. M., Capolago 1843 (in appendice, pp. 134-249, 76 lettere del M.); P. Bigazzi, Due lettere di S. Pellico a G. M., Firenze 1858; G. Carducci, Della poesia melica italiana (1868), in Opere, XIX, Bologna 1909, p. 61; A. De Gubernatis, G. M. il cireneo della vecchia «Antologia» studiato sopra il suo carteggio inedito, in Nuova Antologia, XXII (1880), f. XIV e XV, pp. 193-224 e 419-440; P. Prunas, L'«Antologia» di G.P. Vieusseux, Roma-Milano 1906, pp. 78-83 e passim; C.A. Anelli, Ai miei figli. Ricordi della mia vita, Milano 1914, pp. 7-28; A. D’Ancona, Memorie e documenti di storia italiana dei secc. XVIII e XIX, Firenze 1914, pp. 478-483; A. Ottolini, G. M. Lettere e ricordi inediti, in Arch. storico lombardo, XLII (1915), pp. 645-668; O.M. Premoli, Storia dei barnabiti dal 1700 al 1825, Roma 1925, p. 463; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1928-31, IV, p. 400; V, p. 388; VI, p. 150; G. Agnoli, Nel primo centenario della morte di G. M. scrittore, educatore, patriota cremonese, in Annuario del R. Liceo scientifico G. Aselli, Cremona 1933, pp. 23-47; G. Boffito, Scrittori barnabiti o della Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo (1533-1933). Biografia, bibliografia, iconografia, Firenze 1933-37, II, pp. 596-600; A. Ottolini, Per l’onorabilità di G. M. (da docc. inediti), in Arch. storico lombardo, LXII (1936), pp. 201-218; C. Bonetti, Per G. M. (da documenti inediti), in Boll. storico cremonese, s. 2, VII (1937), pp. 61-76; Discussioni e polemiche sul Romanticismo (1816-1826), a cura di E. Bellorini, II, Bari 1943, pp. 194-199, 262-266, 275-321; Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, a cura di P. Treves, Milano-Napoli 1962, pp. 435-443; A. Di Preta, Il carteggio inedito M. - Vieusseux, in La Rassegna della letteratura ital., LXVII (1963), pp. 78-115, 271-306; Critici dell’età romantica, a cura di C. Cappuccio, Torino 1968, pp. 299-435; U. Carpi, Profilo di G. M., in La Rassegna della letteratura ital., LXXIII (1969), pp. 273-337; A. Manzoni, Lettere, a cura di C. Arieti, I, Milano 1970, p. 618; R. Stefanelli, Un romantico illuminista. G. M., Ravenna 1972; L. Brentari, La critica di G. M., in Aevum, XLVII (1973), pp. 518-537; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 7, 52, 71-74 e passim; A. Ferraris, Introduzione e Nota bibliografica, in G. M., Scritti letterari, Torino 1980, pp. VII-CVIII; C. Dionisotti, Appunti sui moderni. Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri, Bologna 1988, pp. 111-114, 123 s., 161 s.; A. Ferraris, La severità dell’«istoria» e le immagini del romanzo negli scritti di G. M. sull’«Antologia», in Teorie del romanzo nel primo Ottocento, a cura di R. Bruscagli - R. Turchi, Roma 1991, pp. 33-40; F. Monterosso, G. M. recensore di quattro edizioni leopardiane a Bologna, Milano, Firenze, in Le città di Giacomo Leopardi. Atti del VII Convegno internaz. di studi leopardiani. Recanati... 1987, Firenze 1991, pp. 275-302; E. Benucci, Il primo redattore dell’«Antologia»: lettere inedite di G.P. Vieusseux a G. M., in Antologia Vieusseux, I (1995), pp. 104-121; G. Leopardi, Epistolario, a cura di F. Brioschi - P. Landi, Torino 1998, I, p. 301; G. Bertoncini, Una bella invenzione: G. M. e il romanzo storico, Napoli 2004; C. Varotti, Dal «Conciliatore» all’«Antologia». La storia e la tragedia tra G. M. e Pagani Cesa, in Idee e figure del «Conciliatore», a cura di G. Barbarisi - A. Cadioli, Milano 2004, pp. 553-568; G. Albergoni, I mestieri delle lettere tra istituzioni e mercato. Vivere e scrivere a Milano nella prima metà dell’Ottocento, Milano 2006, pp. 28, 30.