Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Di modesta famiglia e con una educazione inizialmente costretta entro convenzioni religiose, Giuseppe Parini troverà nella Milano della illuminata imperatrice Maria Teresa, dove si raccoglievano gli intellettuali più vivi e innovativi del periodo, la linfa per la sua scelta poetica, ostile ai formalismi estenuati dell’Arcadia e legata al contesto civile. Col poemetto Il Giorno, che gli darà immediata notorietà, il poeta descrive in toni di ironica epopea la giornata di un giovane aristocratico, bollando indelebilmente l’insulsaggine mondana delle classi alte sia con la forte carica satirica, sia con l’estrema raffinatezza di uno stile che riporterà nella lingua il senso della classicità.
Nato nel 1729 a Bosisio in Brianza da modesta famiglia, Giuseppe Parini riceve una prima educazione dai parroci del paese e viene poi mandato a Milano alle scuole arcimbolde, rette dall’odine dei Barnabiti, dove conclude gli studi nel 1752, al termine di un non brillantissimo percorso. Nella città, malgrado l’angusta visione religiosa della scuola, Giuseppe ha certo modo di percepire l’aria nuova che fa della Milano di questi anni un luogo di profonda innovazione culturale. Qui infatti le istanze illuministiche, sollecitate dall’insegnamento storiografico di Ludovico Antonio Muratori, e accolte dal dispotismo illuminato di Maria Teresa, favoriscono la nascita del progressismo impegnato che caratterizza l’Accademia dei Pugni e la rivista “Il Caffè”, fondata nel 1764, attorno alle quali si raccolgono intellettuali che si battono per una letteratura più legata al contesto civile e non fine a se stessa come era ancora quella arcadica.
La prima raccolta di rime, Alcune poesie di Ripano Eupilino , che Parini edita sotto pseudonimo nel 1752 appena uscito dalle scuole barnabite, presenta già infatti quei caratteri che distingueranno radicalmente la sua produzione successiva dalla poesia arcadica, con cui qui certo mantiene ancora forti legami: a partire dalla scelta dello pseudonimo, Ripano Eupilino, che è l’anagramma del suo nome con l’aggiunta dell’aggettivo, a indicare la provenienza dal Lago Pusiano.
La raccolta è divisa in due parti, poesie serie e poesie piacevoli – la prima costituita quasi integralmente di sonetti, la seconda di metri più vari – ed è chiusa da tre egloghe piscatorie. Qui Parini si distingue dalla lezione arcadica per la robustezza stilistica del linguaggio, che si avvale di un esplicito richiamo alla poesia cinquecentesca nella scelta di certi generi e metri, per il maggiore equilibrio costruttivo e per la più limpida icasticità figurativa. Inoltre, sul piano dei contenuti, innovativa è l’introduzione, nella sezione giocosa, di elementi di più forte realismo e ironia, tipici della poesia bernesca e linguaiola, ma rinnovati e riqualificati da un impegno etico più esplicito e consapevole.
Il successo immediato ottenuto dalla pubblicazione di Alcune poesie vale al poeta l’ingresso nell’Accademia dei Trasformati, il cenacolo milanese fondato dal conte Giuseppe Imbonati (padre di quel Carlo che sarà da fanciullo allievo di Parini stesso e da adulto compagno di Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni) che raccoglieva l’ambiente più progressista della capitale lombarda. Qui Parini ha modo di frequentare non soltanto Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria, impegnati in quegli anni in radicali proposte di riforme giuridiche ed economiche, ma anche i poeti Domenico Balestrieri e Antonio Tanzi, considerati i maggiori rappresentanti di quella poesia dialettale di linea lombarda, connotata da una forte spinta di realismo e di critica sociale, che Carlo Porta (nel celebre sonetto Varon, Magg, Balestrer,Tanz e Parin) indicherà come diretto antecedente della propria opera poetica. Accanto a loro e assumendo anzi un ruolo di primo piano, Parini è coinvolto in questi anni nelle polemiche contro le posizioni antidialettali e rigidamente toscanocentriche del frate senese Antonio Bandiera e del padre Onofrio Branda (già suo maestro alle scuole arcimbolde). A sostegno della linea milanese, Parini proclama la pari dignità di ogni opzione linguistica e stilistica, purché condotta con senso del gusto e del bello e nutrita di sostanza; con ciò allineando le proprie scelte poetiche a quella ricerca di concretezza, di “cose, e non parole” che costituisce in quegli anni la bandiera del gruppo illuministico del “Caffè”, pur ovviamente rileggendola all’interno dello specifico letterario, dove all’istanza didattica si accompagna necessariamente l’esigenza di una ricerca formale appropriata. Il rifiuto va insomma al recupero vuoto e formalistico dell’eredità classica quale si ritrovava in tanta estenuata poesia arcadica, per una ripresa attiva della tradizione che, nella sua linea più illustre, soprattutto cinquecentesca, poteva farsi strumento di una poesia di forte contenuto etico.
Giuseppe Parini
La vergine cuccia
Il Meriggio, vv. 652-697
Tal ei parla o signor: ma sorge in tanto
A quel pietoso favellar da gli occhi
De la tua dama dolce lagrimetta
Pari a le stille tremule brillanti,
Che a la nova stagion gemendo vanno
Da i palmiti di Bacco entro commossi
Al tiepido spirar de le prim’aure
Fecondatrici. Or le sovvien del giorno,
Ahi fero giorno! allor che la sua bella
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
Giovanilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con gli eburnei denti
Segnò di lieve nota: e questi audace
Col sacrilego piè lanciolla: ed ella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
Nari soffiò la polvere rodente:
Indi i gemiti alzando, aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei la impietosita eco rispose;
E dall’infime chiostre i mesti servi
Asceser tutti; e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitàro. Accorse ognuno: il volto
Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
Ella rinvenne al fine. Ira e dolore
L’agitavano ancor: fulminei sguardi
Gettò sul servo; e con languida voce
Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tenor vendetta
Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
Vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre: a lui non valse
Zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
De le assise spogliato onde pur dianzi
Era insigne a la plebe: e in van novello
Signor sperò; chè le pietose dame
Inorridìro; e del misfatto atroce
Odiàr l’autore. Il perfido si giacque
Con la squallida prole e con la nuda
Consorte a lato su la via spargendo
Al passeggero inutili lamenti:
E tu vergine cuccia idol placato
Da le vittime umane isti superba.
G. Parini, Il giorno, a cura di D. Isella, Parma, Ugo Guanda Editore, 1996
Ordinato sacerdote nel 1754, Parini viene assunto come precettore in casa Serbelloni, carica che lascerà nel 1762 in seguito a dissapori insorti per il suo intervento in difesa della figlia di un insegnante di musica rimproverata dalla duchessa. Nelle poesie di questo periodo i vizi e le consuetudini della nobiltà milanese, che aveva avuto modo di osservare sia in casa Serbelloni sia in casa Imbonati, diventano ragione di una ardente protesta sociale che si salda ai principi egualitari acquisiti attraverso la frequentazione dei circoli milanesi e le letture dei principali testi illuministi. Di impronta fortemente satirica è infatti il Dialogo sopra la nobiltà, scritto probabilmente nel 1757, nel quale la critica agli abusi della classe nobiliare, di modello settecentesco, si carica di aspetti autobiografici. Vi si narra infatti di un giovane poeta spiantato che, attraverso una logica stringente, costringe un nobile incontrato dopo la morte ad abbassare la boria e a riconoscersi suo pari. Ma certo il più alto risultato della satira antinobiliare è costituito dal poemetto Il giorno, dove la carica critica si associa a un impegno stilistico raffinatissimo che costringerà il poeta a un labor limae indefesso. Concepito in quattro parti, Il mattino, Il meriggio, Il vespro, La notte, il poemetto si colloca entro il genere del poema didascalico, di cui assume il metro, l’endecasillabo sciolto, e l’afflato pedagogico, rivisitato in forma antifrastica: la censura della corruzione della vita nobiliare si svolge infatti attraverso la presunta celebrazione della giornata del “giovin signore”, i cui atti quotidiani, dal risveglio al sonno, vengono ironicamente dipinti come fossero le gesta eroiche di un poema epico. L’intento satirico è il risultato cioè dello scontro tra il contenuto quotidiano e risibile (il risveglio, la colazione, l’acconciatura del “giovin signore”) e uno stile sublime, impreziosito da un lessico di forte impronta classicistica e da procedimenti retorici nobilitanti. Allo stesso fine collabora il trattamento del verso, lavorato prosodicamente sul modello dell’esametro latino, in netta contrapposizione con l’uso andante e facile dello sciolto tipico della poesia settecentesca.
Una notevole differenza separa tuttavia le prime due parti, le uniche pubblicate dall’autore (rispettivamente Il mattino nel 1763 e Il mezzogiorno nel 1765) dalle due ultime, edite postume nel 1801. La vicenda elaborativa del poemetto appare in effetti particolarmente intricata, stante il mutare complessivo del progetto che ha portato a una confusione di più piani compositivi, e che è stata risolta solo di recente dall’edizione procurata da Dante Isella. In sostanza, Parini inizialmente progetta il poemetto in tre parti: Mattino, Mezzogiorno e Sera. In seguito alla pubblicazione delle prime due tuttavia pensa a una ripartizione diversa, e comincia a rielaborare le parti già edite nella nuova prospettiva, in particolare distribuendo la sequenza finale del Mezzogiorno nella terza nuova sezione, Il vespro. L’edizione critica ha perciò dovuto dividere le due fasi del progetto, che rispondono in effetti a profonde mutazioni sia sul piano ideologico sia su quello stilistico. Mentre infatti le parti edite nel 1763-65 ben rappresentano il clima politico e l’ansia combattiva e riformistica che caratterizza gli illuministi lombardi e lo stesso Parini, e presenta quindi tratti di forte satira sociale e di polemica antinobiliare, ben diverso è il clima a distanza di qualche decennio quando gli eventi europei, la Rivoluzione francese, e le conseguenze italiane, rendono meno cogente e forse addirittura inopportuna, in una prospettiva moderata, la polemica antiaristocratica, portando perciò a un indebolimento dell’originario impianto didascalico: alla costruzione più organica del primo progetto, interamente costruita intorno al resoconto ironico della giornata del “giovin signore” si sostituisce così una trama più spezzata, affidata al solo scandirsi delle ore e a un gusto dell’osservazione dal vero che spinge all’illuminazione del particolare, con spunti, come ha osservato Isella, “da taccuino”. Così, in particolare nella Notte, i protagonisti, il giovane signore e la sua bella, perdono di centralità e sfumano nel resoconto del ballo, in una variegata galleria di personaggi e di riti sociali. Il gusto descrittivo, d’altra parte, liberato dall’opzione satirica, si svolge con più libertà e finezza e assume sempre più una sua autonoma validità: riflesso di quell’aura serena e composta che Parini destina alla poesia come contraltare della corruzione della realtà, in piena consonanza col gusto neoclassico.
Giuseppe Parini
La caduta
Quando Orïon dal cielo
Declinando imperversa;
E pioggia e nevi e gelo
Sopra la terra ottenebrata versa,
Me spinto ne la iniqua
Stagione, infermo il piede,
Tra il fango e tra l’obliqua
Furia de’ carri la città gir vede;
E per avverso sasso
Mal fra gli altri sorgente,
O per lubrico passo
Lungo il cammino stramazzar sovente.
Ride il fanciullo; e gli occhi
Tosto gonfia commosso,
Che il cubito o i ginocchi
Me scorge o il mento dal cader percosso.
Altri accorre; e: oh infelice
E di men crudo fato
Degno vate! mi dice;
E seguendo il parlar, cinge il mio lato
Con la pietosa mano;
E di terra mi toglie;
E il cappel lordo e il vano
Baston dispersi ne la via raccoglie:
Te ricca di comune
Censo la patria loda;
Te sublime, te immune
Cigno da tempo che il tuo nome roda
Chiama gridando intorno;
E te molesta incìta
Di poner fine al Giorno,
Per cui cercato a lo stranier ti addita.
Ed ecco il debil fianco
Per anni e per natura
Vai nel suolo pur anco
Fra il danno strascinando e la paura:
Nè il sì lodato verso
Vile cocchio ti appresta,
Che te salvi a traverso
De’ trivii dal furor de la tempesta.
Sdegnosa anima! prendi
Prendi novo consiglio,
Se il già canuto intendi
Capo sottrarre a più fatal periglio.
Congiunti tu non hai,
Non amiche, non ville,
Che te far possan mai
Nell’urna del favor preporre a mille.
Dunque per l’erte scale
Arrampica qual puoi;
E fa gli atrj e le sale
Ogni giorno ulular de’ pianti tuoi.
O non cessar di porte
Fra lo stuol de’ clienti,
Abbracciando le porte
De gl’imi, che comandano ai potenti;
E lor mercè penètra
Ne’ recessi de’ grandi;
E sopra la lor tetra
Noja le facezie e le novelle spandi.
O, se tu sai, più astuto
I cupi sentier trova
Colà dove nel muto
Aere il destin de’ popoli si cova;
E fingendo nova esca
Al pubblico guadagno,
L’onda sommovi, e pesca
Insidioso nel turbato stagno.
Ma chi giammai potrìa
Guarir tua mente illusa,
O trar per altra via
Te ostinato amator de la tua Musa?
Lasciala: o, pari a vile
Mima, il pudore insulti,
Dilettando scurrile
I bassi genj dietro al fasto occulti.
Mia bile, al fin costretta,
Già troppo, dal profondo
Petto rompendo, getta
Impetuosa gli argini; e rispondo:
Chi sei tu, che sostenti
A me questo vetusto
Pondo, e l’animo tenti
Prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
Buon cittadino, al segno
Dove natura e i primi
Casi ordinàr, lo ingegno
Guida così, che lui la patria estimi.
Quando poi d’età carco
Il bisogno lo stringe,
Chiede opportuno e parco
Con fronte liberal, che l’alma pinge.
E se i duri mortali
A lui voltano il tergo,
Ei si fa, contro ai mali,
Della costanza sua scudo ed usbergo.
Nè si abbassa per duolo,
Nè s’alza per orgoglio.
E ciò dicendo, solo
Lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
Così, grato ai soccorsi,
Ho il consiglio a dispetto;
E privo di rimorsi,
Col dubitante piè torno al mio tetto.
G. Parini, Le Odi, a cura di D. Isella, Milano, Ricciardi, 1975
Lo stesso complesso iter del poemetto può rintracciarsi nelle Odi, anch’esse non a caso affidate a pubblicazioni provvisorie e rimaste infine incompiute nel loro disegno organico. Parini esita infatti a lungo a pubblicarle e soltanto nel 1791 affida la cura della raccolta, che allora comprendeva 22 testi, al suo discepolo Antonio Gambarelli, mentre una seconda edizione si ha nel 1795, con l’aggiunta di tre odi, a cura di Giuseppe Bernardoni. Le edizioni sono certo state supervisionate dal poeta, che cercava in questo modo di impedire, pur in maniera discreta, la circolazione spesso scorretta dei testi. Ma la trafila delle pubblicazioni, e quindi l’ampliamento successivo rappresentato dalla edizione postuma di Francesco Reina del 1802, ha fatto molto discutere su quale fosse l’ordine da considerarsi d’autore e su come ristabilire la lezione definitivamente scelta da Parini per i singoli testi. Resta comunque indubbio il percorso cronologico che, in maniera parallela a quanto avvenuto per Il giorno, porta dal più diretto ed esibito impegno civile delle odi composte fino al 1770, veri e propri manifesti di una ideologia sensistico-illuministica (L’impostura, L’educazione, L’innesto del vaiolo, Il bisogno, La musica), non prive nell’afflato polemico di una certa ruvidezza stilistica, e dell’apertura a un lessico al limite del prosastico, verso una poetica più distaccata e di più ampio respiro figurativo su cui certo influisce il nuovo gusto neoclassico di Winckelmann, la cui Storia venne tradotta a Milano nel 1879. A questa seconda fase appartengono odi come La laurea, La recita dei versi, ma soprattutto i più tardi componimenti degli anni Novanta, che toccano spesso aspetti più privati e intimi ed esprimono una maturità artistica giunta a un grado di raffinatezza e di compostezza assolute: La caduta, Il pericolo, Il dono, Il messaggio e infine Sul vestire alla ghigliottina, A Silvia e Alla Musa. Queste due ultime rappresentano la sintesi estrema della poesia pariniana: in A Silvia il tema di scabrosa attualità della ghigliottina è trattato con una forza stilistica impassibile che suggerisce la saldezza della visione etica del poeta e la profondità del suo sdegno, mentre in Alla Musa è affidata al ritmo lento e scandito della saffica la celebrazione della poesia come la più nobile delle attività, concessa a chi, rinunciando a lavori più remunerativi, si appaga dei piaceri dell’amicizia e dell’amore.
Lo stemperarsi della vena satirica e polemica della prima produzione di Parini è determinata, come si è detto, dalla generale evoluzione politica e insieme dalla personale carriera del poeta che, dopo il successo del Giorno, si guadagna l’attenzione benigna dell’amministrazione austriaca, dalla quale riceve dapprima l’incarico di redattore della “Gazzetta di Milano”, quindi quello di professore di eloquenza nelle scuole palatine e infine di sovrintendente alle scuole pubbliche. Il riconoscimento della sua indipendenza e statura morale gli vale anche l’incarico, durante la Repubblica Cisalpina, di rappresentante della parte moderata nella municipalità: carica da cui viene presto esentato per aver difeso il diritto di indipendenza militare e amministrativa della Lombardia dalla Francia.
Ma il più importante lascito del suo impegno etico e civile si avrà dopo la sua morte, avvenuta nell’agosto del 1799, con l’edizione, nel 1801, della biografia di Francesco Reina e insieme la prima completa delle Opere, dove per la prima volta vengono pubblicati la terza e la quarta parte del Giorno, e il Dialogo sopra la nobiltà. Nel ritratto disegnato dal Reina, suo allievo, si fissano infatti i tratti che più celebreranno gli scrittori della stagione successiva: Alfieri che descriverà nella sua Vita l’incontro con Parini, Foscolo nell’ Ortis , che ne esalterà la figura in chiave prerisorgimentale, Manzoni nel Carme in morte di Carlo Imbonati, che lo indica come modello di un impegno poetico disinteressato, e di una letteratura animata da intenti utili e sociali. Questa lettura, che possiamo definire contenutistica, sarà propria di tutta la critica ottocentesca, da De Sanctis a Carducci, che sottolineerà nel Parini soprattutto l’alta dignità morale (così ad esempio nella celebre lettura carducciana dell’ode La caduta). A questa lettura la critica novecentesca ha affiancato, soprattutto nella seconda metà del secolo, una accurata analisi stilistica che, anche attraverso lo studio variantistico, ha sottolineato la centralità del modello poetico pariniano nel superamento dell’estetica arcadica verso il più maturo classicismo dell’età successiva.