MONTI, Giuseppe
MONTI, Giuseppe. – Nacque a Bologna il 27 novembre 1682 da Antonio e da Laura Neri Boccalini.
Appena terminato il corso di grammatica latina, cominciò a dedicarsi all’arte farmaceutica ed esercitò la professione di speziale fino ai quarant’anni. Nel 1707 sposò Caterina Furolfi, di origine forlivese. Dal matrimonio nacquero «molti figliuoli» (Fantuzzi, 1788, p. 93), tra cui Gaetano Lorenzo che sarebbe diventato il suo principale collaboratore e il suo successore nelle cariche nell’Università, nell’Istituto delle scienze e nell’Orto botanico.
Allo scopo di migliorare le proprie competenze nell’arte farmaceutica Monti si dedicò allo studio delle piante, allestendo un piccolo orto domestico e intraprendendo viaggi nel territorio bolognese e sulle Prealpi per raccogliere erbe medicinali. Sempre da autodidatta, cominciò a interessarsi alla storia naturale e riuscì a mettere insieme «una non spregevole raccolta di minerali, di pietre e di conchiglie» (ibid., p. 91). Si dedicò in particolare alla ricerca di esemplari pietrificati di piante e animali, sulla scia di un interesse molto diffuso a Bologna dopo il 1704, quando Iacopo Bartolomeo Beccari aveva presentato all’Accademia degli Inquieti le tesi di John Woodward sull’origine diluviana dei fossili. Nel 1719 Monti scrisse e pubblicò (a Bologna come tutta la sua produzione scientifica) la dissertazione De monumento diluviano nuper in agro Bononiensi detecto, che ebbe un’immediata risonanza: Fantuzzi (ibid.) ricorda che nel 1720 Jacob von Melle, naturalista di Lubecca, dedicò a Monti un’opera sulle «pietre figurate» del proprio paese.
Si tratta di un notevole studio geo-paleontologico, conosciuto e citato da molti naturalisti del Settecento e dell’Ottocento, da Carlo Linneo a Johann Gottschalk Wallerius, Alberto Fortis, Georges Cuvier, Camillo Ranzani, François-Jules Pictet e Giovanni Capellini. Era stato ispirato dalla scoperta su un monte degli Appennini bolognesi della mandibola fossilizzata di un mammifero, creduto un tricheco da Monti, ma nel 1837 correttamente identificato da Ranzani come un rinoceronte. Monti presenta la sua scoperta come una conferma della veracità della teoria di Woodward che attribuiva al diluvio biblico l’origine dei fossili di piante e animali marini ritrovati in zone distanti dal mare (Sarti, 1993, p. 447).
Negli anni seguenti Monti si dedicò a sistematiche ricerche paleontologiche e realizzò nuovi importanti ritrovamenti di esseri marini fossilizzati, che fece oggetto di interessanti studi comparativi di cui riferì in dissertazioni presentate nell’Accademia delle scienze e pubblicate nei De Bononiensi scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii (De testaceis quibusdam fossilibus, II [1746], 2, pp. 285-295; De ostreo fossili magnitudine et figura insigni, ibid., pp. 339-345; De fossilibus lignis, III [1755], pp. 241-260; De quadam balanorum congerie, ibid., pp. 323-330), mantenendosi sempre fedele alle teorie diluviane di Woodward, condivise del resto dai numerosi studiosi bolognesi, da Beccari a Luigi Ferdinando Marsili, a Iacopo Biancani, che nei primi decenni del Settecento intervennero nella discussione sull’origine delle «pietre figurate».
Monti può essere considerato il «vero fondatore della paleontologia moderna a Bologna» (Sarti, 1993, p. 447) non solo per i suoi numerosi studi in questo campo, ma anche per avere allestito nella propria abitazione un museo paleontologico, il primo in Italia, da lui significativamente denominato Museum diluvianum. La collezione, arricchita di esemplari provenienti dalle raccolte marsiliane e successivamente dai musei Aldrovandi e Cospi, fu in seguito trasferita nel Museo di storia naturale dell’Istituto bolognese, dove nel 1720 Monti era stato nominato sostituto, cioè assistente, del professore di storia naturale, Ferdinando Antonio Ghedini (ibid, pp. 450 s.).
Sempre nel 1719 uscì il primo frutto delle sue ricerche in campo botanico, l’operetta Catalogi stirpium agri Bononiensi prodromus, in cui offriva un saggio di classificazione di numerose specie botaniche ispirato al metodo tassonomico basato sulla forma della corolla e del frutto proposto da Joseph Pitton de Tournefort. A questo metodo, di cui apprezzava la praticità, si manterrà sempre fedele, pur non esimendosi da critiche e correzioni. Già nel Prodromus diede ampio spazio alle graminacee, trascurate da Tournefort, classificandole secondo un proprio metodo. Un altro punto di diversificazione sarebbe stata la nomenclatura da lui adottata per le piante medicinali, nella quale, per ragioni pratiche, mantenne i termini usati dagli speziali (Minuz, 1987, pp. 50 s.). Ciò si può constatare in due testi pubblicati entrambi nel 1724 e destinati agli allievi che frequentavano le sue lezioni: Plantarum varii indices ed Exoticorum simplicium medicamentorum varii indices. Al tempo Monti aveva infatti ormai lasciato la professione di speziale e intrapreso quella di docente.
Nel 1722 si resero vacanti sia il posto di professore nell’Istituto sia quello di ostensore dei semplici nell’Orto botanico dell’Università. Per poter accedere a quest’ultima carica era richiesto il titolo di dottore e Monti, ormai quarantenne, riuscì a ottenere la laurea in filosofia (17 aprile 1722) e l’assegnazione dei due incarichi. Il fatto di diventare professore di storia naturale dell’Istituto e per conseguenza custode del Museo di storia naturale dello stesso non poteva che rinsaldare la sua amicizia di vecchia data con il suo fondatore, Marsili, cultore egli stesso di studi naturalistici e particolarmente interessato alla storia della terra. Nel 1723 questi volle che Monti si recasse con lui a Livorno per assisterlo nello sbarco e nel trasporto a Bologna delle 14 balle di reperti di storia naturale acquistati nel suo viaggio in Inghilterra e Olanda del 1721-22. In attesa della donazione ufficiale al Senato, che sarebbe avvenuta solo nel 1727, questi «capitali», collocati in una casa privata, furono affidati alla custodia di Monti. Dopo la donazione fu lui, con l’aiuto del figlio Gaetano, diventato suo sostituto nel 1729, a curarne l’ordinata sistemazione nelle stanze del Museo di storia naturale dell’Istituto (Fantuzzi, 1788, p. 92). Agli scritti sui coralli di Marsili, Monti dedicò poi un opuscolo in cui non nascose i suoi dubbi sulla tesi dell’appartenenza degli stessi al regno vegetale sostenuta dall’autore (De scriptis comitis Aloysii Ferdinandi Marsili, in Commentarii, II [1746], 2, pp. 378-388).
Le prime opere dettero a Monti una certa fama e favorirono l’allargamento della sua rete di corrispondenti (che arrivò a comprendere i principali naturalisti del tempo, tra i quali Pier Antonio Micheli, Michelangelo Tilli, Antonio Vallisneri, Giulio Pontedera, Carlo Allioni, William Sherard, Hermann Boerhaave, Johann Jakob Scheuchzer e Linneo). Un’eloquente testimonianza del livello delle reti intellettuali in cui era inserito è la dedica a lui, Bernardino Zendrini e Vallisneri del libro dello svizzero Louis Bourguet, Lettres philosophiques sur la formation des sels et des cristaux, Amsterdam 1729.
Nel 1736 Monti ottenne la cattedra di semplici medicinali nello Studio bolognese, senza dover sostenere, come di prammatica, la difesa di pubbliche conclusioni, dalla quale fu dispensato a causa dell’alta reputazione di cui godeva. Dal 1720 era membro dell’Accademia delle scienze e nel 1745 entrò a far parte, su nomina di Benedetto XIV, della classe degli Accademici benedettini. Sempre nel 1745 ricevette l’ulteriore prestigioso incarico di prefetto del Giardino botanico di via S. Giuliano, dove, a differenza che nell’Orto botanico del palazzo pubblico, specializzato nelle piante medicinali, era dato un crescente rilievo a quelle esotiche. Monti trasferì la sua abitazione in una casa interna all’orto e questo gli permise di curare continuativamente le piante rare anche quando (1752), ormai vecchio e in cattiva salute, lasciò tutti i suoi incarichi istituzionali, che passarono al figlio Gaetano.
Un aspetto molto importante dell’influenza esercitata da Monti sulla cultura scientifica bolognese deve essere individuato nel suo ruolo di freno nel processo di ricezione del sistema tassonomico proposto da Linneo. Le sue resistenze derivavano dalla fedeltà al metodo di Tournefort e forse anche dalla sua simpatia per le idee di Georges-Louis Leclerc de Buffon, deciso avversario del sistema linneano. Un significativo indizio dell’atteggiamento di Monti verso l’opera dello scienziato francese è la memoria De mucore (pubblicata nei Commentarii, III [1755], pp. 145-159, e probabilmente presentata in accademia nel 1754), un intervento nella polemica sulla generazione spontanea, in cui Monti descriveva esperimenti sulle muffe che confermavano la posizione sostenuta da Buffon nell’Histoire naturelle e contraddicevano le convinzioni antispontaneiste dominanti a Bologna (Pancaldi, 1972).
Negli Indices botanici et materiae medicae, prima compilati a mano da Monti e nel 1753 pubblicati a stampa, anonimi, dal figlio Gaetano, come strumento didattico per aiutare gli studenti nel riconoscimento delle piante, le opere di Linneo spogliate comprendevano diverse edizioni del Sistema naturae e dei Genera plantarum. Gli Indices botanici rappresentano la veste definitiva, a stampa, di elenchi alfabetici di piante, medicinali e non, concepiti da Monti come una sorta di manuale a uso di coloro (studenti di medicina, ma altresì medici e speziali) che seguivano le sue lezioni e le sue ostensioni nell’Orto botanico. Anche le lezioni tenute in questi corsi sono rimaste. Lo studio di tali documenti e delle memorie accademiche, edite nei Commentarii o più spesso manoscritte, ha permesso di ricostruire in modo convincente la posizione di Monti sui sistemi di classificazione botanica e le ragioni teoriche e pratiche delle sue scelte.
Mariafranca Spallanzani rileva che il rapporto degli studi botanici con la medicina aveva ancora per Monti un grande peso e che ciò lo portava «a conservare e a difendere il carattere eminentemente pratico dello studio delle piante, rivendicando ripetutamente la necessità di individuare, oltre a una denominazione corretta delle specie, anche l’utilità medica e farmaceutica di ciascuna» (Spallanzani, 1984, p. 174). La stessa adozione del metodo tassonomico di Tournefort, fondato sulla diversa struttura dei fiori, era attribuita da Monti in primo luogo alla sua chiarezza e semplicità d’uso. Il sistema dello svedese era invece da lui accusato di aumentare il caos e la confusione nel mondo vegetale introducendo una nuova nomenclatura. Monti avanzava dubbi anche a livello teorico sull’efficacia ordinatrice del sistema sessuale: applicandolo, Linneo aveva commesso, a suo dire, molti errori di classificazione.
L’atteggiamento di Monti verso il sistema linneano cambiò negli anni Cinquanta. In una dissertazione letta in Accademia nel gennaio 1757 egli ammetteva che dopo molte osservazioni ed esperimenti era giunto a preferire le ragioni dei sostenitori a quelle dei detrattori di Linneo e questo nonostante il permanere di molte difficoltà nell’applicazione del suo metodo (ibid., p. 175). È possibile che a considerare con maggiore simpatia le idee del naturalista svedese Monti fosse stato spinto anche dalle lettere (ora perdute) che quest’ultimo gli fece recapitare all’inizio del 1753. Nella sua risposta, ritardata per «qualche mese» per poterla accompagnare con i già ricordati Indices botanici, e datata 5 giugno 1753, Monti sembra quasi scusarsi perché nel libro non sempre lui e il figlio avevano anteposto alle altre la nomenclatura formulata secondo l’«egregio metodo» di Linneo. La spiegazione stava nella destinazione didattica dell’opera e nel fatto che in Italia questi studi non erano fini a se stessi, ma legati alla preparazione dei medici (Cavazza, 2007, p. 240). Nonostante i propositi espressi da Monti alla fine della lettera di iniziare con il suo corrispondente svedese una consuetudine di scambi, questo non avvenne. Da parte sua Linneo non aveva mancato di inviare altri segnali del suo interesse a una collaborazione con Monti e con il prestigioso centro bolognese: nell’edizione del 1753 del Systema naturae, riservò addirittura a Monti l’onore di battezzare con il suo nome una pianta che costituiva un nuovo genere, il Montia (Cristofolini - Mossett, 1988, p. 145).
Monti morì a Bologna il 4 marzo 1760 in seguito a un colpo apoplettico e fu sepolto nella chiesa dei carmelitani scalzi, l’Ordine religioso al quale apparteneva il figlio Giovanni Felice.
Fonti e Bibl.: Moltissimi manoscritti (dissertazioni accademiche, lezioni ed esercitazioni, lettere, ecc.) di Monti sono conservati in archivi e biblioteche di Bologna: Arch. Antica Accademia delle scienze; Arch. di Stato, Arch. generale arcivescovile; Biblioteca universitaria; Biblioteca comunale dell’Archiginnasio. Per dettagliati riassunti delle memorie accademiche di Monti cfr. I Commentari dell’Accademia delle scienze di Bologna, a cura di W. Tega, Bologna 1986, ad indices; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VI, Bologna 1788, pp. 91-94; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università di Bologna…, Bologna 1848, ad vocem; G. Monti, Vita di G. M.…, Imola 1883; G. Pancaldi, La generazione spontanea nelle prime ricerche dello Spallanzani, Pisa 1972; M. Spallanzani, Le «Camere di storia naturale» dell’Istituto delle scienze di Bologna nel Settecento, in Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, a cura di R. Cremante - W. Tega, Bologna 1984, pp. 149-183; Id., Le Camere di Storia naturale, in I luoghi del conoscere. I laboratori storici e i musei dell’Università di Bologna, Milano 1988, pp. 33-44; G. Cristofolini - U. Mossetti, L’Orto botanico e gli erbari, ibid., pp. 144-151; F. Minuz, «Ad Naturae Historiam Spectantia», in Anatomie accademiche, II, L’enciclopedia scientifica dell’Istituto delle scienze di Bologna, a cura di W. Tega, Bologna 1987, pp. 43-58; A. Angelini, Anatomie accademiche, III, L’Istituto delle scienze e l’Accademia, Bologna 1993, pp. 111-130, 197-203; C. Sarti, G. M. and Palaentology in Eighteenth Century Bologna, in Nuncius, VIII (1993), pp. 443-455; M. Cavazza, From Tournefort to Linnaeus: The slow conversion of the Institute of sciences of Bologna, in Linnaeus in Italy: The spread of a revolution in science, a cura di M. Beretta - A. Tosi, Sagamore Beach, MA, 2007, pp. 233-252.