OLMO, Giuseppe
OLMO, Giuseppe (Gepin). – Nacque a Celle Ligure (Savona) il 22 novembre 1911 da Luigi, imprenditore balneare, e da Maria Isabella Riccardo, commerciante, secondogenito di sei fratelli.
L’agiografia sportiva del ciclismo racconta che la sua carriera iniziò un mattino dell’inverno 1924 allorché, mentre tornava da scuola in bicicletta con i libri legati al telaio, raggiunse senza troppa fatica un corridore già affermato, Giuseppe Olivieri, che di lì a qualche tempo sarebbe diventato il suo mentore e allenatore.
Dal 1927, non ancora sedicenne, esordì nelle categorie inferiori. Corse per la Ciclistica azzurra di Varazze, per l’Unione ciclistica Fulgor di Savona, per la Società ciclistica sampierdarenese e, nel 1931, per la Ercole Piaggio di Genova, con cui vinse, assieme a Biggio, Grosso e Briano, la finale della Coppa Italia. Lo stesso anno si impose anche nel campionato italiano dilettanti e in un’altra dozzina di gare e ottenne un secondo posto ai Campionati mondiali su strada di Copenaghen.
Grazie a questi risultati fu chiamato a far parte della squadra azzurra alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 dove, con Attilio Pavesi e Guglielmo Segato, conquistò la medaglia d’oro olimpica nella cronometro a squadre. Questi successi gli permisero, in quello stesso anno, di passare come professionista nella società Frejus e di aggiudicarsi, nell’autunno del 1932, la più antica classica del ciclismo italiano: la Milano-Torino.
L’ingresso nel mondo del professionismo avvenne in un momento particolarmente felice del ciclismo italiano. Gli anni Trenta furono infatti il decennio aureo dello sport su due ruote, grazie alla sfida fra i ‘giovani’ Gino Bartali e Aldo Bini e i ‘vecchi’ Costante Girardengo, Learco Guerra e Alfredo Binda. Pur in questa agguerrita concorrenza, Olmo riuscì ad affermarsi. Considerato un routier-sprint di gran classe nelle volate, rivaleggiò con Raffaele Di Paco, Bini, Olimpio Bizzi e si cimentò con buoni risultati anche nelle specialità su pista. Capace di primeggiare nelle corse a cronometro, andò in più di un’occasione vicino alla vittoria anche in grandi corse a tappe come il Giro d’Italia.
La sua carriera non conobbe contaminazioni di carattere politico, a differenza di quanto accadde per Guerra (il ‘fascistissimo’), Bartali (il ‘magnifico atleta cattolico’) o per Binda, che il sentimento popolare associò a un generico antifascismo. Anche il nomignolo affettuoso che i tifosi gli attribuirono, Gepin, è testimonianza della sua popolarità: quell’identificativo in forma diminutiva rende ragione in maniera quasi onomatopeica dello scontro impari con ciclisti dagli appellativi altisonanti come ‘il campionissimo’ Girardengo, ‘la locomotiva umana’ Guerra o ‘l’arcangelo della montagna’ Bartali.
A differenza dei rivali, le sue vittorie da professionista furono colte in competizioni nazionali. Sfortunate le tre partecipazioni consecutive ai campionati mondiali su strada: squalificato per irregolarità nel 1934 a Lipsia; finito nelle retrovie per una caduta nel 1935a Floreffe in Belgio; attardato da una serie di forature nel 1936 a Berna.
Dopo la breve esperienza nella Frejus, nel 1933 passò alla Bianchi e affrontò il suo primo Giro d’Italia aggiudicandosi la tappa Riccione-Bologna davanti ad Alfredo Bovet e a Binda. Le successive partecipazioni a questa corsa lo videro protagonista di primo piano e interprete di un crescendo di risultati: tre tappe nel 1934, allorché giunse quarto nella classifica finale dietro Guerra, Francesco Camusso e Giovanni Cazzulani; quattro nel 1935 quando indossò per sette giorni la maglia rosa ed ebbe il terzo posto finale, preceduto da Vasco Bergamaschie da Giuseppe Martano; nel 1936 arrivò a un passo dalla vittoria finale, classificandosi a 2’36” da Bartali, dopo aver vinto ben 10 delle 21 tappe in programma e tra queste anche la cronoscalata Rieti-Terminillo, nonostante le sue dichiarate doti di non scalatore.
Nel 1935 vinse la Milano-Sanremo, nel 1936 fu campione italiano su strada, nel 1938 prevalse di nuovo nella Milano-Sanremo, ultima sua vittoria significativa. Tuttavia l’impresa che lo ha fatto passare alla storia del ciclismo resta la conquista del record dell’ora al velodromo Vigorelli di Milano: battendo il primato appartenuto al francese Maurice Richard, che lo aveva stabilito il 29 agosto 1933, percorrendo 44,777 km, il 31 ottobre 1935 Olmo infranse per primo il muro dei 45 km orari, stabilendo una distanza di 45,090 km.
Montava una bicicletta Bianchi del peso di circa 8,5 kg, con gomme leggerissime, rapporto 24x7 con catena e ingranaggi Humber, per uno sviluppo di 7,32 m a pedalata. Le cronache dei giornali sono piuttosto avare su quell’impresa e ciò che accadde è affidato ai racconti dei pochi presenti, poiché a Olmo era stata offerta la possibilità di tentare quel record solo 24 ore prima e per questo motivo quando scese in pista il velodromo era completamente deserto. Testimonianze riferiscono che quel pomeriggio la pioggia era caduta abbondante sul Vigorelli e che i tecnici di Olmo decisero di cospargere con un sottile velo di benzina la pista bagnata (altre testimonianze parlano di alcol) per asciugare col fuoco il manto in legno. Il record fu riconquistato un anno dopo, il 14 ottobre 1936, da Richard sempre al Vigorelli.
Dopo aver corso dal 1933 al 1940 con la Bianchi, Olmo passò, nel 1941, alla DEI senza cogliere successi nella sua ultima stagione. Nel gennaio 1940 aveva sposato Dina Dapelo, dalla quale ebbe tre figlie.
Con la seconda guerra mondiale finì la sua carriera, ma non certo la sua passione per il ciclismo. Dotato di notevole intraprendenza, nel 1939 iniziòla costruzione di biciclette, realizzando, secondo la testimonianza dei familiari, il primo esemplare nella bottega di un fabbro attigua alla sua abitazione di Celle Ligure. Dopo quelle prime prove artigianali consolidò l’attività alla fine della guerra, quando all’industria di Celle Ligure affiancò la produzione di pneumatici e tubolari, insediandosi, per i primi tempi, in un capannone diroccato alla periferia di Milano.
Se durante la carriera agonistica aveva dovuto soccombere ai grandi rivali, sul piano dell’attività industriale fu certamente, per la sua generazione, l’imprenditore di maggior successo proveniente dal mondo delle due ruote. È frequente che i campioni del pedale restino nel mondo del ciclismo, dedicandosi alla costruzione delle biciclette: Girardengo, Guerra e Bartali, per esempio, crearono marchi industriali, ma le biciclette da loro prodotte non ebbero il successo che negli anni sarebbe arriso a Olmo, il quale oltre a bici e motocicli si occupò della produzione di pneumatici, accessori, materie plastiche, cavi elettrici, resine, poliuretano espanso, creando lavoro e benessere per numerose famiglie anche di Varazze.
Morì a Milano il 5 marzo 1992.
Grazie alla continuità impressa dagli eredi, alla storica fabbrica di biciclette di Celle si sono aggiunte cinque società operanti in diversi settori (persino nella produzione e vendita di vino e olio) che hanno raggiunto posizioni di leadership in molti paesi europei con la produzione di materiali plastici e poliuretanici per i settori automobilistico, del mobile, calzaturiero, tessile e dell’isolamento termico. Nel mercato delle biciclette la Olmo ha esteso la produzione alle mountain-bikes e alle city-bikes. Con le ‘Biciclissime Olmo’ grandi campioni del ciclismo professionistico contemporaneo come Pierino Gavazzi, Marino Lejarreta, Angel Casero, Oscar Freire, Danilo Di Luca hanno ottenuto vittorie in moltissime gare di primaria importanza.
Fonti e Bibl.:D. Marchesini, L’Italia del Giro d’Italia, Bologna 1996; C. Delfino, Mio fratello Gepin. L’avventura sportiva di G. O. nei ricordi del fratello Michele, Genova 1997; S. Battente, Bicicletta e impresa economica, in Il Giro d’Italia e la società italiana, a cura di G. Silei, Manduria-Bari-Roma 2010, pp. 101-124.