MINOLI, Giuseppe Ottavio
– Nacque a Oleggio (Novara) il 29 dic. 1816 da Carlo Antonio e da Liberata Bronzini. Rimasto presto orfano di madre, fu allevato con eccessivo rigore dal padre, tanto che a 10 anni, «bramoso di libertà», scappò di casa e si diresse a piedi verso Novara, lontana una quindicina di chilometri. Si rifugiò a casa di un conoscente, di professione sarto, e decise di avviarsi a questo mestiere. Dopo un anno, appresi i rudimenti del mestiere, poté alloggiarsi presso un altro padroncino, «di miglior vaglia e di migliore clientela» (tutte le citazioni tra virgolette: da Piolti de Bianchi). I guadagni crebbero e il M. poté impiegare le ore di libertà a procurarsi le prime nozioni del leggere e dello scrivere. Verso i sedici anni, raccolto un po’ di denaro, lasciò Novara per trasferirsi a Torino. Nel 1835 fece un primo grande balzo recandosi a Parigi. Trovò subito lavoro in una sartoria «tra le prime per moda e per buon gusto». Nel contempo «cominciò a studiare il disegno e ad esercitarsi nel taglio, la parte più difficile e meglio retribuita».
A Parigi iniziò a interessarsi di politica, affascinato dalle idee democratiche. Nel 1840 partecipò, in rappresentanza della sua categoria, ad alcune riunioni preparatorie di uno dei tanti tentativi di rivolta per rovesciare la monarchia di Luigi Filippo. Abortita l’iniziativa, «venne consigliato ad allontanarsi» e si diresse a Londra. Qui nel 1841 conobbe di persona G. Mazzini che ne riportò un’ottima impressione e lo ebbe a lungo suo amico e collaboratore. Nel 1842 il M. rientrò a Parigi. Da quel momento il suo nome figura con assiduità sia nel Protocollo della Giovine Italia sia nei volumi degli Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini.
Le pagine di queste due grandi opere sono ricche di riferimenti al suo ruolo di postino, sia da Parigi e Londra sia viceversa, il che fa immaginare non solo una funzione di tramite, ma anche di corriere fra le due capitali. Il M. stava iniziando l’attività di imprenditore e i viaggi a Londra servivano ad acquistare la stoffa per confezionare gli abiti dei suoi clienti; giovandosi di spostamenti e contatti, operò da attivista ineguagliabile per procacciare denaro all’organizzazione mazziniana. Ma il progetto che lo impegnò più di tutti fu la promozione dell’Unione degli operai italiani e la diffusione del giornale ad essa connesso, l’Apostolato popolare. Gli ostacolò il cammino un personaggio, G.A. Pieri, destinato a diventare famoso per la parte avuta nel complotto di F. Orsini contro Napoleone III.
A partire dal 1844, il M., che l’anno prima aveva sposato la bretone G. Pilardeau dalla quale ebbe un figlio, disattese alquanto le richieste di Mazzini. Con i risparmi accumulati decise di trasformarsi definitivamente in un imprenditore. Si trasferì a Milano, dove aprì un negozio di mercante-sarto, mentre la moglie, non meno grintosa, gestiva un’attività per la confezione di biancheria.
Nell’acceso clima del 1848 il M. riprese la collaborazione con Mazzini. Durante le Cinque giornate di Milano fu tra i primi e più animosi, sia nel corteo che si diresse al palazzo del governo, sia nell’assalto della barriera di porta Tosa. In ottobre Mazzini lo avvertì da Lugano del moto iniziato in Val d’Intelvi e gli chiese di reclutare volontari e di inviare armi e denari. Fallito il tentativo, addosso ad alcuni dei combattenti arrestati dagli Austriaci furono trovati «i mezzi di riconoscimento da lui somministrati», cosicché l’autorità militare tentò di arrestarlo. Percorrendo i tetti delle case vicine, il M. si sottrasse alla cattura, attraversò la frontiera e si rifugiò a Torino.
Il 6 febbr. 1853 la sommossa di Milano fu immediatamente repressa dagli Austriaci. G. Piolti de Bianchi, punto di riferimento dell’iniziativa, fu costretto a fuggire. Vagò per alcuni mesi, fino a quando raggiunse Torino dove fu accolto e ospitato dal Minoli.
Nel 1859, dopo aver fornito le divise per i Cacciatori delle Alpi, il M. fece altrettanto per il governo dittatoriale di Modena, dove una sua vecchia conoscenza, L. Frapolli, reggeva il ministero della Guerra. Per soddisfare la domanda di equipaggiamenti il M. si associò con un imprenditore locale e trasferì parte dell’attività a Modena. Poi seguì con trepidazione gli avvenimenti di Sicilia, e Giorgio Asproni, che con lui partecipò a una riunione a Torino il 15 maggio 1860 «per concertare un meeting di soccorso alla Sicilia», lo definì in quell’occasione «agente infaticabile» di Mazzini. In realtà, secondo una successiva testimonianza di A. Geisser, figlio di un noto banchiere torinese, l’organizzazione dell’iniziativa democratica nel Sud e il contributo del M. come fornitore di panni militari per G. Garibaldi furono sempre segretamente seguiti e tollerati da C. Cavour. Ciò non toglie che, continuando a collaborare con Mazzini, il M. tentasse di farsi tramite con Garibaldi di suggerimenti, peraltro da questo puntualmente rifiutati.
Il M. ora gestiva un notevole patrimonio. Nel 1863 possedeva 520 azioni, per 41.600 lire di una fra le più rilevanti imprese ferroviarie italiane, le Calabro-Sicule. Successivamente fu presente negli organi direttivi di due società che avrebbero presto acquistato grande prestigio: la Cirio e la Italgas. La prima, dopo un avviamento artigianale, prese l’abbrivio nel 1875, con la costituzione della Francesco Cirio & C. Francesco Cirio era il giardiniere della famiglia Minoli e convinse il datore di lavoro ad investire sul suo progetto. Il M. acquisì un gruppo consistente di azioni dell’Italgas in cambio di alcuni immobili situati a Torino, nella centralissima piazza S. Carlo. Entrò subito nel consiglio di amministrazione, dove la sua personalità si impose in più circostanze.
Nel 1864 il M. era membro della loggia massonica Dante Alighieri, della quale era venerabile Frapolli. In gennaio venne eletto elemosiniere, figurando con il 18° grado del rito scozzese. Nel 1865, giustificandosi per non poter partecipare ai lavori a causa dei suoi molteplici impegni, ribadì la sua fedeltà alla massoneria.
Dopo il 1862 il M., scosso dalla sventura dell’Aspromonte, assunse una posizione più defilata e, pur erogando occasionalmente qualche somma di denaro a favore della stampa mazziniana, si convinse che, poiché c’era un governo nazionale desiderato da secoli, «a questo soltanto spettava il diritto, come incombeva il dovere di dirigere i destini della Patria».
Morì a Vichy il 26 luglio 1881.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Fondi Modenesi; Anonimo [G. Piolti de Bianchi], Alla memoria di G.O. M., parole di un amico, Torino 1882; Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Indici, a cura di G. Macchia, II, 2, Imola 1973, ad nomen; Protocollo della Giovine Italia, I-VI, Imola 1915-22, ad ind.; A. Geisser, Uomini del Risorgimento italiano (Reminiscenze), in Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera, 1° apr. 1923, p. 261; E. Julitta, Un patriota oleggese (G.O. M.) ed alcune lettere inedite di G. Mazzini, in Bollettino storico per la provincia di Novara, XX (1926), p. 304; G. Asproni, Diario politico, a cura di C. Sole - T. Orrù, I-VI, Milano 1974-91, ad ind.; V. Castronovo et al., Dalla luce all’energia. Storia dell’Italgas, Roma 1987, ad ind.; L. Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post-unitario, Lodovico Frapolli, Milano 1998, ad ind.; Id., G.O. M., Patriota, imprenditore, massone, Novara 2001.
L. Polo Friz