PACE, Giuseppe
PACE, Giuseppe. – Nacque a Castrovillari il 5 febbraio 1826 da Muzio e da Maria Baratta, primo di dodici figli.
Il padre esercitava la professione legale e possedeva rilevanti imprese agricole. Pur di simpatie liberali, fu sindaco e consigliere provinciale. La madre era figlia di Giuseppe Baratta, uno dei più grandi proprietari terrieri della Calabria. Castrovillari era capoluogo di un popoloso distretto che aveva conosciuto le lotte tra sanfedisti e repubblicani, murattiani e borbonici, carbonari e calderari. L’ambiente in cui si muoveva la famiglia Pace – inserita nell’élite regionale attraverso interessi economici, rapporti di parentela ed esperienze professionali – era segnato da tradizioni di solidarietà così come da contrasti profondi, determinati dalla competizione per il potere locale e dalle convinzioni politiche.
Giuseppe studiò nella scuola italo-greca di San Demetrio Corone, una delle più apprezzate della regione, partecipando attivamente alla vita sociale del comprensorio. Completati gli studi di giurisprudenza a Napoli, iniziò il suo impegno militante nell’associazionismo segreto, una tappa consolidata della lotta politica meridionale che, negli anni Quaranta, all’interno dell’opposizione, mescolava la memoria della carboneria, idee liberali e un confuso ma crescente nazionalismo italiano.
La concessione della Costituzione, dopo le rivolte del gennaio 1848, aprì spazi maggiori nella politica locale. I Pace e altri liberali del distretto, come Carlo Maria L’Occaso e Giuseppe Salerni, parteciparono alla fondazione del Circolo costituzionale e all’istituzione della guardia nazionale, l’organizzazione paramilitare liberale che sostituì la guardia urbana lealista. Il nuovo governo nominò Muzio Pace sottintendente del distretto. Qualche settimana dopo questi fu eletto parlamentare, su posizioni liberali moderate, mentre Giuseppe assunse il comando del battaglione della guardia nazionale di Castrovillari.
I Pace governarono con successo le tensioni sociali esplose nelle campagne del distretto, tentando di mantenere unito un fronte in cui si ritrovavano moderati, radicali e borbonici costituzionali. Ma il loro sforzo fu inutile. La gestione della transizione dall’assolutismo al regime liberale si interruppe con la crisi provocata dagli scontri napoletani del 15 maggio 1848. Nelle province furono creati comitati di resistenza e mobilitata la guardia nazionale. A Castrovillari si cercò, con successo, di evitare l’esplosione del conflitto civile, ma si moltiplicarono le tensioni, sia con i rivoluzionari più radicali sia con i lealisti borbonici. In ogni caso, le assemblee liberali, come in Basilicata e Puglia, non scelsero soluzioni insurrezionali, visto che il re aveva deciso di mantenere in vigore la Costituzione.
Un gruppo di parlamentari e di dirigenti radicali tentò di promuovere comunque una rivolta in Calabria e nel Cilento. Il distretto di Castrovillari, luogo strategico per le comunicazioni tra la Calabria, il Salernitano e la Lucania, si trovò al centro della crisi. Giuseppe e il fratello Vincenzo, con la guardia nazionale del distretto, raggiunsero Cosenza per collegarsi al movimento promosso da Giuseppe Ricciardi, Benedetto Musolino, Eugenio De Riso, Domenico Mauro. Alla fine di giugno 1848 la situazione precipitò. Un corpo di spedizione borbonico entrò nel distretto e occupò il comune. Iniziò il conflitto con i rivoluzionari calabresi, assistiti dal piccolo corpo di spedizione siciliano del generale Ignazio Ribotti di Molières. Pace partecipò alle operazioni militari comandando i suoi volontari, tra cui spiccavano Domenico e Angelo Damis e molti militi originari delle comunità italo-greche.
Le vicende belliche si conclusero disastrosamente per gli insorti, inesperti, privi di capi autorevoli, male armati. Nel giro di poche settimane l’esercito borbonico annientò l’insurrezione, occupò il territorio, rastrellando capi e gregari della rivoluzione. Molti riuscirono a fuggire in Sicilia o in altre isole del Mediterraneo, come Ricciardi e Musolino. Il padre e la madre di Pace furono arrestati. Giuseppe riuscì a fuggire in clandestinità, protetto dalla vasta rete di amicizie, complicità e clientele della famiglia. A riprova del loro insediamento sociale, il padre, pur in carcere a Napoli, fu riconfermato parlamentare nelle elezioni del novembre 1848. Il risultato fu inutile, se non sul piano simbolico. La nomina non fu convalidata per l’accusa di aver partecipato alla rivoluzione calabrese.
La vicenda dei Pace era esemplare di una intensa politicizzazione degli ambienti locali che contribuiva a consolidare le comunità politiche e a inasprire il conflitto civile nelle provincie napoletane. Muzio Pace restò in carcere, la madre fu liberata. Giuseppe si costituì, dopo una latitanza durata fino al 1850. Furono entrambi processati da una delle corti speciali a cui erano affidati gli imputati politici: il padre fu posto in libertà, mentre Giuseppe fu condannato a morte. Gran parte della famiglia e dei loro amici si trovò iscritta nelle liste degli ‘attendibili’, i sospettati privi di diritti politici.
La durezza della repressione borbonica finì per stabilizzare all’opposizione una parte considerevole delle élite del Regno. Nel caso di Pace, la condanna fu modificata in trent’anni di carcere duro. Egli iniziò un percorso travagliato che segnò buona parte dei militanti liberali della sua generazione. Fu continuamente trasferito in quei bagni penali borbonici che segnarono l’immaginario nazionalista italiano, prima e dopo l’Unità, da Nisida a Procida, dalla Darsena di Napoli al carcere di S. Maria Apparente, quasi sempre incatenato in coppia con un altro prigioniero o sottoposto ad altre forme di pesante reclusione. Divise questa esperienza ora con Nicola Nisco e Sigismondo Castromediano, ora con i suoi amici calabresi. La famiglia restò un riferimento per il mondo dell’opposizione locale con un’attività che, tra le altre cose, causò un nuovo arresto della madre (e, secondo la tradizione locale, la conseguente morte di crepacuore della sorella).
Le polemiche della diplomazia e della stampa internazionale resero sempre più difficile, per il regime borbonico, la gestione del problema dei carcerati politici. Alla fine del 1858 a molti prigionieri più conosciuti, o considerati particolarmente pericolosi, fu consentito l’esilio a vita in America settentrionale. Pace, con Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, fu nel gruppo di 65 reclusi portati a Cadice e lì imbarcati su una nave statunitense, noleggiata per la destinazione finale. Nel frattempo, il figlio di Settembrini era riuscito a farsi assumere sullo stesso vascello come cameriere e a relazionarsi con il comandante. Una volta a bordo, i politici napoletani riuscirono a convincere il capitano a cambiare i piani, facendosi sbarcare a Cork, in Irlanda. Nei giorni successivi raggiunsero Londra, una delle capitali dell’esilio italiano, dove furono festeggiati e celebrati in maniera clamorosa, con un grande impatto mediatico che contribuì a delegittimare ulteriormente il regime borbonico.
Pace partecipò pertanto all’esperienza dell’esilio, un altro elemento fondante dell’identità liberale meridionale e italiana. Raggiunse il Piemonte insieme ai suoi compagni di fuga e, nella primavera del 1859, si arruolò tra i volontari che parteciparono alla seconda guerra d’indipendenza e alle insurrezioni dell’Italia centrale. Gli eventi incalzavano. Iniziò la rivoluzione a Palermo. I rappresentanti degli esuli meridionali decisero di sostenere un intervento nel Mezzogiorno. Garibaldi partì con i suoi volontari. Pace partecipò a una delle spedizioni di soccorso che raggiunsero i garibaldini in Sicilia. Nel luglio 1860 la concessione della Costituzione da parte di Francesco II gli consentì di tornare in Calabria insieme a un gran numero di fuoriusciti. Furono accolti trionfalmente, una prova ulteriore della crisi delle istituzioni napoletane.
Le incertezze del re e del governo, e la paralisi delle forze di sicurezza borboniche resero agevole la ripresa dell’organizzazione liberale. Pace apparteneva a una élite esperta e socialmente influente. Giunto in patria si mise in relazione con i comitati clandestini, a partire dal centro cosentino guidato da Donato Morelli, offrendo subito la sua disponibilità all’azione rivoluzionaria. Insieme agli amici e ai familiari, attivò vecchie e nuove reti operative, coinvolgendo settori del mondo autonomista e dell’apparato istituzionale, tra cui lo stesso sottintendente di Castrovillari, il notabilato locale, parti del clero, i giovani più determinati e vecchi liberali, tra cui spiccavano i Damis e altri italo-albanesi. Nella seconda metà di agosto, i rivoluzionari controllavano la guardia nazionale ricostituita con armi ed equipaggiamenti in gran parte della Calabria, oltre ad aver rimesso in funzione un’efficace organizzazione politica. Pace assunse subito un ruolo di primo piano: bloccò una delegazione del governo giunta nella regione per un disperato tentativo di recuperare il consenso di una parte del notabilato locale, rispedendola a Napoli.
Ancora una volta la Calabria si trovava al centro della crisi meridionale. Garibaldi sbarcò con il suo esercito. Il crollo morale degli alti ufficiali napoletani era speculare all’avanzata dei garibaldini. Le brigate regie si sfasciarono una dopo l’altra. Alla fine di agosto in provincia di Cosenza iniziò l’insurrezione generale. La mobilitazione coinvolse comuni e distretti, contribuendo al definitivo isolamento dei militari regi e alla defezione di gran parte dell’ambiente autonomista. Pace e i nazionalisti unitari conquistarono il potere nel territorio di Castrovillari formando un governo provvisorio e sciogliendo le ultime istituzioni borboniche. I volontari e le guardie nazionali da lui comandate chiusero tutte le strade di accesso alla regione, per impedire un’iniziativa delle truppe borboniche simile a quella del 1848. Pace riuscì inoltre a collegarsi con le forze che si mobilitavano nelle province limitrofe, saldando così le rivoluzioni lucana e salernitana con la rivolta calabrese.
L’arrivo di Garibaldi a Castrovillari consolidò il cambio di regime. L’anziano padre fu di nuovo indicato al vertice del distretto, mentre Pace, nominato colonnello, riorganizzò i suoi uomini nel 1° reggimento di volontari calabresi, composto da oltre 1000 effettivi e inquadrato nella divisione guidata da Francesco Stocco, un altro reduce delle rivoluzioni locali. Il distaccamento raggiunse Napoli ed entrò nell’Esercito meridionale insieme alle altre brigate lucane e salernitane, prendendo parte con successo ai combattimenti sulla linea del Volturno e dimostrando una disciplina che mancò ad altri reparti di volontari.
Al ritorno nella sua ‘piccola patria’, dopo lo scioglimento dell’esercito garibaldino, si sposò con Maria Gramazio, appartenente a una importante famiglia della società cosentina.
Si schierò a favore del plebiscito come gran parte delle classi dirigenti meridionali, collocandosi, in continuità con le scelte politiche familiari, nell’area cavouriana. Nelle prime elezioni dell’Italia unita, del gennaio 1861, conquistò il collegio di Cassano Ionio, dove fu confermato nella legislatura successiva. La sua presenza nelle file moderate non inficiò mai l’amicizia con Garibaldi, come mostrò l’equilibrio esibito da Pace nella difficile discussione parlamentare sullo scioglimento dell’Esercito meridionale, dove si registrò una drammatica spaccatura tra il generale e Cavour.
Nell’attività di deputato si impegnò soprattutto per questioni regionali, come l’ampliamento del sistema viario e la costruzione delle reti ferroviarie nel Mezzogiorno, ma restò prevalentemente un uomo d’azione: fu tra i molti meridionali che scelsero di combattere in prima persona il brigantaggio e la resistenza borbonica, testimoniando la decisione di settori importanti delle élite e della società napoletana di consolidare il nuovo Stato. Insieme con alcuni collaboratori, come Damis e Attanasio Dramis, guidò la guardia nazionale nella repressione dell’insorgenza che peraltro nel suo distretto fu molto limitata. L’esperienza di decenni di conflitto civile rendeva comunque preziosa la funzione dei militanti calabresi. La guardia mobile di Castrovillari era particolarmente indicata per la controinsorgenza e fu quindi impegnata nelle zone della Lucania dove più intenso e penetrante era il fenomeno del brigantaggio. Pace diventò ispettore della guardia nazionale di Potenza e alcune sue squadre calabresi riportarono successi brillanti contro i briganti in Lucania e Puglia. Negli stessi anni continuò anche l’impegno parlamentare nella nuova capitale, Firenze.
Proprio rientrando dalla città toscana, fu colpito da un malore e morì a Eboli il 3 maggio 1866.
Nel 1871, in occasione di un’elezione suppletiva per il collegio di Castrovillari gli subentrò alla Camera il fratello Vincenzo, il quale nel 1889 fu nominato senatore dopo avere lasciato il suo seggio in eredità al figlio Francesco che lo conservò alla famiglia fino al 1900.
Fonti e Bibl.: Le carte di Giuseppe Pace sono conservate, insieme a quelle del padre Muzio e dei fratelli Edoardo e Vincenzo, nell’Archivio privato della famiglia, custodito dall’architetto e regista teatrale Nando Pace. Lettere e materiali iconografici relativi a Giuseppe e alla ‘dinastia politica’ dei Pace sono rinvenibili nei seguenti archivi: Lungro (Cosenza), Archivio Damis; Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano; Ibid., Archivio storico della Camera dei deputati, Archivio del Parlamento napoletano (1848-1849). Inoltre: C. Arrighi, I 450 deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti, Milano 1865, pp. 35-40; G. Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle province contermini nel 1860, Napoli 1867, II ed., Bari 1909, ad ind.; G. Oddo, Il brigantaggio o l’Italia dopo la dittatura di Garibaldi, III, Milano 1868, pp. 336 s.; G. Ricciardi, Una pagina del 1848 ovvero storia documentata della sollevazione delle Calabrie, Napoli 1873, pp. 40 s., 148-150; R. De Cesare, Una famiglia di Patriotti. Ricordi di due rivoluzioni in Calabria, Roma 1889, ad ind.; S. Castromediano, Carceri e galere politiche, I-II, Lecce 1895, pp. 18, 79, 115, 121, 129 s., 259, 265, 313, 316, 318, 357; O. Dito, La rivoluzione calabrese del 1848, Catanzaro 1895, ad ind.; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1908-09, II ed., Milano 1969, pp. 197, 240; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli. Episodi dal 1849 al 1860, Milano-Roma-Napoli 1912, ad ind.; A. Monaco, I galeotti politici napoletani dopo il Quarantotto, Roma 1932, ad ind.; G. Tursi, La Calabria nel Risorgimento nazionale, Cosenza 1967, pp. 117-121; A. Iannicelli, G. P., Castrovillari 1985; E. Stancati, Cosenza e la sua provincia dall’Unità al fascismo, Cosenza 1988, ad ind.; C. Pinto, 1857. Conflitto civile e guerra nazionale nel Mezzogiorno, in Meridiana, 2010, vol. 69, pp. 171-200; A. Iannicelli, G. P. colonnello di Garibaldi e deputato nazionale di Calabria Citra, Castrovillari 2011; Camera dei deputati, Portale storico, ad nomen (http://storia.camera.it/deputato/giuseppe-pace-18260527#nav).